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Esperienze di Morte Imminente: che cosa pensarne

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Mons. André-Joseph Léonard - pubblicato il 21/05/21
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Le Esperienze di Morte Imminente (EMI) ci ricordano che la nostra percezione comune, quella della vita di tutti i giorni, è ben lungi dall’esprimere l’intero spettro della realtà. I loro elementi caratteristici, inoltre, sono assai coerenti con la fede cristiana.

Le Esperienze di Morte Imminente (EMI) sono oggi relativamente ben conosciute, attestate in tutte le culture e in tutti i continenti: su di esse abbiamo ormai numerosi studi e svariate migliaia di testimonianze convergenti. 

Da principio ci fu lo psicologo ed epistemologo francese Victor-Émile Egger, professore alla Sorbonne, che per primo impietro l’espressione “expérience de mort imminente”, nel 1896, nel saggio Le Moi des mourants [“L’Io dei morentiN.d.T.]. Dottore in Filosofia e medico americano, Raymond Moddy ha ripreso l’espressione parafrasandola in “Near Death Experience” (NDE), ed ha studiato seriamente il fenomeno per una ventina d’anni analizzando vagonate di testimonianze di persone che attestavano di aver vissuto un’esperienza di morte imminente. Questo lavoro è stato puntellato dalla pubblicazione di tre opere che sono diventate pietre miliari: Life after life (La vita oltre la vita) del 1975, prima opera dedicata alla questione delle EMI, venduto in 20 milioni di esemplari, nel quale si riportavano 150 racconti di stati comatosi o di morti cliniche che avrebbero fatto da cornice ad EMI; Reflections on Life after Life (non tradotto in italiano) nel 1977; The Light Beyond (La luce oltre la vita) nel 1988. Al termine del suo pionieristico studio, Raymond Moody si risolse nello spiegare il fenomeno in maniera decisamente spiritualistica, poiché non riusciva a renderne conto in modo più razionale. 

Da una quarantina d’anni lo sviluppo e il perfezionamento straordinario delle tecniche di rianimazione hanno permesso un’eccezionale moltiplicazione del numero di EMI a noi note, e questo ci ha permesso di conoscere il fenomeno più da vicino. Testimonianze sempre più numerose hanno poco a poco permesso a tutti quelli che avevano vissuto qualcosa del genere di uscire dal silenzio in cui s’erano trincerati (per paura di essere presi per matti). Il fenomeno è dunque oggi abbastanza conosciuto e sufficientemente importante perché possa essere studiato in maniera statistica e scientifica, a partire da dati che vengono da ogni parte del mondo e da ogni cultura (si veda Evelyn Elsaesser-Valarino, D’une vie à l‘autre. Des scientifiques explorent le phénomène des expériences de mort imminente, Paris, 1999). Il 17 giugno 2006 un incontro riunì a Martigues i più grandi esperti internazionali per redigere per la prima volta il bilancio di anni di ricerche e riflessioni attorno a un fenomeno fuori dal comune che aveva però ormai suscitato numerosi studi. 

Le testimonianze ripetono in generale una parte dei seguenti elementi caratteristici: 

    La prima fase fa seguito a un incidente, a un arresto cardiaco o ad altri fattori laddove una persona (uomo o donna, adulto o bambino) si ritrova in stato di morte cerebrale. All’improvviso essa ha l’impressione di “uscire dal proprio corpo” e di fluttuare al di sopra di sé stessa, nei dintorni del soffitto della stanza; può vedere e osservare cose che accadono nei pressi, con ogni angolazione. In questo stadio, essa percepisce di essere dotata di capacità inusitate fino ad allora: visuale a 360°, capacità di varcare muri e altri ostacoli, levità corporea, comunicazione istantanea “da spirito a spirito” e via dicendo. 

    Nella seconda fase il soggetto è attratto in un lungo “tunnel” che sbocca in una luce ineffabile, magnifica. Questa bellezza luminosa è stata comparata alla porta del paradiso. Il soggetto può allora “incontrare” (ma ciò non è sistematico) parenti o amici scomparsi, un “essere di luce”, degli “angeli” o anche Gesù o Maria. I paesaggi che egli vede sono di bellezza indescrivibile. La persona sente talvolta una musica improbabile. 

    Infine, nella terza fase, il “paziente” reintegra il corpo, ritrova i dolori che erano stati i suoi, si sente nuovamente limitato nel proprio involucro carnale. L’aspetto più notevole è la similitudine delle tappe riportate dai testimoni che le hanno vissute e raccontate, quali che fossero le loro razze, età, lingue o nazionalità. 

