Malgrado l’opposizione formale dei suoi genitori, la giovane Camille de Soyecourt entrò al Carmelo di Parigi, Rue de Grenelle, nel 1784, all’età di 25 anni. I primi anni furono particolarmente duri, per lei: proveniente da una famiglia nobile molto agiata, non era preparata all’austerità e ai comfort spartani del convento, nonché alla pesantezza delle faccende domestiche. Malgrado queste difficoltà, suor Camille divenne una religiosa esemplare, dalla spiritualità assai feconda.
Gli anni di pace in seno al monastero furono di breve durata. Nel 1790 l’Assemblée Nationale decretò la soppressione dei voti e degli ordini monastici. Il clima divenne sempre più opprimente, a Parigi, per le case religiose, fino a tracimare nel massacro dei carmelitani all’inizio del settembre 1792. L’11 settembre, per ordine dell’Assemblée, le religiose di Rue de Grenelle vennero espulse; il loro convento fu invaso e saccheggiato dalla popolazione. Fortunatamente la priora, madre Nathalie, aveva previsto la cosa e organizzato un piano B per le 31 carmelitane: vestite di abiti civili, le suore si sparpagliarono in piccoli gruppi in alloggi disparati, dove speravano e cercarono di vivere in incognito.
Malgrado i genitori le avessero proposto di tornare al focolare domestico, suor Camille si recò con tre compagne nella casetta in Rue Mouffetard che era stata assegnata loro: perpetuarono lo spirito del Carmelo continuando a vivere secondo la Regola, in particolare mediante la recita degli Uffici. Ricevevano anche dei preti refrattari, clandestinamente, per celebrare la messa. Malgrado le precauzioni prese, furono rapidamente rintracciate dalle guardie rivoluzionarie, le quali speravano di sorprenderle in flagrante durante la messa – invano, perché quel giorno il prete non s’era potuto spostare. Le quattro carmelitane furono nondimeno arrestate e inviate nel carcere femminile: situazione terribile per le religiose, a cui si dovette approntare un dormitorio a parte per salvaguardarle dall’aggressività delle altre detenute. Perfino in quel sordido posto, le suore organizzarono la loro vita secondo la regola riformata da santa Teresa: gli uffici ritmavano la giornata, le penitenze venivano accolte nella gioia. L’elemosina poteva essere esercitata anche condividendo con alcune detenute i viveri che i genitori di Camille le facevano pervenire.
In capo a poche settimane, le carmelitane furono liberate, dal momento che il tribunale non aveva potuto stressare su di loro alcun preciso capo di imputazione. Suor Camille si rifugiò stavolta dai genitori, nella loro magione parigina. Il ritrovo fu di breve durata, dal momento che anche per la sua famiglia giunse il turno dell’arresto. Rimasta in libertà, Camille fu obbligata a fuggire ed evitò di tornare dalle consorelle carmelitane perché il suo stesso nome era una minaccia per tutti quanti le si avvicinavano. Cominciò allora un periodo di estrema miseria: si ritrovò completamente isolata, obbligata a nascondersi e a mendicare per sopravvivere. Avendo appreso della sua miseria, una suora conversa del convento di Rue de Grenelle venne a stare con lei: alloggiate in una casetta abbandonata, poterono – in due – vivere la Regola carmelitana. Con arditezza, suor Camille appulcrò una cappella nel loro appartamento, e vi accolse preti e vescovi refrattari. Con un segno convenuto, posto all’esterno della casa, si avvertivano i fedeli che all’interno veniva celebrata la Messa.
La fine del Terrore segnò un allentamento delle persecuzioni: nel 1795, suor Camille prese in affitto una casa in cui costituì un piccolo convento improvvisato: raccolse numerose religiose uscite di prigione e diede ospitalità anche a preti caduti in miseria. Madre Nathalie e molte carmelitane si unirono a lei: la piccola comunità tornò a vita pressappoco regolare grazie all’energia indomabile di suor Camille, che sapeva sempre – ovunque si trovasse – insufflare lo spirito del Carmelo.
Il Signor e la Signora di Soyecourt, genitori di suor Camille, erano morti durante il Terrore: alla figlia toccò allora ereditare una parte della fortuna famigliare. Reclamare quel che le spettava le sembrava in conflitto al suo voto di povertà, ma molti amici le fecero notare quanto la Chiesa in Francia si sarebbe giovata di quel denaro per il restauro di tanti monasteri distrutti dalla Rivoluzione. La questione giunse al Papa, il quale le diede l’autorizzazione necessaria ad ereditare.
Divenuta frattanto priora, Camille mise allora tutta la sua fortuna al servizio dell’Ordine e – più largamente – della Chiesa. Riscattò l’antico convento delle carmelitane e rifondò quel monastero che sarebbe di lì in poi divenuto il vero centro nevralgico del Carmelo in Francia. Tutte le carmelitane disperse durante la Rivoluzione si ritrovarono in loco, e da lì Camille le rimandò dappertutto in Francia per rifondare le comunità scomparse. Frattanto continuava ad albergare i preti in difficoltà, che tornavano dall’esilio o uscivano di prigione. Rimise in servizio le chiese saccheggiate, in particolare fornendo vesti e arredi liturgici. Rilevò interamente la parrocchia di Saint-Sulpice.
E tuttavia, per molti anni ancora la situazione degli ordini religiosi non avrebbe trovato chiarezza e stabilità, ragion per cui, ufficialmente, il convento di madre Camille “non esisteva”. Le religiose erano sempre abbigliate civilmente, pena il fermo amministrativo e la dispersione della comunità. Niente poteva però arrestare la venerabile Camille, che perseguì la propria attività con eccezionale tenacia fino alla morte, giunta nel 1849 all’età di 91 anni.
Il suo corpo riposa nella cripta dell’antico convento delle Carmelitane, oggi l’Institut Catholique.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]