Mentre la pandemia di Covid-19, in questi ultimi giorni, ha superato nuovi record – più di 150 milioni di persone infettate dalla comparsa del virus nel 2019 e più di 3,1 milioni di decessi – i Paesi affinano le loro strategie vaccinali. In Francia Emmanuel Macron ha appena annunciato la possibilità, per i maggiori di 18 anni, di farsi vaccinare a partire dal 1º giugno – Oltralpe si sta pure pensando a un “pass sanitario”. Argomenti sensibili sui quali è lecito farsi domande: «Questa crisi esacerberà le posizioni contrastanti, pro e contro. Non abbiamo mai avuto tanto bisogno di certezze», dice ad Aleteia padre Laurent Stalla-Bourdillon, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Parigi e insegnante al Collège des Bernardins. «Ora, in tale contesto di incertezza la militanza ha facilmente la meglio sulla competenza». L’abbiamo intervistato per voi.
P. Laurent Stalla-Bourdillon: Significa che «il fine non giustifica i mezzi». Se è assolutamente necessario sviluppare trattamenti per curare le persone malate e vaccini per prevenire i contagi, le circostanze che presiedono all’elaborazione di questi trattamenti non sono indifferenti: è lì che si pone la questione etica. I vaccini, sì, ma a quale prezzo? Va da sé che – se delle persone fossero state usate come cavie per valutare l’efficacia dei vaccini – ci si sarebbe lecitamente domandati a che titolo la loro vita meriterebbe di essere sacrificata, foss’anche per giungere a un vaccino.
I processi di elaborazione dei vaccini sono di una tale complessità che in generale il grande pubblico ignora che cosa la loro messa a punto abbia comportato, in termini di esperimenti e di materiali. Capita frequentemente che linee cellulari provenienti da feti abortiti vengano usate nelle ricerche mediche: la Santa Sede ha voluto precisare che
Esistono oggi diversi tipi di vaccini, e certamente non abbiamo finito di vederne produrre altri. A fronte di questo assortimento, non è raro che le persone possano voler scegliere da sé e in coscienza. Tra le certezze dogmatiche e le incertezze radicali, ci troviamo davanti al dilemma di una responsabilità che deve intimamente unire la scelta personale e il bene comune. Dunque quali principî governano la nostra vita comune?
Secondo un sondaggio realizzato dal Forum Economico Mondiale e da Ipsos, su un campione di 20mila adulti da 27 paesi, il 74% delle persone interrogate dichiara di avere intenzione di farsi vaccinare, mentre in Francia sono soltanto il 59% (è uno dei tassi più bassi registrati dall’indagine demoscopica).
Ora, secondo le stime degli esperti, bisognerebbe vaccinare tra il 60 e il 60% della popolazione mondiale (da 4,6 a 5,4 miliardi di persone), per arginare la pandemia. Questa crisi esacerberà le polarizzazioni tra favorevoli e contrari: non abbiamo mai avuto tanto bisogno di certezze. Ora, in tale contesto di incertezza facilmente la militanza prevale sulla competenza.
Ci sono talvolta fortissime reticenze alla vaccinazione, e per ragioni diversissime: si spazia dall’illiceità dell’uso dei vaccini relativamente alle filiere produttive, come accennavamo, fino alla sfiducia in un’efficacia ritenuta debole o comunque perdente a fronte degli effetti collaterali, passando per proiezioni e fantasmi sui possibili rischi. La posta in gioco sul tavolo dell’economia mondiale, poi, è tale che di fatto sulla pandemia s’è installata una guerra economica. I social network non hanno pari, infine, quanto a capacità di accrescere i turbamenti e l’incredulità. L’umanità è chiaramente sfidata nella sua unità.
L’estrema incertezza in cui versano i responsabili politici, come anche gli scienziati, quanto a come la pandemia proseguirà e a cosa le farà seguito, si ripercuote nell’opinione pubblica e sulle riserve che essa si tiene. È certo che ci troviamo in una situazione totalmente inedita, quanto alla rapidità della produzione dei vaccini e della campagna vaccinale; resta però che tutti i vaccini elaborati hanno per incontestabile obiettivo quello di immunizzare rispetto alle forme più gravi della malattia.
La confusione sugli effetti collaterali non dovrebbe occultare l’immenso progresso che la vaccinazione in sé rappresenta. La Santa Sede ricordava a questo titolo, nella già citata nota del dicembre 2021:
Siamo quindi in balia di una sorta di inquietudine permanente, che ci chiama a una «chiaroveggenza per distinguere ciò che è importante» (Fil 1,9-10) e resistere al pessimismo rassegnato.