    Moody per primo ha potuto definire una lista di punti comuni che si ritrovano nella maggior parte delle testimonianze: 

      Diversi racconti di esperienze EMI non alludono che a una o due di queste caratteristiche, ma esse provocano il più delle volte un’impressione tanto potente e forte che si traducono in cambiamenti radicali nella vita delle persone. 

      L’insieme dell’esperienza è spesso caratterizzato da una sensazione di benessere, e ciò malgrado l’impressione o la certezza di star morendo. Tutte le testimonianze concordano sulla perfetta lucidità durante l’esperienza, che tutti descrivono come reale almeno tanto quanto quella quotidiana (se non di più). In particolare, essa sarebbe inconfondibile con un sogno o un’allucinazione. 

      I testimoni evocano talvolta l’incontro con «esseri cari estinti» o ancora di un «essere irraggiante bontà, sapienza e amore», che talvolta li accompagna in una revisione della loro esistenza, orientando la loro attenzione su punti importanti. Alcuni dicono di aver percepito l’insieme delle loro vite con un solo colpo d’occhio, altri hanno rivissuto alcuni momenti-chiave, percependo simultaneamente le emozioni di tutti coloro che partecipavano alla scena, nonché le conseguenze dei loro atti. Poi il testimone comprende che bisogna tornare nel luogo da dove proviene, e spesso a questa consapevolezza si associa l’acquisita nozione di un compito da portare a termine. 

      Ci sono anche delle EMI negative, terrificanti, ma sono rare: esse si traducono in visioni di fiamme o di acque oscure, con degli aspetti angoscianti (sofferenze, grida, urla, vuoto, regioni infernali); contrariamente alle EMI positive, di queste esperienze abbiamo poche testimonianze, ma nella maggior parte dei casi anche’esse dànno luogo a profondi cambiamenti di vita. 

      Sono attestate anche alcune «esperienze di morte condivisa» (EMC). Raymond Moody le evoca nel suo terzo libro, distinguendole dalle EMI (con le quali condividono la decorporazione, la visione autoscopica, la luce mistica, il senso di benessere, d’amore e di pace) per quest’unico dettaglio: sono vissute da persone in buono stato di salute, fisica e psicologica, e si manifestano al momento della morte di una persona cara. Queste persone stanno allora vicine al corpo e si sentono trasportate altrove, come se uscissero dal loro corpo e venissero immerse in una intensa luce. Esse partecipano alla dipartita del prossimo dopo aver generalmente rivisto accanto a lui tutta la sua vita. 

      Questi fenomeni sbalorditivi hanno molti motivi d’interesse, perché ricordano che la nostra percezione della vita quotidiana è ben lungi dall’esprimere l’intero spettro della realtà: anche la scienza ha mostrato che non abbiamo accesso se non a una parte infima del cosmo, e la fede insegna che il Paradiso terrestre e quello celeste ci sfuggono… Le EMI sembrano compatibili con le teorie di una realtà allargata con l’approssimarsi della morte. 

      Ci sono molte testimonianze sbalorditive che riferiscono di conoscenze impossibili, per i testimoni, a maturare per via naturale. Gli studî citano ad esempio il racconto di Maria, che visse la propria EMI durante un arresto cardiaco: ella vide dal di fuori una «scarpa da tennis consumata sull’orlo del mignolo e il cui laccio era infilato sotto il tallone», e ne indicò la collocazione sul davanzale del secondo piano dell’estremità settentrionale dell’edificio in cui si trovava. Dopo aver ascoltato Maria, un medico incredulo partì alla ricerca della misteriosa calzatura, e dopo aver esaminato ogni finestra della zona descritta finì per trovare l’oggetto esattamente come la donna l’aveva indicato. 

      Alcune EMI hanno svelato segreti di famiglia, come ad esempio l’esistenza di fratelli o sorelle ignorati fino ad allora, o anche numerosi dettagli materiali o dialoghi che la persona che viveva l’EMI non poteva aver inteso o veduto dal luogo in cui si trovava. Tanti e tali fatti sono decisamente inspiegabili, e la scienza potrà difficilmente addurre una spiegazione per essi – che sia psicologica, materiale o razionale. 

