Sull’edizione del 28 aprile di Vanity Fair News e di quella del giorno precedente dell’Agi vengono riportati due articoli che danno conto di un editoriale apparso sulla prestigiosa rivista medica The Lancet – che riporta i dati di tre ricerche internazionali - centrato sulla scarsa attenzione che viene prestata all’aborto spontaneo e ai suoi effetti psicologici.
Ogni anno 23 milioni di gravidanze si interrompono più o meno precocemente per un aborto spontaneo, il 15% del totale, e l’11% delle donne registra una gravidanza fallita almeno una volta nella vita. Il due per cento – tra cui Zara Phillips, nipote della Regina Elisabetta - ha subito due aborti spontanei, meno dell’uno per cento ne ha avuti tre o più (Vanity Fair).
Sono molte le donne famose che hanno raccontato la loro esperienza al riguardo: da Michelle Obama a Chriss Teigen fino ad arrivare a Meghan Markle.
I livelli di assistenza per le donne che vanno incontro ad un aborto spontaneo sono molto diversi tra i vari Paesi, ma in generale i ricercatori hanno concluso che:
Su questo tema sono diffuse molte convinzioni sbagliate, come quella per cui l’aborto può essere causato dal sollevare oggetti pesanti, ingenerando così assurdi sensi di colpa nelle donne e nei loro partner. La ricerca spasmodica di una motivazione induce molte di esse a peregrinare di medico in medico, di clinica in clinica, spesso ricevendo indicazioni e consigli antitetici.
Afferma alla Cnn Siobban Quenby, docente di ostetricia all’università britannica di Warwich, che continua:
La cortina di silenzio e minimizzazione che avvolge l’aborto spontaneo contribuisce alla sofferenza di coppie e famiglie: per questo motivo i ricercatori propongono un sistema universale di aiuto.
Nel caso di un primo aborto dovrebbe essere condotta una attenta valutazione fisica e psicologica e messo a disposizione un programma di supporto in vista di future gravidanze. Di fronte ad una seconda interruzione è necessario condurre uno screening in una clinica dedicata con analisi ematiche e test di funzionalità tiroidea, insieme ad un approfondimento dei fattori di rischio.
Quali sono i principali? Precisiamo prima che per aborto spontaneo si intende una gravidanza persa prima delle 20-24 settimane di gestazione, limite diverso da paese e paese.
Un’età materna non più giovanile, aver avuto precedenti aborti, essere sotto o sovrappeso, fumare tabacco, consumare alcolici, vivere uno stato continuo di stress, svolgere turni di lavoro notturni, essere esposti all’inquinamento atmosferico o ai pesticidi, sono tutti fattori che incidono negativamente sulla possibilità di portare a termine una gravidanza. (Agi)
Se si è di fronte ad un terzo aborto spontaneo dovrebbero necessariamente essere effettuati test genetici. Le donne tendono a farsi carico di tutto il problema, percepiscono l’evento come una pesante sconfitta personale. Le conseguenze per la salute possono essere importanti, specialmente per quante subiscono un secondo o più aborti spontanei.
ha affermato il coautore principale dello studio Ari Coomasaramy, dell’Università di Birmigham.
Riprendendo l’editoriale di The Lancet si può pertanto concludere che:
A questo punto è necessaria una presa di consapevolezza matura dell’impatto che l’aborto spontaneo ha sul corpo e sulla psiche delle donne, organizzando un’assistenza medica e psicologia adeguata al posto dell’attuale e sconsolante ritornello, ancora molto diffuso: “provaci ancora”.