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“The Father”, un toccante requiem sul morbo di Alzheimer

the father
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Louise Alméras - pubblicato il 27/05/21
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Premiato con l'Oscar al Miglior Attore per la sua incredibile performance, Anthony Hopkins ha offerto il volto all'immagine tanto amata del padre. “The Father” è di gran lunga il film più commovente dell'anno.

Adattato dalla pièce teatrale originale intitolata “Le Père” (2012), il film del drammaturgo Florian Zeller, spiazzante e sensibile, abborda la difficile realtà del morbo di Alzheimer. Con l'occasione, il regista si è circondato di un'eccellente équipe artistica, dal compositore Ludovico Einaudi al direttore della fotografia Ben Smithard (Downtown Abbey il film, King Lear), senza dimenticare il cast, che comprende Anthony Hopkins, 83 anni, nel ruolo del padre anziano, e Olivia Colman (Thw Crown, The Lobster) che interpreta Anne, una figlia dedita al padre.

Attraverso il tema della demenza senile, Florian Zeller affronta l'impatto che quel declino ha su ciascuno dei cari, ma anche la tenerezza e l'abnegazione di parenti e amici. Se l'opera assomiglia a un Requiem è perché è al contempo bella e dolorosa: il rispetto del padre, fino alla fine e malgrado tutto – ecco la grandezza di questo film che restaura il senso del fine vita così com'è, senza trucco e senza inganno ma con grande virtuosismo.

Le tre cose più importanti nella vita sono indubbiamente i legami, i ricordi e il tempo. In altre parole la gioia di essere legati dall'amore, di conservare tracce della propria vita e di poterla continuamente vivere come si vuole. Nella cornice di un appartamento londinese, però, questi tre elementi si slegano mano a mano che progredisce la malattia di Anthony, già ingegnere “molto intelligente”, come ama ricordare, padre di due figlie, una delle quali l'ha accolto in casa propria.

Anthony Hopkins è di volta in volta caratteriale, bizzarro, fantasioso e perduto dalle cose che accadono senza mai assomigliarsi o spiegarsi, per poi risultare false o completamente diverse. Passa il proprio tempo a cercare l'orologio, a credere che glie l'abbiano rubato; e chi è quell'uomo che si introduce a casa sua? Perché l'altra figlia non va mai a trovarlo? La sua memoria gli gioca brutti scherzi e lui non lo sa. Eppure vorremmo credergli, rendergli la sua dignità di uomo maturo e compiuto che può ancora mandar giù un whisky tutto d'un fiato e gustarsi arie d'opera. Alla sua età, invece, torna bambino perché non può più cavarsela da solo.

Le infermiere si avvicendano per sostenere Anne sotto il grave carico, ma la memoria continua a cancellarsi: il dovere filiale e l'amore devoto s'incrinano di fronte alle difficoltà. Le scene si susseguono in un crescendo mano a mano che si vivono nei panni di Anthony la perdita dei punti di riferimento e l'incomprensione. Più che la malattia, è lo scombussolamento generale ad essere difficile, ed è questo che colpisce lo spettatore come uno schiaffo in pieno volto. Certe scene sono dure, anche se il film cresce in lentezza oltre che in intensità proprio per rendere più dolce il dolore.

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Senza l'amore non sarebbe doloroso; neppure senza il rispetto che si accorda a una persona anziana, come si può vedere con Laura, la delicatissima infermiera. È il profondo radicamento nell'umano che rende questo film sconvolgente e benefico, in particolare attraverso le figure femminili che – contrariamente a certi uomini della storia – portano in loro grande rispetto per la vita, anche per quella che declina, e l'accompagnano teneramente fino in fondo. Sono loro a rendere a questa tragedia la bellezza della vulnerabilità. In funzione di ciò, non si può fare economia di dedizione.

È un gran film quello che Florian Zeller ci offre qui: ci permette di comprendere la situazione di ciascuno – dal bambino sprovvisto di mezzi che vuole aiutare il padre ma che deve far fronte al richiamo della vita fino a colui che, poco a poco, viene spogliato di tutto e che ha bisogno di essere protetto e amato.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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