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500 anni fa il futuro sant’Ignazio veniva ferito a Pamplona

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 20/05/21
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Nessuno poteva neanche lontanamente sospettarlo, ma la palla di cannone che fracassò un ginocchio al futuro fondatore della Compagnia di Gesù stava per mettere in moto – con la grazia di Dio – una delle conversioni più decisive e incisive di tutta la storia moderna.

“Non tutti i mali vengono per nuocere”, siamo soliti dire, ma se ci chiedessero di spiegare che cosa intendiamo con questo proverbio potremmo trovarci spiazzati, e allora vagheremmo a tentoni cercando nella memoria un aneddoto che dimostri vero il proverbio: tipo quando mi sono cadute nel tombino le chiavi della macchina, e mentre chinato le ripescavo ho visto lì vicino un portafogli smarrito; o come quando vai a farti controllare un foruncolo dal dermatologo e quello ti salva da un melanoma sull’altra spalla, che noi avevamo trascurato. O centro altre storie di questo tipo. 

Anche la storia della santità è piena di questi aneddoti, e se anzi il Preconio Pasquale saluta il peccato originale come una «felice colpa / che meritò di avere un così grande redentore»… si vede che i singoli aneddoti reiterano un’esperienza fondamentale di caduta e riscatto. Oggi si celebrano nella Chiesa cattolica i 500 anni da uno di questi fatterelli, avvenuto nell’assolata Pamplona. 

Era un giorno come tanti altri, durante le interminabili e cruente scaramucce tra francesi e spagnoli, e una palla di cannone francese fracassò un ginocchio del cavaliere basco Íñigo de Loyola, il quale quella mattina a tutto pensava tranne che sarebbe diventato il Sant’Ignazio senza il quale la storia moderna (in particolare – ma non solo – quella della Chiesa) sarebbe impensabile

Lo stesso Ignazio, però, avrebbe scelto proprio quella data e quell’aneddoto per iniziare il suo “racconto del pellegrino” (un’autobiografia scritta in età matura per l’insistenza dei suoi primi gesuiti): 

Oggi dunque nella Chiesa Cattolica benediciamo quella palla di cannone francese che distrusse il ginocchio di un cavaliere basco, ma la benediciamo perché mentre quest’ultimo, che – a proposito di proverbî – aveva perso il pelo ma non il vizio, si sottoponeva a rudi trattamenti per tornare a vantare la bella figura necessaria con le armi e con le donne, il Signore Gesù si adoperava per erodere in lui le calcificazioni di quel vano amor proprio: tanta tempra, tanta volizione, tanto fervore venivano liberati dalla tirannide egolatrica di un cavaliere di ventura come ce ne furono tanti… e si disponevano a servire liberamente la causa di Cristo e del suo Evangelo. Solo uno, tra quel prato di cavalieri di ventura, diventò sant’Ignazio. 

E che sarebbe stato il mondo, da allora e fino ad oggi, senza quella palla di cannone? Georges Lemaître non avrebbe studiato fisica – giacché la studiò dai Gesuiti (prima di diventare prete) – e chissà se noi sapremmo di un “Big Bang”… Francesco Saverio sarebbe diventato un polveroso barone alla Sorbonne e non sarebbe mai diventato lo sfavillante apostolo delle Indie, né Matteo Ricci o Alessandro Valignano avrebbero avuto motivi per recarsi in Cina e in Giappone- In Paraguay nessuno avrebbe impiantato le Reducciones – primo esperimento moderno di vita evangelica e silenziosa critica alla secolarizzazione del Vecchio Mondo – e almeno una buona metà della vita spirituale e culturale di tutto il mondo ne sarebbe stata gravemente pregiudicata. 

Oggi benediciamo dunque quella palla di cannone che fracassò il ginocchio di Ignazio. E soprattutto il Signore, che scelse non di deviarla bensì di cavalcarla. 

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