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Lo sviluppo del linguaggio nei bambini

LINGUAGGIO BAMBINI
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Ospedale Bambino Gesù - pubblicato il 11/05/21
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Le fasi di uno sviluppo normale del linguaggio nei bambini e i possibili indicatori di disturbo o disagio che richiedono il confronto con lo specialista.

Di Silvia Amendola e Francesca Bevilacqua

Possiamo pensare alla comunicazione come un ponte che riempie la distanza tra noi e gli altri. Il bambino inizia a sviluppare la comunicazione fin da piccolo, fin da quando poco alla volta inizia a percepire che lui e i genitori sono due cose diverse. Nel primo anno e mezzo di vita dunque, prima ancora di parlare di linguaggio, è importante porre attenzione alla capacità del bambino di comunicare e di mettersi in relazione con gli altri, in primo
luogo con i genitori.

Segnali importanti della capacità di comunicare sono:

• guardare negli occhi;
• sorridere verso l’altro;
• i cosiddetti “gesti deittici”, cioè mostrare, indicare, dare - accompagnati dallo sguardo che si sposta tra l’oggetto e la persona;
• i gesti “referenziali”: battere le mani per dire “bravo”, aprire e chiudere la mano per dire “ciao”, scuotere la testa per dire “no”

L’emergere di queste competenze ci dice che il bambino sta sviluppando una buona spinta a voler comunicare (la cosiddetta “intenzionalità comunicativa”), che è il prerequisito per aprirsi al linguaggio. Se queste competenze stentano a comparire oltre l’anno e mezzo di vita del bambino, è utile confrontarsi con il pediatra o con uno psicologo.

Parallelamente, a partire da un anno, inizia a svilupparsi il linguaggio, che è la forma più evoluta di comunicazione. I bambini iniziano a comprendere sempre più parole e a pronunciarne alcune.

Tra i 18 e i 24 mesi il vocabolario aumenta rapidamente, ma ci possono essere ancora molte differenze tra bambino e bambino. Un bambino di due anni generalmente ha un’ottima comprensione del linguaggio (riesce a capire le richieste dei genitori come “vai in bagno”, “prendi la palla grande”, “dov'è papà?” senza bisogno di accompagnare la frase con gesti) e riesce ad esprimere bene i suoi bisogni anche non usando le parole.

Se questo non avviene, o se il genitore ha l’impressione che il bambino non senta, sia distratto e non interessato alla relazione e alla comunicazione, è bene confrontarsi con il pediatra e valutare l’opportunità di un colloquio con uno psicologo.

Nel corso del terzo anno di vita (tra i 2 e i 3 anni), il linguaggio si sviluppa molto rapidamente e a partire dai 3 anni diventa uno strumento molto importante nelle relazioni sociali del bambino.

È frequente osservare momenti di rabbia e frustrazione nei bambini che non riescono ad esprimersi bene. È importante accogliere questi momenti e valutare insieme agli specialisti se è opportuno sostenere il bambino con un percorso di logopedia, di sostegno allo sviluppo del linguaggio.

Durante gli anni della materna (dai 3 ai 6 anni), è importante tenere sotto controllo l’evolversi del linguaggio ponendo attenzione alla correttezza dei suoni e ad un’adeguata costruzione della frase.

In questo periodo, sono frequenti momenti transitori di balbuzie che, normalmente, si risolvono spontaneamente. In questi casi, è bene che il genitore non stressi il bambino, non lo anticipi, ma rispetti i suoi tempi con dolcezza e serenità.
Se i periodi di balbuzie si prolungano o sono associati ad altri segnali di stress (come disturbi del sonno, nervosismo…) è bene confrontarsi con il pediatra e con uno psicologo.


Tra i 3 e i 6 anni, spesso in concomitanza con l’inserimento nella scuola dell’infanzia, i bambini possono non riuscire a parlare in situazioni in cui ci si aspetta che parlino, come a
scuola, mentre riescono a parlare in situazioni in cui si sentono più a loro
agio, come a casa.

In questi casi si parla di mutismo selettivo, che viene classificato come “disturbo d'ansia”.

Il mutismo selettivo interferisce con la comunicazione sociale e i risultati scolastici. Per una diagnosi corretta, i sintomi devono persistere oltre il primo mese di scuola: in questo modo possiamo escludere che il mutismo sia dovuto al fatto che il bambino non conosce ancora i propri compagni o che non è abituato al linguaggio parlato che si usa a scuola.

A scuola, i bambini con mutismo selettivo si mostrano solitamente immobili e senza alcuna espressione sul volto. Alcuni evitano anche il contatto fisico e visivo. Questi bambini sono molto abili a usare il linguaggio non verbale: indicano, fanno cenni con la testa, scrivono o rimangono impassibili finché l’interlocutore non indovina la risposta. Risulta importante ed essenziale per possibili trattamenti e cure differenziare la timidezza dal mutismo selettivo che spesso vengono confusi.


La timidezza non è un disturbo clinicamente definito ma un tratto della personalità, e non esistono suggerimenti per il suo trattamento.

Una differenza fondamentale tra un bambino timido e un bambino con mutismo selettivo è che il bambino timido, quando è necessario, è in grado di parlare, anche in minima parte, in ambienti pubblici, mentre il bambino con mutismo spesso non è in grado di farlo.
Se i genitori o gli insegnanti sospettano che il bambino soffra di mutismo selettivo è bene confrontarsi con il pediatra e con uno psicologo.

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