      Ricorre la percezione di un ambiente – in senso lato – senza la mediazione di organi sensoriali (molte testimonianze sono state corroborate dal fatto che il testimone non poteva aver fisicamente percepito quel che raccontava). Ci sono comunicazioni – sempre in senso lato – uni- o bi-laterali a prescindere dalla mediazione degli organi normalmente votati a quell’uso, e in dimensioni della realtà che non è facile comprendere e descrivere. 

      Nel medesimo ordine di idee, spesso interviene un apporto di informazioni difficile da spiegare, ad esempio nel 1983 il cardiologo Michael Sabom riportò di numerosi testimoni che avrebbero «assistito» alla propria rianimazione e si dimostrarono capaci di descrivere i gesti dell’équipe di rianimazione, o ad esempio il funzionamento dettagliato di un defibrillatore. I testimoni attestano anche peculiarità percettive che tornano costantemente: la percezione “globale” e non visuale, l’ambiente “osservato” a 360°, l’avvertenza di suoni senza il soccorso di apparato uditivo, la percezione (verificata) di pensieri dei partecipanti alla scena e via dicendo. 

      Si parla anche della perturbazione di spazio e tempo, che sembrerebbero nozioni inadeguate – o totalmente diverse e in ogni caso difficili da descrivere. In diversi evocano anche l’accesso, riportato da numerosi testimoni, a una sorta di sapere universale, un serbatoio illimitato di conoscenze. 

      Pamela Reynolds, un’americana di 35 anni, ha vissuto nel 1991 una EMI mentre veniva operata a un aneurisma gigante. Il neurochirurgo Robert F. Spetzler ha utilizzato la tecnica dell’“arresto ipotermico”, nella quale è un rinomato pioniere: essa consiste nell’abbassare la temperatura corporea a 15,5°C e attivare una circolazione sanguigna extracorporea. Pamela è stata dunque mantenuta per 45 minuti con un elettroencefalogramma piatto. Se ne può dunque dedurre che il suo sistema cerebrale fosse privo di qualsivoglia attività. Eppure l’EMI di Pamela si è svolto – a quanto lei ha raccontato – proprio in questo lasso di tempo di arresto cardiaco isotermico. 

      Avrebbe vissuto una decorporazione al momento dell’arresto ipotermico, tanto che si è rivelata in grado di raccontare l’operazione nei suoi minimi dettagli, riportando – con massimo stupore dell’équipe medica – le esatte conversazioni svoltesi tra i chirurghi. È stata pure capace di descrivere gli strumenti utilizzati durante l’intervento, e con dovizia di dettagli tale che non sempre i medici ne hanno una simile. L’esperienza di Pamela ha comportato la caratteristica visione del tunnel e della luce. La sua testimonianza è stata molto mediatizzata, ma molti altri riportano i medesimi elementi, in particolare la visione  o l’ascolto di cose che i testimoni non avrebbero potuto materialmente apprendere lì dove/come si trovavano. Sono testimonianze che rimettono in causa profondamente la dipendenza della coscienza in rapporto al corpo. Le spiegazioni scientifiche immaginate non sono compatibili con le testimonianze concrete, che anzi invalidano le prime: non è possibile spiegare in modo completamente razionale il fenomeno delle EMI, che si mostra refrattario alla riduzione a semplici interazioni cerebrali. 

      La scienza non può che vacillare, su questa materia, perché i suoi metodi e i suoi strumenti sono legati alle leggi fisiche di questo mondo, e non sappiamo se e come essi valgano nell’aldilà. Erwin Schrödinger scriveva già nel 1945, a tal proposito, in Nature and the Greeks

      Le EMI, che si collocano “sulla soglia” della morte e non “oltre”, non dicono tutto del nostro destino al di là della vita presente. Esse parlano di un limite al di là del quale ogni ritorno è compreso come impossibile. Tutte le testimonianze che abbiamo non possono che evocare, evidentemente, ciò che si situa oltre quel limite compreso come decisivo e irrevocabile, e dunque restano “sulla soglia” della morte, non oltre. 

      Tali elementi relativizzano la possibilità di parlare della morte in modo completo: le EMI non evocano che una parte del nostro destino al di là della vita presente. Non possiamo tuttavia trattenerci dal constatare la sorprendente convergenza tra questi fenomeni e ciò che insegna la dottrina cristiana sulla morte e quanto la segue. Per i cristiani, infatti, il passaggio dalla vita terrena alla vita eterna mediante la tappa della morte suppone anche certi elementi che possono essere facilmente messi in corrispondenza con le peculiarità delle EMI: 

        Le EMI riprendono in maniera precisa e dettagliata l’insieme dei temi tradizionali che sono presenti nella dottrina cristiana, al centro della quale si afferma che “Dio è amore”. Cristo è, secondo l’Evangelo, la Vita, la Luce che illumina ogni uomo in mezzo alle tenebre, e che conduce alla vita eterna. 

