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«Maternità fragili» un servizio del Niguarda per le gravidanze difficili

PREGNANT, WOWAN, HOSPITAL
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Annalisa Teggi - pubblicato il 10/06/21
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Possono esserci serie difficoltà nel farsi carico di un bambino e l'aborto non è l'unica via. All'ospedale Niguarda di Milano c'è un servizio di ascolto e accompagnamento per mamme che valutano il parto in anonimato.

Restare incinta può lasciare spiazzate, accadere in circostanze di estrema indigenza o violenza. Una gravidanza può anche mettere una coppia di genitori di fronte a una disabilità che spaventa. Sarebbe falso dire in astratto che la consapevolezza del «bene» che è la presenza di una vita basta a curare le ferite, lenire le paure, dare la forza per superare tutti gli ostacoli.

Proprio la certezza di quel bene, spalanca le porte a un'accoglienza operosa, solerte e creativa verso chi sente sulla sua pelle tutta l'inadeguatezza di diventare madre o genitore in circostanze non favorevoli. Non siamo supereroi, siamo fragili. Ma c'è così tanto attrito ad ammetterlo e accettarlo.

E' terribile concepire un figlio in un contesto di violenza. Non è facile diventare una madre single. Disorienta accogliere una diagnosi prenatale di disabilità. «Non me la sento» è una frase molto onesta, non merita l'etichetta dell'ignavia. Quello che invece merita di essere disinnescato è il cortocircuito cupo in base a cui l'unica soluzione alla paura e all'inadeguatezza sia l'aborto.

Per fortuna ci sono finestre ariose di realtà da cui entra un vento meno cinico, più balsamico (per l'anima).

La legge italiana prevede che una madre possa partorire in anonimato. L'esistenza di questo diritto non basta. Facciamo il caso banale di una ragazza con un lavoro precario e che ha dei dubbi sulla sua maternità proprio perché potrebbe costarle il posto. Non basta che lei sappia che può partorire e affidare il figlio a un'altra famiglia. Se la sua scelta diventa quella del parto in anonimato, le occorrerà essere accompagnata nei nove mesi che precedono la nascita, perché c'è da aspettarsi che le obiezioni in ambito lavorativo si manifestino in modo feroce già durante la gravidanza.

C'è bisogno di supporto proprio nel tratto di strada che porta a una nascita e poi a un affido. Innazitutto perché le mille variabili per cui si sceglie di non essere genitore del proprio figlio chiedono di essere ascoltate, non giudicate. Anche questa scelta è un gesto di maternità, e non del suo contrario. Accompagnare alla nascita un bambino è essere madre.

L'ascolto era al centro del servizio «Madre segreta» attivo presso la Provincia di Milano fino al 2015. Offriva supporto e accompagnamento gratuito offerto alle donne e alle coppie che affrontavano una gravidanza difficile. Lo scopo era quello di dare precise informazioni sui diritti della madre e del bambino, di indicare le risorse disponibili nei Servizi Sociali e sanitari pubblici e privati del territorio.

Per proseguire questa esperienza virtuosa è nato nel 2019 il servizio «Maternità fragili», ospitato all'ospedale Niguarda di Milano e gestito dall ARP (Associazione per la ricerca in psicologia clinica).

Psicoterapeute specializzate danno la propria disponibilità a colloqui gratuiti che non hanno lo scopo di orientare a una scelta precisa, ma di fornire alla mamma in difficoltà tutto il supporto di informazioni e competenze per compiere una scelta davvero libera.

La professoressa Donata Luzzati, responsabile del progetto ha dichiarato:

Leggendo la cronaca si tende a spostare gli occhi altrove. Non la cronaca in sé, a dire il vero, bensì ciò che viene usato per catturare l'attenzione mediatica. In tema di gravidanza, è paradossale che la parola libertà abbia finito per sovrapporsi a quella di aborto. Libertà è una parola che presuppone una molteplicità di direzioni da poter seguire, ma quando si tratta di gravidanze 'non desiderate' sembra che ci sia un'unica direzione se non si intende diventare genitori: sopprimere il bambino.

Negli ultimi giorni campeggia su tanti giornali il discorso di Paxton Smith, una studentessa del Texas che, in occasione del suo discorso pubblico di diploma, ha tuonato in difesa del diritto all'aborto che lo Stato in cui vive avrebbe messo in discussione. E l'argomentazione è ammiccante, quanto falsata all'origine.

Cara Paxton, figurati se non hai ragione ad aspirare a un futuro. Hai talmente ragione che dovresti essere onesta nel dire che tutti hanno diritto a un futuro, anche il bambino concepito. L'origine che si trascura è sempre la medesima: la donna incinta non è più l'unico soggetto singolare in causa. Gravidanza significa - siamo qui a ribadire l'ovvio che sempre meno ovvio è - aver a che fare con due persone e due libertà, quella della madre e quella del bambino, ed è il vero presupposto liberante. L'aborto esclude la libertà della donna di non voler sopprimere una vita, anche se non può accudirla.

Un altro dato che sta diventanto sempre più taciuto e oscurato è il dolore di chi fa i conti con una gravidanza che non può accogliere. C'è, qualunque cosa urlino i megafoni di certe ideologie femministe. C'è ed è sacrosanto perché siamo umani, non disumani ( ci provano, ma faremo sempre fatica ad accettare senza esserne feriti di uccidere un altro uomo, per quanto piccolo). Il dolore chiede lentezza, ascolto. Chiede di essere aperto e condiviso. Non chiede affatto una pillola da deglutire in solitudine.

L'immagine della donna libera, padrona del suo futuro che vuole scegliere come e quando fare figli fa parte di una minoranza molto minore. La verità è che chi affronta delle gravidanze 'non desiderate' si trova spessissimo, nella cruda realtà dei fatti, in situazioni lontane anni luce dalla donna astratta delle riviste rosa.

Nella quasi totalità non da coppie ma da donne sole, che vivono le difficoltà dell’attesa di un bambino senza la condivisione con un partner. Nella nostra esperienza le coppie si presentano soprattutto nei casi di diagnosi di disabilità o malformazioni del nascituro o del neonato - Donata Luzzatti

La parola chiave è sempre - drammaticamente - quella: sole. Il discrimine è altrettanto chiaro. Quella solitudine può essere venerata come idolo, fino a diventare un ghetto: ed è il regno poco incantato delle pillole abortive e di visite mediche che alla svelta firmano fogli di IVG.

Oppure quella solitudine può essere chiamata col chiaro nome di nemica e ci si impegna a creare spazi come i CAV, come "Madri fragili" e come tutti quelli che verranno in mente a uomini di buona volontà (e senza nessuna etichetta di partito, fede, ecc). Veri ritagli di libertà che mettano a tema il bene intero di una persona, proprio nel momento più critico della sua vita. Oggi più che mai il tema non è la libertà di scelta (che vuol dire 'poter abortire'), ma la difesa e tutela di ogni persona affinché possa arrivare a una scelta davvero libera.

Per chi è interessato questi sono i recapiti per potersi mettere in contatto con "Maternità Fragili":

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