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Patriarcato Latino di Gerusalemme: un’“ideologia estremista” dissangua l’anima della Città Santa

JERUSALEM
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Agenzia Fides - pubblicato il 14/05/21
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Continua l'ondata di violenza a Gerusalemme. Cos'è accaduto? Il Patriarcato Latino spiega la situazione

Lo sgombero forzato delle famiglie palestinesi di Gerusalemme dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah da parte delle forze di sicurezza è un'“inaccettabile violazione” di uno dei diritti umani fondamentali, quello di poter vivere in pace nelle proprie case.

La violenza impiegata per impedire che i Palestinesi musulmani raggiungano la moschea di al Aqsa a Gerusalemme, inoltre, “mina la loro sicurezza e il loro diritto di avere accesso ai Luoghi Santi e di pregare liberamente”.

Il Patriarcato Latino di Gerusalemme ha espresso preoccupazione e scoraggiamento di fronte all’escalation di scontri e tensioni che dalla Città Santa si stanno diffondendo in tutta la Terra Santa.

Decine di morti nella Striscia

Lunedì 10 maggio, dopo i missili lanciati da Hamas e altri gruppi palestinesi dalla Striscia di Gaza contro il territorio israeliano, le rappresaglie dell'aviazione israeliana hanno già provocato decine di morti nella Striscia.

Quanto alla situazione a Sheikh Jarrah, il Patriarcato Latino di Gerusalemme, attualmente guidato dal Patriarca Pierbattista Pizzaballa, ribadisce le considerazioni dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, che ha definito “altamente discriminatorio” il modus operandi delle autorità israeliani nei confronti di quello che sta diventando “uno dei punti più critici delle crescenti tensioni a Gerusalemme in generale”.

Sfollamento di otto famiglie arabe

In quella zona di Gerusalemme Est, un chilometro a nord della Città Vecchia, i manifestanti palestinesi si oppongono da giorni allo sfratto di otto famiglie arabe che secondo le disposizioni israeliane dovrebbero lasciare le proprie case a gruppi di coloni ebrei.

Sul piano giuridico, le sentenze di sfratto chiamano in causa il “diritto al ritorno” delle famiglie ebraiche costrette a fuggire da quel quartiere, sempre abitato soprattutto da arabi, durante le varie fasi del conflitto seguito alla nascita dello Stato d’Israele.

Diritto di ritorno

Le autorità di Israele respingono energicamente qualsiasi tentativo di far riconoscere lo stesso “diritto al ritorno” agli ex sfollati palestinesi che vivono da decenni nei campi profughi, compresi quelli che dovettero lasciare le proprie case nella parte di Gerusalemme controllata da Israele fin dal 1948.

Svolge un ruolo fondamentale nella contesa l’organizzazione radicale religiosa di coloni Nahalat Shimon, che negli anni Novanta ha acquisito la proprietà nominale di terreni del quartiere adiacenti alla tomba storica di Simone il Giusto (Shimon Hatzadik), un rabbino vissuto fra il III e il IV secolo a.C. che secondo la Bibbia accolse Alessandro Magno al suo ingresso a Gerusalemme.

L’organizzazione di coloni vuole esplicitamente ridurre la presenza araba a Gerusalemme Est. In un'intervista recente rilasciata al New York Times, il vicesindaco di Gerusalemme, Aryeh King, ha riconosciuto che la battaglia legale portata avanti da Nahalat Shimon fa “certamente” parte di una campagna più ampia per “circondare di strati di ebraici” Gerusalemme Est.

Negare il diritto all'esistenza

In questa situazione, il Patriarcato Latino di Gerusalemme sottolinea nel suo messaggio che l'episodio dello sfratto da Sheikh Jarrah “non riguarda una controversia immobiliare tra privati”, rappresentando “un tentativo ispirato da un'ideologia estremista che nega il diritto di esistere a chi abita nella propria casa”.

Quando all'accesso ai Luoghi Santi, il Patriarcato Latino di Gerusalemme lamenta che “ai fedeli palestinesi è stato negato l'accesso alla moschea di Al Aqsa durante questo mese di Ramadan”.

