Da uno sport duro e massiccio come il rugby all’incontro con il Signore come parroco. E’ la “parabola” di Don Matteo Olivieri della parrocchia di San Pietro Martire in Santa Anastasia in Verona.
«Anche se il nome della mia parrocchia è un po’ lungo - scrive in una lettera a Verona Fedele (1 giugno) - mi piace ricordare questi due santi a cui si è legata la mia storia fin dalle scuole medie, quando ho incominciato a frequentare la basilica. Qualora una persona accolga la chiamata di Cristo e scelga di donarsi a Lui, credo sia normale guardare gli esempi di chi lo ha preceduto e, tra i santi, i martiri sono la testimonianza più salda per chi voglia compiere nella Chiesa il viaggio della vita».
Prima di ricevere la chiamata del Signore, spiega Matteo, «al presbiterato ero uno dei tanti giovani che, cercando la felicità e la realizzazione, progettano il loro futuro secondo quanto sembri il meglio. Terminati gli studi classici al liceo “Alle Stimate” e desiderando diventare pubblico ministero, mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Verona e successivamente alla scuola di specializzazione».
Era in quegli anni che il futuro parroco di San Pietro Martire ha praticato il rugby, «uno sport meraviglioso che ho iniziato da ragazzo alle medie fino alla serie A1, dentro le fila del Cus Verona rugby che di fatto è divenuta la mia seconda casa. Conclusi gli studi, nell’attesa che venisse bandito il concorso pubblico, mi sono trasferito in Francia, a Nîmes, dove ho potuto realizzare il sogno di ogni giocatore di rugby: giocare nel campionato francese, il migliore del mondo!».
In quel periodo il futuro sacerdote non era, però, una persona felice: non bastavano i successi nel rugby e le tante soddisfazioni personali. «Avrei dovuto essere molto contento, stavo realizzando i miei progetti, eppure sentivo nel mio cuore una mancanza; una domanda senza risposta. Fino ad allora credo di aver vissuto la fede nello stesso modo in cui molti cristiani la vivono: con tiepidezza. Dio era qualcuno da rispettare e onorare per poter vivere con serenità la propria vita. Chiaramente non ero così esplicito nell’ammetterlo, ma nei fatti la vivevo in tale maniera».
Per questi motivi, prosegue Don Matteo Olivieri, «il dono più grande che mi ha offerto questo cammino di fede è stato iniziare a conoscerlo non per sentito dire, ma per davvero. Mi sono sentito amato, chiamato e cercato con insistenza proprio da Lui. Questo ha permesso di guardare in profondità la mia vita. Mi ha stupito rendermi conto dei tanti doni che Dio mi aveva concesso mediante le meravigliose persone di cui mi aveva circondato per parlarmi di Lui. La mia famiglia, i miei parenti ma anche i miei parroci e gli educatori che mi hanno testimoniato la fede cristiana. Sono davvero grato a Dio per i suoi benefici».
«Per fortuna mia - Don Matteo Olivieri - e mi auguro per ognuno di noi, la pazienza e l’insistenza di Dio nel chiamare ogni sua creatura alla comunione con Lui opera davvero miracoli!».