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Tokyo, le Olimpiadi per “uomini che si sentono donne”

LAUREL HUBBARD
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Paola Belletti - pubblicato il 17/06/21
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Una professionista sportiva canadese, Linda Blade, scrive al comitato olimpico e a tutto il popolo giapponese per chiedere di opporsi a questo scempio: gli uomini transgender restano maschi in ogni fibra del loro essere e come tali godono di un vantaggio competitivo ineliminabile rispetto alle donne, in quasi tutte le discipline. Non possono gareggiare come se fossero donne solo perché si sentono tali. Non volevamo promuovere la difesa della donna da tutte le forme di violenza? Anche questo è il momento di farlo.

Non poteva che essere questa la naturale, mostruosa conseguenza. Se leggi di stato stanno affermando che è giusto che una persona venga trattata a seconda di come dice di sentirsi in merito al genere, se queste leggi si diffondono come un super batterio farmacoresistente su tutto il pianeta ormai aduso alle pandemie, allora finisce che anche alle Olimpiadi del quasi post-Covid ci toccherà vedere maschi competere con femmine in discipline per le quali la negata ma insopprimibile differenza biologica farà differenza eccome.

La prima atleta transgender, ovvero un uomo che però si percepisce donna e ha avviato processi per la manomissione biologica del proprio fisico in modo da sembrare donna, ad essersi classificata per le Olimpiadi di Tokyo è la neozelandese sollevatrice di pesi Hubbard, fu Gavin, ora Laurel. Già piuttosto competitivo uomo tra gli uomini (vinse un argento ai Mondiale del 2017), vediamo che succede a competere con atlete con altra struttura fisica, muscolare, cardiaca, ossea, etc.

Dal Canada arriva la lettera al Comitato Olimpico da parte di un'atleta che ha visto levarsi questo pallido sole prima, parecchio prima che nel paese del Sol Levante, che su questi temi sembra poco ferrato.

Leggiamo su Feminist Post in un post del 12 giugno scorso:

L'evento sportivo più importante ed iconico di sempre, le Olimpiadi, nell'edizione che si è voluta chiamare Tokyo 2020 (mantenendo la datazione dell'anno in cui si sarebbero dovute svolgere) e che inizierà il 23 luglio prossimo, rischia di essere ricordato per questa bizzarria violenta che consentirà ad atleti uomini che dicono di "sentirsi donne", e come tali autorizzati dal COI, di gareggiare slealmente contro atlete donne.

Sempre sul Feminist post leggiamo che il contesto nipponico sarebbe in ritardo sulla galoppata dei diritti LGBT e lettere a seguire:

Per questo Linda Blade, ex campionessa di atletica e attualmente educatrice sportiva canadese, ha deciso di scrivere al comitato che organizza i giochi olimpici e al popolo giapponese tutto. Sa di cosa sta parlando perché nel suo paese questa ideologia è più avanti nell'opera di confusione e violenza che introduce nella società, a tutti i livelli, penalizzando fra tutti soprattutto le donne.

Non è innocuo usare questa immagine proprio in Giappone, un popolo che ancora vive un disordine post traumatico da quel che è accaduto il 6 e il 9 agosto del 1945, ma forse è giustificato dal potenziale distruttivo nascosto in una cosa che non ha nemmeno l'aria di essere un ordigno.

Anche l'Italia potrà sfoggiare un atleta maschio che corre nella categoria femminile; si tratta di un atleta paralimpico, poiché ipovedente, nato Fabrizio Petrillo e ora Valentina. Ci assicura che l'essere nato maschio non lo avvantaggia nei confronti delle altre (le sole) atlete donne. Alcune atlete si sono già opposte a questa situazione, inviando una lettera alla Ministro Bonetti e alla sottosegretaria Vezzali.

Con tutto il rispetto e l'amore che la persona merita per i drammi e le ferite che solo lei conosce - e nemmeno fino in fondo - sentirsi donna, sperare e ahinoi ottenere che le istituzioni assecondino questo fenomeno, significa poi esercitare una oggettiva ingiustizia nei confronti delle donne nate tali; quelle che si ritrovano cioè con caratteristiche fisiche, biochimiche, psicologiche e persino spirituali che le differenziano significativamente da chi è nato e resta maschio, nonostante le manipolazioni e le menomazioni inflitte al suo corpo con interventi chirurgici e bombardamenti ormonali farmacologici.

Ciò che per gli uomini transgender viene promosso come inclusione si traduce inevitabilmente per le donne come invasione e intrusione.

E se nel contesto atletico e sportivo in genere questa pseudo-compassione si traduce in uno svantaggio tutto femminile, in altri ambiti significa rischio di violenza vera e propria. La prova più eclatante, per ora, sono le aberrazioni alle quali si assiste all'interno delle carceri nord-americane (in Canada e in California è già così) dove uomini che si dischiarano donne finiscono in reparti femminili spesso a scopo predatorio.

Speriamo che il palcoscenico olimpico mostri a tutti quanto questa apertura ai cosiddetti diritti trans sia un'ingiusta prepotenza. Speriamo di poter continuare a dirlo.

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