La riflessione etica, ha ricordato in Francia il Comitato consultivo nazionale di Etica,
La pandemia segna una battuta d’arresto per l’individualismo: essa ha per effetto il portare in piena luce la nostra interdipendenza e renderci tutti solidali gli uni con gli altri. Nessun Paese può disinteressarsi alla situazione sanitaria dei suoi vicini: lo vediamo oggi con la situazione drammatica che conosce l’India. La collaborazione e la condivisione saranno le chiavi che ci faranno uscire dalla pandemia. Ci troviamo di fronte all’urgenza di ciò che Francesco nella sua ultima enciclica, Fratelli tutti, chiama “amicizia sociale”.
È probabile che alcuni possano cercare di trarre profitto dalla presente situazione. Così però alcuni saranno sempre meglio tutelati e altri sempre più indigenti: la pandemia mette pure a dura prova la responsabilità dei dirigenti delle nazioni in ordine alla sinergia comune. Che coscienza abbiamo dell’unità della famiglia umana? Che sfida immensa!
Mi sembra che se la pandemia ha sconvolto le nostre esistenze, l’essenziale della vita in fondo non sia cambiato: si tratta sempre di vivere sotto la guida dello Spirito Santo e di concepire l’amore di cui Dio ci ama, di amare il nostro prossimo e di prepararci ad incontrare Dio. Nessuno resta in questo mondo, perché non è un mondo in cui si resta ma in cui si passa.
Questa vita resta una “Pasqua” quali che siano gli eventi storici in cui ci imbattiamo: la vita è essenzialmente un divenire. Non siamo dei vivi che vanno verso la morte, ma dei mortali che vanno verso la vita! I cristiani sono i custodi di una speranza che non sarà delusa. La morte, che era tenuta tanto a distanza, ha fatto ritorno irrompendo nelle nostre società: tante persone hanno perduto parenti e amici in circostanze drammatiche! La pena raddoppia per il dolore indicibile di non poter essere stati presenti nel momento del trapasso, di non essersi potuti dire “a-Dio”.
Abbiamo un terribile bisogno di una parola sul senso della morte, e chi – se non i cristiani – può re-instaurare la pace nelle anime? La nostra fiducia nel Signore è un bene per tutti, la sua Parola è fonte di pace: «Ti istruirò, ti mostrerò la via da seguire, ti farò saggio e veglierò su di te» (Sal 31,8).
La pandemia ha pure creato delle situazioni di estrema precarietà, ha messo in difficoltà numerosissime persone. La prima responsabilità dei cristiani resta quella di farsi prossimi di tutti quanti sono provati materialmente, ma anche psichicamente, affettivamente. Solo delle nuove solidarietà permetteranno al corpo sociale di non sgretolarsi: tocca ai cristiani esserne attori.
Più che mai, l’amore si annuncia amando, e la tenerezza di Dio si enuncia nell’attenzione gratuita e nella generosa condivisione. La Chiesa dovrà indubbiamente essere più presente, perché nessuno possa dirle “voi dov’eravate quando eravamo nella prova?”.
È un po’ troppo presto, a questo stadio, per apprezzare le intenzioni delle autorità politiche e gli effetti di un eventuale passaporto vaccinale, sapendo che una consultazione intitolata “Cosa pensate del passaporto vaccinale?” è stata condotta sotto l’egida del Consiglio economico, sociale e ambientale.
I risultati, resi publici il 16 marzo scorso, hanno descritto una forte maggioranza dei francesi sfavorevole, superiore al 72%. I motivi dell’opposizione sono l’attentato alle libertà private, le pesanti incertezze sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini e il rischio di discriminazione fra i cittadini.
Numerosi sono quanti già lanciano l’allarme su possibili discriminazioni e sulla perdita di libertà. Questa prospettiva porta con sé la peggiore visione di una società sorvegliata: le nuove tecnologie ci rendono dei formidabili servizi, ma pongono al contempo la questione della confidenzialità dei dati.
L’utilizzo delle applicazioni di tracciamento si modifica per l’avvenire per diventare un pass. Vediamo quanto la sicurezza comprima la libertà, e quanto per lo Stato sia difficile resistere alla tentazione di ricorrere a tecnologie di controllo. Impercettibilmente, il potere di tracciamento si tramuta in diritto di passaggio. Al contrario, l’attuazione di un tale passaporto – secondo modalità che resteranno da precisare in modo che non confliggano col diritto di uguaglianza – permetterà indubbiamente di ripristinare possibilità di spostamento attualmente molto compromesso.
La questione si pone allora in questi termini: «Fino a che punto siamo solidali e da che punto in poi dipendiamo dalle scelte degli altri Paesi?». Il che implica un’altra domanda: «Cosa siamo pronti ad accettare?». Logicamente, bisognerebbe sentire i cittadini per evitare la crescita di malumori.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]