“Non cadiamo nella superbia di disprezzare la preghiera vocale”, perché “le parole che pronunciamo ci prendono per mano”, “destano anche il più assonnato dei cuori” e sono le sole che, in maniera sicura “indirizzano a Dio le domande che Lui vuol ascoltare”. Così Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale di questa mattina, tenuta ancora nella biblioteca del Palazzo Apostolico, senza presenza di pubblico, per le misure di contenimento della pandemia di Covid-19.
Proseguendo la serie di meditazioni sulla preghiera, il Papa spiega che se la preghiera del cuore “in certi momenti latita”, quella delle labbra, “che si bisbiglia o si recita in coro”, è invece sempre disponibile, “e necessaria come il lavoro manuale”. Se “la preghiera è dialogo con Dio”, nell’essere umano “la preghiera diventa parola, invocazione, canto, poesia... “. Le parole, prosegue Francesco, nascono dai sentimenti, “ma esiste anche il cammino inverso: quello per cui le parole modellano i sentimenti”.
La Bibbia educa l’uomo a far sì che tutto venga alla luce della parola, che nulla di umano venga escluso, censurato. Soprattutto il dolore è pericoloso se rimane coperto, chiuso dentro di noi. Un dolore chiuso dentro di noi, che non può esprimersi o sfogarsi, può avvelenare l’anima. E’ mortale.
È per questo, chiarisce il Pontefice, “che la Sacra Scrittura ci insegna a pregare anche con parole talvolta audaci”. Gli scrittori sacri sanno che nel cuore dell’uomo “albergano anche sentimenti poco edificanti, addirittura l’odio”, e quando questi sentimenti cattivi bussano alla porta del nostro cuore “bisogna essere capaci di disinnescarli con la preghiera e con le parole di Dio”. Nei Salmi troviamo anche espressioni molto dure contro i nemici, “che i maestri spirituali ci insegnano a riferire al diavolo e ai nostri peccati”, eppure sono parole “che appartengono alla realtà umana”.
Sono lì a testimoniarci che, se davanti alla violenza non esistessero le parole, per rendere inoffensivi i cattivi sentimenti, per incanalarli così che non nuocciano, il mondo ne sarebbe tutto quanto sommerso.
La prima preghiera umana, spiega Papa Francesco, “è sempre una recita vocale”. Tutti sappiamo che “pregare non significa ripetere parole”, ma “la preghiera vocale è la più sicura ed è sempre possibile esercitarla”. I sentimenti invece, per quanto nobili, “sono sempre incerti: vanno e vengono, ci abbandonano e ritornano”. Anche le grazie della preghiera, ricorda il Papa, “sono imprevedibili”: in qualche momento “abbondano, ma nei giorni più bui sembrano evaporare del tutto”.
La preghiera del cuore è misteriosa e in certi momenti latita. La preghiera delle labbra, quella che si bisbiglia o che si recita in coro, è invece sempre disponibile, e necessaria come il lavoro manuale.
Francesco cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, che al numero 2701 afferma: “La preghiera vocale è una componente indispensabile della vita cristiana. Ai discepoli, attratti dalla preghiera silenziosa del loro Maestro, questi insegna una preghiera vocale: il Padre nostro”. “E lì c’è tutto – commenta – in quella preghiera”. E prosegue sottolineando che “tutti dovremmo avere l’umiltà di certi anziani che, in chiesa, forse perché ormai il loro udito non è più fine, recitano a mezza voce le preghiere che hanno imparato da bambini, riempiendo la navata di bisbigli”.
E’ una preghiera che “non disturba il silenzio, ma testimonia la fedeltà al dovere dell’orazione, praticata per tutta una vita”. Questi “oranti dalla preghiera umile”, chiarisce il Pontefice, “sono spesso i grandi intercessori delle parrocchie”, come “querce che di anno in anno allargano le fronde, per offrire ombra al maggior numero di persone”.
Solo Dio sa quando e quanto il loro cuore fosse unito a quelle preghiere recitate: sicuramente anche queste persone hanno dovuto affrontare notti e momenti di vuoto. Però alla preghiera vocale si può restare sempre fedeli. E’ come un ancora: aggrapparsi alla corda per restare lì, fedeli, accada quel che accada.
Papa Francesco indica come esempio “la costanza di quel pellegrino russo, di cui parla una celebre opera di spiritualità”, che ripete per infinite volte la stessa invocazione: “Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di noi, peccatori!”. “Se arriveranno grazie nella sua vita, se l’orazione si farà un giorno caldissima tanto da percepire la presenza del Regno qui in mezzo a noi, se il suo sguardo si trasformerà fino ad essere come quello di un bambino”, è perché ha insistito nella recita di questa semplice invocazione. Alla fine, “diventa parte del suo respiro”. Una bella storia, quella del pellegrino russo, per il Papa, un libro alla portata di tutti. “Vi consiglio di leggerlo: vi aiuterà a capire cos’è la preghiera vocale”.
Dunque, non dobbiamo disprezzare la preghiera vocale. Qualcuno dice: “Eh, è cosa per i bambini, per la gente ignorante; io sto cercando la preghiera mentale, la meditazione, il vuoto interiore perché venga Dio …”: per favore! Non cadere nella superbia di disprezzare la preghiera vocale. E’ la preghiera dei semplici, quella che ci ha insegnato Gesù: Padre nostro, che sei nei cieli …
Le parole che pronunciamo, conclude Francesco, “ci prendono per mano; in qualche momento restituiscono il gusto, destano anche il più assonnato dei cuori; risvegliano sentimenti di cui avevamo smarrito la memoria”. E ci guidano “verso l’esperienza di Dio”. E soprattutto “sono le sole, in maniera sicura, che indirizzano a Dio le domande che Lui vuole ascoltare”. Perché “Gesù non ci ha lasciato nella nebbia” insegnandoci la preghiera del Padre Nostro.