“Queste manifestazioni di forza feriscono lo spirito e l'anima della Città Santa, la cui vocazione è quella di essere aperta e accogliente; di essere una casa per tutti i credenti, con pari diritti, dignità e doveri”, si legge nella dichiatazione patriarcale.

Gerusalemme non è una città esclusiva

Il Patriarcato Latino ribadisce quella che definisce la “posizione storica delle Chiese di Gerusalemme” davanti a “ogni tentativo inteso a rendere Gerusalemme una città esclusiva per chiunque”.

“Questa è una città sacra alle tre religioni monoteiste e, sulla base del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, anche una città in cui il popolo palestinese, composto da cristiani e musulmani, ha lo stesso diritto di costruirsi un futuro basato sulla libertà, l'uguaglianza e la pace”, continua il documento. “Chiediamo pertanto un assoluto rispetto dello status quo di tutti i Luoghi Santi, compreso il complesso della moschea di Al-Aqsa”.

Senza nominare esplicitamente alcun governo, il Patriarcato si riferisce all'autorità “che controlla la città” e che “dovrebbe proteggere il carattere speciale di Gerusalemme, chiamata ad essere il cuore delle fedi abramitiche, un luogo di preghiera e di incontro, aperto a tutti e dove tutti i credenti e i cittadini, di ogni fede e appartenenza, possono sentirsi a ‘casa’, protetti e sicuri”.

Pregare per la pace a Gerusalemme

La pace, prosegue il documento patriarcale, “richiede giustizia”, e finché “i diritti di tutti, israeliani e palestinesi, non saranno sostenuti e rispettati, non ci sarà giustizia e quindi nessuna pace nella città”. Nella parte finale del testo, sezione conclusiva del pronunciamento, il Patriarcato Latino di Gerusalemme chiede “alla Comunità Internazionale, alle Chiese e a tutte le persone di buona volontà di intervenire per porre fine a queste azioni provocatorie e di continuare a pregare per la pace di Gerusalemme”.


Prima del documento del Patriarcato, i responsabili delle Chiese della Città Santa avevano già espresso in un comunicato congiunto la loro preoccupazione e lo scoraggiamento “per i recenti episodi di violenza a Gerusalemme Est, sia alla moschea di Al Aqsa che a Sheikh Jarrah, che violano la santità del popolo di Gerusalemme e quella di Gerusalemme come Città della Pace”.

Giovedì 6 maggio, Riyad al Maliki, Ministro degli Esteri dello Stato palestinese, ha incontrato a Roma l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e durante la riunione si è parlato anche dell'escalation di tensioni che ha come epicentro Gerusalemme.


Le preoccupazioni della Chiesa in Palestina

A Gerusalemme, ha commentato al Maliki in un'intervista esclusiva all'agenzia Fides, stanno aumentando gli attacchi a moschee e chiese e i tentativi di impedire a cristiani e musulmani l'accesso ai loro luoghi di culto. Con i rapprentanti vaticani, al Maliki ha affrontato anche altri temi, come la crescita mondiale delle sette evangeliche, fenomeno che “dovrebbe preoccupare anche la Chiesa cattolica, e che preoccupa noi come palestinesi, visto il loro orientamento anti-palestinese”.

La visita di al Maliki a Roma ha avuto luogo nel contesto di un tour europeo intrapreso dal ministro palestinese per incontrare, tra gli altri, il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e quello italiano, Luigi Di Maio.

Il viaggio di al Maliki aveva l'obiettivo di verificare cosa possono fare le istituzioni e i Paesi europei “per spingere Israele a consentire che le prossime elezioni palestinesi possano tenersi anche a Gerusalemme, e non solo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza”.

Elezioni e Gerusalemme

L'Autorità Palestinese ha rimandato le elezioni politiche, che avrebbero dovuto svolgersi il 22 maggio, dopo che Israele ha respinto la richiesta di far aprire i seggi a Gerusalemme. Un diritto inalienabile per le autorità palestinesi, che rivendicano Gerusalemme come capitale del loro Stato.

“Tutta la questione delle elezioni”, ha detto al Maliki a Fides, “riguarda Gerusalemme. Fare le elezioni senza Gerusalemme vuol dire accettare quello che ha detto Donald Trump, e che Gerusalemme è Capitale eterna e indivisa di Israele. Questa è una questione politica, non è una questione tecnica”.

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