        Le persone che hanno vissuto delle EMI restano generalmente molto segnate: l’esperienza viene descritta da tutti come indimenticabile, forte, e introduce un cambiamento nella visione del mondo e nella comprensione della natura e dell’universo. Gli studi mostrano che i loro testimoni rimettono totalmente in questione il loro sistema valoriale; alcuni rompono vecchie relazioni in corso, certe volte anche con la loro famiglia se vi sussistono dinamiche disfunzionali. 

        Nel 1988 il cardiologo Più Sam Lommel, insieme con gli psicologi Ruud Van Wees e Vincent Mejers, ha effettuato uno studio retrospettivo nei Paesi Bassi. Questo studio è frutto di quattro anni di ricerche ed è stato seguito da un altro studio, longitudinale, che ha seguito i testimoni nel seguito delle loro vite. I pazienti testimoni di EMI sono stati seguiti per un periodo oscillante fra i due e gli otto anni dall’esperienza: ne è emerso che la maggior parte di loro ha cambiato attitudine riguardo a quanti li circondano, alla morte, alla religione, e in sintesi hanno visto crescere la fiducia nella vita e in loro stessi. 

        Le esperienze di morte imminente hanno quasi sempre un impatto profondo sull’individuo, che si traduce in un cambiamento di vita. Questo impatto è riconosciuto dagli psicologi che hanno studiato i casi di EMI. Le attitudini materialiste e la ricerca di riuscita sociale e finanziaria si trasformano spesso in un bisogno di aiutare gli altri. Anzi, nella maggior parte dei casi la persona diventa intimamente persuasa di una realtà spirituale talvolta indipendente da ogni pratica religiosa. La maggio parte delle persone testimoni di EMI si “converte” nelle settimane o nei mesi seguenti; la loro attrazione per le cose materiali e per i traguardi mondani scema, mentre cresce il gusto per la spiritualità, per l’invisibile e per l’eterno. 

        Tutti si convincono di una forma di vita dopo la morte. Benché nessun legame sia stato travato tra l’orientamento religioso e la possibilità di vivere un’EMI, numerosi altri studi riportano una crescita del sentimento religioso dopo l’EMI e un maggiorato interesse per la spiritualità e la preghiera. Dopo questa “sbirciatina al Cielo” o la “visione del Signore” quasi tutti si convincono assolutamente di una forma di vita dopo la morte. 

        E tuttavia bisogna ben guardarsi dall’assimilare le EMI alla genuina esperienza di fede, che non ha affatto bisogno di esperienze straordinarie per essere forte, grande e vera. Assimilare indiscriminatamente la fede e queste esperienze rischierebbe di turbare gli spiriti e i cuori, piuttosto che rischiararli. 

        Anzitutto, le EMI non sono certo riservate ai cristiani: ne hanno vissute e ne vivono persone di tutte le religioni e di tutte le culture. Ora, il cuore e lo scopo della vita cristiana sono Cristo e il suo messaggio, il che suppone che essi siano noti. D’altra parte, la qualità della vita cristiana non si misura col numero o con l’intensità delle esperienze straordinarie: si può essere grandi credenti senza mai aver “visto” coi propri occhi corporali Cristo o la Vergine o gli angeli. Si può diventare santi senza aver vissuto estasi. 

        Il punto di riferimento assoluto per i cristiani – Cristo e l’Evangelo – non è cosa di estasi, di decorporazione o di luci sconosciute. Solo un atto di fede – dunque di fiducia nel Risorto – dà la certezza di essere sulla buona strada verso l’incontro eterno. 

        La fede cristiana non passa, ordinariamente, mediante esperienze mistiche sensibili (cioè sostenute da percezioni): l’Evangelo dà priorità ai credenti e non ai veggenti. Credere in Cristo consiste non nel desiderare di vederlo materialmente, ma nell’accordare una fiducia totale, assoluta, alle sue parole trasmesse dagli apostoli e conservate dalla Chiesa. 

        EMI ed estasi dicono del cuore umano in superficie, come la spuma sulla riva dice qualcosa del mare; ma solo la parola di Cristo, luce che sorge dall’alto, ne rischiara le profondità. 

        [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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