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Fra entusiasmo della ripresa e paura di ricadute: puntare sulla tenerezza

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Benoist de Sinety - pubblicato il 31/05/21
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Si riapre tutto, con cautela, come è giusto che sia, ma l'euforia non deve soffocare il pensiero di quanti la pandemia ha ferito più gravemente e rischia di lasciare menomati. In fondo, se ci guardiamo dentro onestamente, un po' tutti.

Ora che gli stadî riaprono e che i boati delle curve riprenderanno a risuonare nelle domeniche pomeriggio cittadine, basterà questo a soffocare gli sfrigolii di angoscia e di collera che minacciano il Paese? È stato detto molte volte: i giorni felici sono riducibili al divertimento che procura una partita di calcio, all’eccitazione trepidante che s’impossessa dei corpi quando risuona un concerto, o anche all’ebbrezza estiva di balere e stabilimenti aperti tutta la notte? 

Panem et circenses… e se lo dicevano loro, gli antichi Romani, comunque una civiltà gloriosa, perché non dovremmo adeguarci anche noi? Senza arrivare agli eccessi dei soliti malpancisti che grugniscono davanti alle folle gioiose o che applaudono per una prodezza sportiva, consapevoli che queste gioie sono umanissime e dunque relativamente necessarie ai nostri equilibri naturali… ma se cercassimo di tessere l’elogio d’altro, rispetto all’eccitazione che ci procurano le nostre carte bancarie o i nostri portafogli non sempre così floridi? 

In Giappone, fateci caso, il malumore monta ogni giorno di più – a quanto se ne sa – in un popolo normalmente molto attento all’immagine che dà di sé all’estero: sono sempre più numerosi a chiedere il rinvio alle calende greche dei prossimi Giochi Olimpici. E non semplicemente – come qualcuno ha sbrigativamente commentato – per paura di una recrudescenza dell’epidemia; bensì perché, tutto considerato, sembra più ragionevole spendere denaro ed energie per arginare la pandemia piuttosto che nell’organizzare un evento di cui si sappiamo bene di poter fare a meno, per il momento. 

Vedremo se gli argomenti nipponici avranno un seguito, ma c’è da scommettere gli i possenti interessi economici troveranno i loro generosi argomenti per isolare la contestazione. Anzitutto mediante il silenzio, visto che fino a oggi è stato possibile non parlare troppo degli imminenti mondiali di calcio e delle condizioni inumane – “eco-cide” e criminali – in cui vengono organizzati. 

Sì, il motto latino che da millenni serpeggia nei consigli delle eminenze grigie ai poeti, quando si tratta di calmare sommosse popolari o “tensioni sociali” (come si dice oggi), quel motto sembra avviato a una rinnovata primavera. A meno che non gli venga opposta un’alternativa, perché non si ha il diritto di criticare se non si propone una strada praticabile e concreta. E quale alternativa proporre alla logica consumistica di una felicità umana che si compra e si vende, se non quella che invece la vuole gratuita e irriducibile a qualsivoglia costrizione? 

E perché non fare l’umile e semplice elogio – in questi giorni che vedono la primavera sbocciare in estate – della tenerezza? La tenerezza che abita l’anima di ogni uomo e che cerca sempre di esprimersi, posto che i nostri pudori, i nostri principî o le nostre timidezze non la trattengano. 

Non che si debbano sciogliere le briglie ai sentimenti, ma forse magari averne un po’ meno paura… Decidere che dire all’altro che gli vogliamo bene o dimostrarglielo non è segno di debolezza, o meglio che questa debolezza è un pegno di forza: perché esponendomi così allo sguardo altrui decido di non fidarmi se non della potenza dell’amore che dentro di me m’ispira di osare. E accetto di non dipendere più dall’apparenza che giorno dopo giorno mi costruisco per corrispondere a quest’uomo (o “questa donna”) che dev’essere performante, esemplare, irreprensibile… e produttivo. 

Lasciare che l’Amore faccia la propria opera, non sottrarmi e scoprire che così divento veramente forte, che la paura del fallimento non mi tiene più, che l’inquietudine di essere scoperti meno grandi di quanto io pretenda viene allora annientata. Sì, la tenerezza – quel linguaggio di parole e di corpi che permette di dire ed esprimere l’Amore ospitato nel cuore – è senza alcun dubbio la grammatica che dà al mondo un nuovo senso e apre più sicuramente degli slogan e delle diatribe a un mondo rinnovato. 

Nel mese che si chiude oggi abbiamo festeggiato le madri: è appassionante vedere come il tema ci veda tutti a un crocevia. La festa viene ancora celebrata, sì, anche se le sue origini sono ormai passate e remote… è difficile non pensare che sia la solita logica dei consumi a tenerla in piedi, come se il suo aspetto commerciale permettesse ai più pudibondi tra noi di dimenticare il suo portato storico. 

Mi sembra che se questa ricorrenza riscontra ancora consensi quasi unanimi ciò si debba perché è una delle date-simbolo dell’elogio della tenerezza al quale aspiriamo. La madre non dovrebbe essere per ciascuno di noi quella di cui il viso, per primo, ci rivela semplicemente che siamo fatti – fin dai nostri primi istanti di vita terrena – per accogliere l’Amore e per condividerlo? Non è profetico di una tenerezza che è la condizione perché la vita ci sia, perché essa cresca? E perché porta frutto, sicuramente più dei boati degli stadi, ovunque si manifesti? 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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