In quel tempo, i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. (Gv 6,52-59)
Quanto possa creare scandalo e confusione qualcuno che ti dice che devi mangiare la sua carne e bere il suo sangue per salvarti. Sembra quasi un invito a un orribile cannibalismo. Ecco perché i Giudei si domandano ad alta voce:
Ma Gesù non indietreggia nella Sua affermazione:
È San Tommaso che ci spiega la differenza. Anche lui l’aveva appresa da Aristotele ma al di là di chi ce ne fornisce la spiegazione ciò che conta è comprendere che la realtà è fatta di due cose: sostanza e accidente.
La sostanza è ciò che è una cosa nella sua realtà più profonda. L’accidente è la parte esterna. Banalizzando è un po’ come dire che quando qualcuno vuole dire a qualcun altro che lo ama, lo abbraccia. In sostanza è amore, esternamente un abbraccio. L’Eucarestia è la stessa cosa: in sostanza è realmente Gesù, esternamente è pane e vino, cosicché quel pane e quel vino sono la parte esterna di una realtà molto più profonda.
In questo senso noi mangiamo e beviamo realmente il corpo e il sangue di Cristo. Non simbolicamente, ma realmente. Perché i sacramenti sono in sostanza delle cose pur poggiandosi esternamente su alcuni segni. La cosa però che conta è che molto spesso dobbiamo fare l’esperienza scandalosa del segno esterno. Capitò così anche nelle aspettative del popolo eletto. La richiesta di un Messia liberatore dovette fare i conti con la realtà di un bambino fragile, nato povero e quasi di nascosto.
Eppure quel bambino è il Figlio dell’Onnipotente. Se è Onnipotente perché assume la forma della debolezza e della fragilità? Perché la potenza di Dio non è mai prepotenza, è la “forza gentile” direbbe Newman di chi sa che la forza che può tutto è l’Amore. Ecco perché l’Onnipotenza si manifesta nel Figlio inchiodato sulla Croce, e anche questo è scandalo.
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