Pregare non è in contraddizione con “l’operosità quotidiana”, con “i tanti piccoli obblighi e appuntamenti”, “semmai è il luogo dove ogni azione ritrova il suo senso, il suo perché e la sua pace”. È sulla perseveranza della preghiera che ruota stamani la catechesi del Papa all’udienza generale nel Cortile di San Damaso.
Nello scandagliare come pregare con perseveranza, il Papa parte dall’itinerario spirituale del Pellegrino russo, un testo ascetico russo, scritto fra il 1853 e il 1861. Le parole di San Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie», colpiscono quell’uomo che si domanda come sia possibile realizzarlo “dato che la nostra vita è frammentata in tanti momenti diversi, che non sempre rendono possibile la concentrazione”. Da questo interrogativo comincia la sua ricerca, che lo condurrà a scoprire quella che viene chiamata la preghiera del cuore che il Papa esorta i fedeli presenti a ripetere con lui più volte.
Essa consiste nel ripetere con fede: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!”. “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!”. L’avete sentita? La diciamo insieme? “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Una semplice preghiera, ma molto bella. Una preghiera che, a poco a poco, si adatta al ritmo del respiro e si estende a tutta la giornata
In effetti, nota, “il respiro non smette mai, nemmeno mentre dormiamo; e la preghiera è il respiro della vita”.E ancora si fa riferimento al monaco Evagrio Pontico, vissuto nel IV secolo, che diceva: «Non ci è stato comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente – no, questo non è stato domandato -, mentre la preghiera incessante è una legge per noi». C’è dunque un ardore della vita cristiana che non deve mai venire meno: “un po’ come quel fuoco sacro che si custodiva nei templi antichi, che ardeva senza interruzione” così, rimarca il Papa, “ci deve essere un fuoco sacro anche in noi, che arda in continuazione e che nulla possa spegnere”. Anche le parole di San Giovanni Crisostomo - un altro pastore attento alla vita concreta, vescovo e dottore della Chiesa vissuto nel IV secolo e fino agli inizi del V - sono d’aiuto per esortare alla costanza della preghiera: «Anche al mercato o durante una passeggiata solitaria è possibile fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate». La preghiera, dunque evidenzia ancora Francesco, “è una sorta di rigo musicale, dove noi collochiamo la melodia della nostra vita”.
Il Papa è consapevole che non è facile mettere in pratica questi principi. Ad esempio, “un papà e una mamma, presi da mille incombenze, possono sentire nostalgia per un periodo della loro vita in cui era facile trovare tempi cadenzati e spazi di preghiera”.
Poi, i figli, il lavoro, le faccende della vita famigliare, i genitori che diventano anziani… Si ha l’impressione di non riuscire mai ad arrivare in capo a tutto. Allora fa bene pensare che Dio, nostro Padre, il quale deve occuparsi di tutto l’universo, si ricorda sempre di ognuno noi. Dunque, anche noi dobbiamo sempre ricordarci di Lui!
Centrale, infatti, è anche il lavoro, che nel monachesimo cristiano è sempre stato tenuto in grande onore, non solo per il dovere morale di provvedere a sé stessi e agli altri, ma anche per una sorta di equilibrio interiore. “È rischioso per l’uomo - rimarca il Papa - coltivare un interesse talmente astratto da perdere il contatto con la realtà”. Fra l’altro, rileva ancora, “nell’essere umano tutto è “binario”: il nostro corpo è simmetrico, abbiamo due braccia, due occhi, due mani”:
Così anche il lavoro e la preghiera sono complementari. La preghiera – che è il “respiro” di tutto – rimane come il sottofondo vitale del lavoro, anche nei momenti in cui non è esplicitata. È disumano essere talmente assorbiti dal lavoro da non trovare più il tempo per la preghiera. Nello stesso tempo, non è sana una preghiera che sia aliena dalla vita. Una preghiera che ci aliena dalla concretezza del vivere diventa spiritualismo, oppure, peggio, ritualismo.
Gesù, infatti, dopo aver mostrato ai discepoli la sua gloria sul monte Tabor, non volle prolungare quel momento di estasi, ma riprese il cammino quotidiano, “perché quella esperienza doveva rimanere nei cuori come luce e forza della loro fede”, spiega il Papa sottolineando che “i tempi dedicati a stare con Dio ravvivano la fede, la quale ci aiuta nella concretezza del vivere, e la fede, a sua volta, alimenta la preghiera, senza interruzione”. È, dunque, “in questa circolarità fra fede, vita e preghiera” che “si mantiene acceso quel fuoco dell’amore cristiano che Dio si attende da noi”.