Dante disse nel Convivio che la terza età è quella in cui si dovrebbero ammainare le vele. Ma se avesse dato un'occhiata al nostro tempo, forse avrebbe corretto il tiro. Non è raro trovare un santo entusiasmo in persone avanti con l'età, capaci di gettarsi in imprese così coraggiose da lasciare interdetti i giovani pieni di energia. E sono esempi davvero benedetti, perché ci insegnano a non giocare al ribasso con la speranza.
Luigi Zuccheri, 78 anni di Alseno (Piacenza), è uno di quelli che ha spiegato le vele su un mare vastissimo: ha deciso di tradurre la Bibbia nel suo dialetto locale, tutta, dalla Genesi all'Apocalisse. Ci ha impiegato 8 anni - con un grosso intoppo nel mezzo - e l'ha fatto a mano. Lo scorso 30 maggio ne ha consegnato una copia a Papa Francesco.
Ricevendo in Vaticano Luigi Zuccheri, il Papa lo ha ringraziato con queste parole:
Stare con la Parola di Dio, è questo che per 8 anni ha fatto Luigi Zuccheri. Tradurre - sono di parte nel dirlo - è un'esperienza spirituale anche se il soggetto non è religioso. Il traduttore tenta di rimarginare la rottura di Babele, fa la fatica di unire quello che è separato. Secondo la vulgata tradurre è tradire, ed è vero perché non esisterà mai un testo di arrivo perfettamente identico a quello di partenza. Ma tradurre è innanzitutto stare in compagnia delle parole, parole che si tenta di portare nella propria 'casa'.
Per 8 anni Luigi Zuccheri è stato in compagnia della Bibbia, parola per parola. Su ciascuna ha speso un impegno di comprensione, immedesimazione, preghiera. Alla domanda su quale frutto ne abbia ricavato, la risposta è un guadagno di fede enorme:
E non c'è scelta più domestica del dialetto. E' la lingua che ci fa sentire ancora viva la voce dei nostri nonni, è casa, sono parole pronunciate a tavola mentre si mangia insieme. Come Dio, le parole s'incarnano in ogni angolo di mondo e di quartiere. Dare alla Bibbia la voce dialettale è in fondo simile al gesto che Gesù fece con Zaccheo: Dio viene a mangiare a casa di ciascuno, ci parla personalmente e guardandoci negli occhi.
Per questo immagino e spero che l'opera di Luigi Zuccheri non resti sugli scaffali, ma vada in piazza. Se è vero cha andiamo incontro a un periodo in cui gli eventi all'aperto saranno di nuovo possibili con norme meno stringenti, perché non leggerne brani in pubblico?
Immagino bambini, ragazzi, adulti e anziani di nuovo riuniti 'attorno al fuoco' come quando gli aedei raccontavano le gesta di Achille. Era in questi momenti che la comunità si legava, si riconosceva come popolo. Non è assurdo pensare che oggi si possa ripartire - anche come reazione all'isolamento della pandemia - ritrovandosi assieme ad ascoltare le Beatitudini in dialetto. C'è da augurarsi che altri 'folli' seguano l'esempio del signor Zuccheri.
Stay foolish, è diventato il messaggio del secolo per i giovani. Ma chi è il folle? Non è quello che rompe gli schemi a caso, si libera di ogni etichetta e va allo sbaraglio. Il vero folle ha una tabella di marcia precisa: chi si lancia in grandi imprese non vive alla giornata. Per scalare i monti non basta essere entusiasti. Il folle è quello che dice 'sì' a un'opera di valore che a tavolino sembra impossibile, senza preoccuparsi del traguardo ma avendo una chiarezza di fondo sul fatto che vale la pena cimentarsi.
Le doti più grandi che Luigi Zuccheri ha mostrato negli 8 anni di lavoro per tradurre la Bibbia sono stati la pazienza e la mitezza. E ne ha dovuto usare dosi massicce. Dopo 4 anni di lavoro è capitato un brutto imprevisto. Luigi scriveva la sua traduzione a mano su fogli di recupero e un bel giorno sua moglie ha buttato via tutto, non capendo di cosa si trattasse.
Lascio uno spazio bianco in cui ciascuno farà la sua - doverosa - battuta sulle mogli fissate col riordino. Siamo noi le prime a riderci su, non ci offendiamo. Ma Luigi non ha riso e anzi aveva deciso di mollare tutto. Come dargli torto.
E' stato un suo fan a incoraggiarlo a rifare da capo tutto. Una mattina l'imprenditore Gianfranco Curti della Gas Sales di Alseno ha incontrato Zuccheri al bar e parlando ha scoperto a cosa si stava dedicando. Lo ha incoraggiato a rimettersi all'opera, offrendosi di pubblicare la Bibbia una volta finita. Quattro anni dopo Luigi Zuccheri si è presentato da Curti con un carrello della spesa, pieno di 4000 pagine scritte a mano con la stilografica.
L'opera finita s'intitola La Bibbia in dialetto piasentin, è composta di 10 tomi raccolti in un cofanetto, con copertina nera e caratteri d'oro. Tiratura 30 copie, peso 20 chili ciascun cofanetto. Le scelte grafiche sono state curate con passione e lo dimostrano proprio i colori: oro su sfondo nero. Elegante sì, ma anche qualcosa di più. La Parola di Dio è pesante e luminosa come l'oro. Ci vuole una presenza massiccia e splendente per sconfiggere le tenebre.
In tutto questo, però, non ci venga da pensare che Luigi Zuccheri voglia sedersi sul trono dell'erudito. Questo suo lavoro è stato soprattutto preghiera, un'esperienza di fede. E fa sorridere di vera gioia la sincerità con cui risponde alla domanda sulla parte più difficile da tradurre:
Stanco sì, ma non tanto da frenare il suo entusiasmo. A quanto pare è pronto per rimettersi all'opera di nuovo. E quale sfida più folle e meravigliosa di quella di tradurre in dialetto e in rima la Divina Commedia? Molto bene, avanti tutta. Nel tempo dei vocali e dei messaggi abbreviati e col correttore automatico, c'è ancora chi prende la via maestra di carta e penna e tempo misurato in anni.