A neanche un mese dai tragici fatti sulla funivia Stresa-Mottarone, in pieno svolgimento delle indagini, è stato diffuso dal TG3 un video che documenta lo schianto della cabina in cui sono morte 14 persone ed è sopravvissuto solo il piccolo Eitan. Come accade in questi casi si parla di 'documento esclusivo': una successione di immagini che fanno vedere attimo per attimo tutta la tragedia. In breve molte altre testate hanno rilanciato il contenuto. Ma è dovere di cronaca o un pessimo caso di giornalismo?
Immediata non è stata solo la reazione di chi ha voluto speculare sulla 'viralità' che, inevitabilmente, generano certi contenuti, ma anche la condanna da parte di Olimpia Bossi, procuratore di Verbania che si occupa del caso. Quel video è agli atti del processo in corso e la legge ne vieta la diffusione. Può un vero giornalismo farsi beffe delle norme e adulterare il concetto di 'diritto di cronaca' con la bieca logica dello scoop a tutti i costi?
E i costi sono quelli che pesano proprio sulle vittime, schiacchiate una seconda volta e usate come macabra merce da spettacolo. Aggiunge infatti la Bossi nel comunicato stampa che quel video non era stato mostrato neppure ai familiari dei deceduti, proprio per portare rispetto al loro dolore:
Alle sue parole si sono aggiunti messaggi di dura condanna per la diffusione delle immagini da parte del mondo politico e anche del giornalismo.
Chi ha pubblicato il video sulla propria testata ha giustificato la scelta dicendo che le scene immortalate dalla telecamera aggiungono un tassello indispensabile alla comprensione degli eventi. Vedere, fatti: non sono solo queste parole che entrano in gioco quando si mostra pubblicamente un documento così forte. Pochi giorni fa abbiamo visto l'intera squadra danese fare scudo al calciatore Eriksen nel momento in cui veniva soccorso in campo. Questo senso di protezione ci ha commosso, ha mostrato il vero volto del pudore di fronte a chi era in pericolo di vita.
E' questa squadra che ci offre lo sguardo giusto. La fragilità si protegge, non si espone come spettacolo. Il vero dovere di cronaca ha come fondamento la coscienza personale del giornalista, non il bieco calcolo di quanto può fruttare uno scoop. Come lettori non diamola vinta all'instinto di una curiosità morbosa, stimolata da chi peraltro ci tratta più da consumatori che da cittadini che meritano di essere informati (non è un'enorme violenza la presenza di spot prima e dopo questi video 'verità'?).
L'incidente è accaduto nella mattina di domenica 23 maggio, poco prima delle 13. Per tutte le vittime l'idea era quella di fare una gita nella cornice di un paesaggio da sogno: la funivia del Mottarone, partendo dalla frazione di Carciano di Stresa, sale fino a 1491 metri sul versante piemontese del lago Maggiore. La cabina che è precipitata nel vuoto era a capienza dimezzata a causa delle restrizioni Covid, e dunque a bordo c'erano "solo" 15 persone. Un padre e suo figlio sono salvi proprio perché è stato detto loro che sarebbero saliti con la successiva.
Cosa è accaduto? Il procuratore di Verbania Olimpia Bossi ha disposto il sequestro dell'impianto della funivia del Mottarone. La procura indaga per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose.
Il tragitto della funivia dura circa 20 minuti, la tragedia è capitata a poche centinaia di metri dall'arrivo in corrispondenza dell'ultimo pilone: un cavo si è spezzato e la cabina ha fatto un volo nel vuoto di 20 metri, si è schiantata al suolo e ha iniziato a rotolare verso valle, finendo la sua corsa contro alcuni alberi. Ai soccorritori e alle forze dell'ordine giunti sul luogo si è presentata una scena raccapricciante. E noi, attoniti spettatori, siamo muti di fronte all'immagine che circola su ogni mezzo d'informazione: lamiere accartocciate e lo sfondo di un panorama dalla bellezza disarmante.
