I Padri del Deserto sono uomini appassionati di Cristo che si sono ritirati nel deserto per vivere cuore a cuore con Dio in solitudine. Hanno vissuto nei primi tempi del cristianesimo (dalla fine del III secolo), soprattutto in Medio Oriente.
I più famosi sono quelli del deserto egiziano. Tra loro c'erano gli eremiti o anacoreti, che vivevano soli, e i cenobiti, che vivevano invece in comunità.
Vari fattori possono spiegare la loro rottura con la società, ad esempio le persecuzioni anticristiane organizzate dal potere imperiale, soprattutto tra il 250 e il 303, le lotte dottrinali nella giovane Chiesa o il desiderio di seguire Cristo.
Poco si sa dei Padri del Deserto, ma ciò che è certo è che i ritiri che facevano li resero maestri nel campo del discernimento spirituale. Spesso giovani discepoli andavano da loro per chiedere una parola che illuminasse il loro cammino.
Ci hanno lasciato pensieri saggi, insiemi di aneddoti e parole la cui sapienza edificava i loro contemporanei. Queste storie sono state raccolte probabilmente alla fine del V secolo e fanno parte del patrimonio letterario cristiano, costituendo un “tesoro ecumenico”, per usare l'espressione della teologa Marie-Anne Vannier.
Ecco cinque lezioni che emergono dalla lettura dei loro detti e da altri scritti per vincere l'orgoglio e coltivare ogni giorno l'umiltà.
L'orgoglio manifesta una profonda ignoranza della natura umana. Come osserva padre Jean-Yves Leloup, autore di un'opera ispirata alla saggezza dei Padri del Deserto (Métanoïa: une Révolution Silente, 2020), l'orgoglio è certamente la “patologia più ovvia dell'uomo contemporaneo”. L'orgoglioso è autosufficiente, e prende il posto di Dio sia nei suoi pensieri e giudizi che nelle sue azioni.
Il miglior rimedio per contrastare questa tendenza naturale dell'uomo è meditare sul proprio stato di peccatori e sull'incapacità di fare del bene a se stessi.
“Chiesero ad Abba Isaia: 'Cos'è l'umiltà?', ed egli disse: 'L'umiltà è ritenersi più peccatori degli altri uomini e sminuirsi perché non si sta facendo niente di positivo agli occhi di Dio'”.
I Padri del Deserto non avevano una Bibbia come noi, ma consultavano frammenti biblici in rotoli di papiro o li ricordavano da quando li avevano ascoltati nella liturgia. Nelle parole di Abba Nesterios, avevano l'abitudine di “riportarli costantemente alla memoria”.
Questo “ruminare” quotidianamente la Parola di Dio aveva il doppio proposito di evitare i pensieri negativi e di permettere che la Parola si radicasse a poco a poco finché non si fossero conformati perfettamente alla vita di Cristo. Questa dichiarazione di Abba Daniele ci mostra che i Padri avevano un desiderio enorme di vivere il Vangelo fino alla fine:
“Arrivò il giorno in un cui donna posseduta diede uno schiaffo al monaco. Quest'ultimo porse immediatamente l'altra guancia, in base al precetto del Signore. Torturato, il demonio esclamò: 'O violenza, l'ordine di Gesù mi espelle. La donna fu subito purificata. Quando arrivarono gli anziani, vennero informati di ciò che era successo e glorificarono Dio dicendo: 'L'orgoglio del diavolo viene sempre vinto dall'umiltà dell'ordine di Cristo'”.
Il primo obiettivo dei Padri era tenere sempre Dio in mente, e quindi esortavano alla vigilanza costante.
Stare attenti a se stessi, avere sempre Dio “davanti agli occhi”, “forzare” il proprio pensiero e acquisire un “cuore d'acciaio” sono i precetti che hanno saputo trasmettere ai loro discepoli. Abba Theonas lo riassume in una frase: “Voglio riempire la mia mente di Dio!”
Contrariamente all'uomo orgoglioso, che si arroga il diritto di giudicare il fratello come se fosse Dio, l'uomo umile diffida del proprio giudizio. I Padri del Deserto evitavano l'orgoglio dello spirito ogni volta che si rivolgevano a un anziano e riconoscendo quando un discepolo o un laico passava vicino a loro. Questa frase di Abba Arsène attesta questa umiltà di spirito nei confronti del prossimo:
“Mentre Abba Arsene interrogava un vecchio egiziano, un altro, vedendolo, gli disse: 'Abba Arsene, come fa lei, che ha una cultura romana e greca, a interrogare questo contadino sui propri pensieri?' Egli rispose: 'Ho sicuramente una cultura romana e greca, ma non conosco nemmeno l'alfabeto di questo contadino'”.
Se i Padri del Deserto sono riusciti ad acquisire una “paternità spirituale” riconosciuta da tutti, è perché sono passati per l'annichilimento del loro ego. Consapevoli della loro piccolezza, del loro “nulla” di fronte all'infinità di Dio, hanno avuto l'umiltà di considerarsi sempre novizi. Abba Sisoes, al momento della sua morte, ebbe questa esperienza:
“Hanno detto che Abba Sisoes, quando stava per morire, mentre i Padri erano seduti accanto a lui, avesse il volto che brillava come il sole. E disse loro: 'Ecco Abba Antonio'. Subito dopo disse: 'Ecco il coro dei profeti'. E il suo volto brillò di nuovo e disse: 'Ecco il coro degli apostoli'. Il suo volto raddoppiò il suo splendore e sembrava parlare. E gli anziani gli chiesero. 'Con chi sta parlando, padre?' E lui: 'Ecco gli angeli che mi vengono a prendere, e imploro che mi lascino fare una piccola penitenza'. Gli anziani gli dissero: 'Lei non ha bisogno di fare penitenza, padre', ma Abba Sisoes disse loro: 'In realtà, so che sono solo all'inizio'. E allora seppero tutti che era perfetto”.