Un parroco in prima linea contro inquinamento e morti di cancro ad Augusta. La disgrazia della città siciliana è stata proprio la sua splendida posizione e le sue risorse naturali. La grande ricchezza di acqua, il porto naturale su cui si affaccia, uniti alla disponibilità a fornire manodopera a basso presso da una popolazione povera, che viveva il sogno di poter lavorare a casa propria senza sentirsi obbligata ad emigrare.
Padre Palmiro Prisutto, augustano doc, è nato nel 1954, gli anni del così detto “Miracolo economico”. È cresciuto insieme alla Rasiom, la Liquilchimica, la Cogene, L’Eternit, la Sicilfusti, l’Edison, la I.C.A.M, l’ISAB, l’ERG, ha visto la sua terra trasformarsi, ha vissuto il dolore di chi vede lentamente sottrarglisi, le palme i carrubi, il mare l’aria. La storia del suo difficile sacerdozio nella città natia lo racconta Insieme ai sacerdoti.
Giovane pescatore negli anni ’80, quando i pesci morivano con il ventre scoppiato e le branchie piene di muco per una “liberazione indiscriminata e criminale di sostanze tossiche*”, il futuro parroco di Augusta inizia a scrivere sul settimanale diocesano. Fino a lanciare nel 1988 un allarme cancro che in seguito si rivelerà non solo una verità ma una sciagura insopportabile.
Sa bene che nei fondali del porto di Augusta sono depositati 18 milioni di metri cubi di fanghi tossici. E' a conoscenza che nell’aria ogni giorno vengono liberati acrilonitrile, benzolo, cadmio, cromo esavalente, nichel, silice, vanadio, diossine e furani. E ancora don Palmiro sa che il suolo inquinato dalla presenza di discariche abusive di rifiuti tossici, spesso interrati come nel caso del campo sportivo di Augusta realizzato su ex saline colme di ceneri di Pirite.
Il parroco di Augusta conosce i numeri delle nascite di bambini malformati e soprattutto celebra i funerali dei suoi concittadini che quasi non riescono a superare i 65 anni di età. Non trova aiuto nelle pubbliche amministrazioni che si succedono nel corso degli anni, non un segno di volontà per cambiare le cose.
Allora con fatica, rompendo il doloroso silenzio dei suoi concittadini, comincia a stilare un elenco. Che inizia con il nome di una bambino, un anno, morto per tumore non specificato e fa quello che solo un sacerdote può fare.
Il 28 di ogni mese, il parroco di Augusta legge quei nomi dall’altare. E l’acustica della sua chiesa barocca ne triplica il volume fino a farli diventare un’onda che sommerge i volti dei presenti, le panche l’altare come fosse un maremoto. È una messa, in difesa della vita, della dignità non riconosciuta, del diritto alla salute, a diventare adulti a invecchiare sereni nella propria casa. È un invito a liberarsi dalla paura e dalla solitudine.
È una messa detta anche per noi lontani da Augusta, che non possiamo restare insensibili davanti a tanto dolore in nome di un progresso che ogni giorno ci rende sempre meno uomini e donne.