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Tredici persone sono morte sul colpo, tra cui un bimbo di due anni, mentre un altro di 5 è morto all'ospedale infantile Regina Margherita di Torino, dove è ancora ricoverato in prognosi riservata l'unico superstite, un piccolo di 5 anni di nome Eitan.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il capo del Governo Mario Draghi hanno mandato il loro personale messaggio di cordoglio alle famiglie coinvolte.
Anche la CEI prega per le vittime. I Vescovi italiani, riuniti a Roma per la 74ª Assemblea Generale che verrà aperta oggi pomeriggio da Papa Francesco, hanno affidato la loro vicinanza alle famiglie alla voce del Cardinal Bassetti:
Aya Biran è la zia di Eitan, è arrivata la sera stessa della tragedia a Torino da Pavia, dove lavora come medico in carcere. Sarà lei a prendersi cura di questo piccolo che ha perso i genitori e il fratello Tom di appena 2 anni.
Erano tre i bimbi nella cabina precipitata e viene da pensare al loro entusiasmo per quella gita affacciati sul Lago Maggiore dall'alto. Avranno fatto amicizia mentre salivano? Tom è morto sul colpo, Mattia è morto all'arrivo in ospedale e solo Eitan è sopravvissuto.
Il 10 giugno Eitan è stato dimesso dall’ospedale e ha fatto ritorno a casa a Pavia insieme alla zia che ora è tutta la sua famiglia. Lo attende un percorso di cura fisica, ma soprattutto un accompagnamento psicologico per gestire il trauma subito. E’ stato informato della morte dei genitori e del fratello. Da lontano, con le nostre preghiere, siamo vicini al viaggio arduo di questo piccolo e speriamo che il mistero della tragedia che ha vissuto sulla pelle spalanchi nella sua anima una finestra di bene, oltre il peso di una disperazione ingombrante.
Si sono ritrovati insieme senza volerlo: 15 persone nella cabina di una funivia. Si fa amicizia in fretta in questi casi, proprio perché - anche se per poco tempo - si condividere un'esperienza che è piacevole ma anche vertiginosa. Anche chi non ha paura di salire su una funivia, in fondo un po' ce l'ha. Si è sospesi sul vuoto, insieme. E insieme questo gruppo casuale di persone ha affrontato l'incomprensibile destino di morire in una domenica di pieno sole e gioia.
A noi che leggiamo la cronaca di questa tragedia pare che non sia poi così casuale quel gruppo. Si assomigliavano molto. 5 famiglie sono state distrutte, dietro ciascuna un'ipotesi di vita fondata su valori semplici e buoni: i figli, studi e lavori orientati al bene comune, una vita fatta di relazioni affettive forti.
1 Roberta e Angelo, gli sposi piacentini
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Roberta Pistolato compiva 40 anni proprio ieri e aveva deciso di festaggiare con suo marito Angelo Vito Gasparro concedendosi una gita sul lago Maggiore. Roberta ha mandato l'ultimo messaggio alla sorella: "Stiamo salendo in funivia".
Erano originari di Bari, ma vivevano nel Piacentino. Angelo era guardia giurata, mentre Roberta lavorava come guardia medica. Dopo l'arrivo del Covid aveva scelto di essere in prima linea, forse anche in seguito alla perdita di una delle sorelle proprio a causa del virus. Era perciò impegnata nelle vaccinazioni, sia negli hub sul territorio, sia a domicilio delle persone impossibilitate a muoversi di casa.
2 Silvia e Alessandro, i fidanzati di Varese
Silvia Malnati aveva 27 anni e il suo fidanzato Alessandro Merlo ne aveva 29. Si era laureata lo scorso 23 marzo e aveva scelto questa frase per festeggiare il traguardo su Instagram:
Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L'audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.
Aveva cominciato. E lavorava come commessa in un punto vendita della Kiko a Milano. Lei e il fidanzato avevano deciso di trascorrere un weekend al lago, in uno dei primi momenti in cui le restrizioni del Covid lasciavano maggior flessibilità di movimento.
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3 Serena e Mohammadreza, i fidanzati di Cosenza
Aveva 27 anni anche Serena Cosentino, sulla cabina insieme al fidanzato iraniano Mohammadreza Shahaisavandi di 23 anni. Entrambi originari della provincia di Cosenza, si erano trasferiti per studiare. Serena aveva vinto un concorso a Verbania come borsista di ricerca al Cnr Istituto di Ricerca sulle Acque e aveva preso servizio il 15 marzo. Il fidanzato studiava a Roma, ma si era recato a Verbania per trascorrere il fine settimana insieme all'amata.
4 La famiglia israeliana
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Un'intera famiglia di origini israeliane è stata quasi completamente distrutta nell'incidente. I giovani genitori Amit Biran, 30 anni, e sua moglie Tal Peleg, 26 anni, vivevano a Pavia coi loro figli, Tom di 2 anni e Eitan che è l'unico sopravvissuto. Anche i bisnonni sono morti, erano arrivati in Italia da Tel Aviv per trovare i loro parenti ed erano andati tutti insieme in Piemonte per una gita al Mottarone.
Da un paio di settimane questa famiglia aveva traslocato per dare una casa più grande ai figli.
5 Elisabetta, Vittoria e Mattia, la famiglia di Varese
C'è anche una famiglia di Vedano Olona (Varese) tra le vittime di questa tragedia: padre, madre e figlio. Vittorio Zorloni e la compagna Elisabetta Persanini sono morti sul colpo, mentre si è sperato per il loro figlio Mattia di 5 anni. All'inizio è stato contato tra i sopravvissuti, ma è morto dopo essere stato trasportato a Torino.
C'è anche chi guarda a questo fatto tragico con cuore attonito. Dario e suo figlio di sei anni si ritengono dei miracolati. Erano in fila per salire sulla cabina che saliva sul Mottarone ma al momento di entrare nella cabina non c'era più posto e così sono rimasti a terra. In questo caso le restrizioni imposte dal Covid hanno salvato loro la vita.
Come è potuto accadere? Ci lasceranno appena una manciata di ore per stare in silenzio davanti a questa tragedia prima di inondarci di ipotesi, ricostruzioni, presunti colpevoli.
E come per il ponte Morandi le giuste indagini sul caso non ci toglieranno la vertigine che preme sullo stomaco. Sospesi su un ponte, appesi a una funivia: cadere nel vuoto inerti e all'improvviso. E' un incubo che si fa realtà, ma la verità è che siamo sospesi e appesi in ogni istante. E non c'è coscienza più realista di quella che dice "siamo appesi a un filo". Ho visto che qualcuno ci ha fatto già una vignetta.
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Quando diciamo che la speranza è appesa a un filo, intediamo dire che è fragilissima ... che c'è ben poco a cui aggrapparsi davvero. Ma forse bisognerebbe avere il coraggio di pensare il contrario. Anche coi piedi terra, avendo per alleata la forza di gravità, non siamo un briciolo più al sicuro di chi era appeso a un filo sulla funivia del Mottarone.
Io ho la fobia di ogni mezzo sospeso e so bene perché. Non è sfiducia nelle capacità tecniche dell'uomo. E' proprio il terrore di guardare come stanno le cose. Perché noi siamo sempre su un ponte o su una funivia. Siamo sospesi e appesi a un mistero che toglie il fiato. Di un uomo consapevole si dice che ha i piedi per terra, e questo la dice lunga sull'illusione che teniamo sullo sfondo della vita: ci convinciamo di stare in piedi da soli ancorati a forze che possiamo gestire.
Ben più consapevole è lo sguardo di chi sa che siamo appesi in ogni istante, come la cabina di quella funivia. Significa che siamo fragili e in pericolo, la forza di gravità non ci mette in salvo da nulla. Ma questo non significa essere disperati e pessimisti. E' a questo punto che possiamo decidere se la speranza è davvero appesa al filo del Cielo o solo appesa alle nostre piccole corde di umana tenacia. Le corde umane non tengono - per fragilità connaturata o per dolo - e oggi piangiamo chi è morto precipitando nel vuoto.
Ma proprio oggi, con quella vertigine nello stomaco che morde forte, è il tempo giusto per ricordarci che solo rimanendo appesi al filo di speranza che è il nostro cordone ombelicale col Cielo possiamo stare lì dove siamo, proprio perché siamo sempre esposti e sospesi sul vuoto.