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Hadjadj: «Andiamo verso una società senza odore»

Fabrice Hadjadj
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Emiliano Fumaneri - pubblicato il 20/04/21
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La chiamano «sindrome di Proust». È la capacità della nostra memoria olfattiva di ricordare una esperienza del passato, anche caduta nel dimenticatoio. Basta un odore, un profumo familiare ed ecco riaffiorare le emozioni collegate a quell’antica esperienza. Proprio come la celebre madeleine di Proust, il dolcetto imbevuto di tè che col suo sapore, all'inizio di Alla ricerca del tempo perduto, riporta il passato al presente.

Su questa sindrome si basa tutta una filosofia della vendita: la disciplina battezzata come scent marketing, il marketing dell’olfatto. Profumare un prodotto o un punto vendita significa stabilire una connessione emozionale coi propri clienti. Una fragranza piacevole potenzia il brand associandolo a ricordi positivi e fidelizza la clientela.

Ma questo, ahinoi, non sembra essere un momento propizio per fiutare profumi, con gran cruccio dell’ufficio vendite. Non sappiamo se il Covid-19 sia la nemesi del capitalismo, come affermano certi ambientalisti radicali. Di certo però la sua sintomatologia non denota grande simpatia per gusto e olfatto.

Ad ogni modo c’è chi sostiene che l’odorato debba guardarsi da nemici anche più pericolosi del Covid. È la tesi di Fabrice Hadjadj, filosofo franco-tunisino e direttore dell’Istituto Philanthropos di Friburgo, tornato a parlare col quotidiano Le Figaro per denunciare l’avvento di un «mondo senza odore».

In filosofia molti hanno classificato l’odorato come un senso di minore importanza. Non Hadjadj però. Per lui l’odorato possiede qualcosa di davvero essenziale: «Per noi francesi il verbo sentire rinvia particolarmente all’odorato e generalmente a tutti gli altri sensi. Si sente un odore, ma si sente anche attraverso il tatto, il gusto, l’udito o la vista. In altre lingue il particolare senso che recepisce la sensazione in generale non è lo stesso. Per gli italiani, sentire si riferisce all’ascolto. Per i tedeschi fühlen si riferisce al tatto. Per gli inglesi, to feel non richiama alcun senso in particolare, ma collega le sensazioni ai sentimenti».

Nella lingua francese invece «il senso dei sensi è l’odorato», spiega Hadjadj. È per questo che «quando il francese sente, dilata le narici. È un uomo che ha fiuto». Non è certo per caso allora che «la capitale mondiale della profumeria si trova nel sud della Francia. È per questo del resto che Grasse, nel Medio Evo, aveva un odore particolarmente cattivo. Si era specializzata nella concia della pelle, che emana degli odori terribili. Nel XVI secolo, per vendere i suoi guanti in pelle alla nobiltà, specialmente a Caterina de Medici, un certo Jean de Galimard, conciatore, si è improvvisato profumiere. Molte cose appaiono in questa maniera, per compensazione. Forse i francesi avevano un odore più cattivo degli altri. Il cane fradicio avrebbe causato il n° 5 di Chanel».

Viene da chiedersi se tutto questo non appartenga al passato. Un modo dominato dal digitale e dagli schermi dei computer – una tendenza addirittura esplosa col lockdown – non ha forse reso obsoleto l’odorato? In effetti, nota Hadjadj, «dal punto di vista evoluzionistico l’odorato non ha cessato di regredire negli uomini. Per salutare le signore, a differenza dei cani, noi non annusiamo il loro didietro. Un sorriso, una parola amabile sono sufficienti».

«Il declino dell’odorato è in qualche modo legato alla tecnica moderna», afferma il filosofo di origine tunisina: «La città d’un tempo sapeva di sterco. La campagna, più estesa, emanava effluvi di letame e di concime. Si attribuisce a Napoleone questo messaggio per annunciare il proprio ritorno a Giuseppina: «Non lavarti, arrivo». L’Imperatore apprezzava gli odori corporali inebrianti. Quel che suscitava il suo desiderio susciterebbe il nostro disgusto… Siamo diventati degli amanti di deodoranti e disodoranti».

Come ha evidenziato il filosofo e matematico Olivier Rey nel suo Dismisura, la società tecnologica mostra un maggiore apprezzamento per il suono e l’immagine, sensi che a differenza dell’olfatto possono essere matematizzati e digitalizzati. Ma per Hadjadj oggi l’immagine spicca nettamente anche sul suono: «Col dominio degli schermi, un solo senso concentra ormai praticamente tutto. Siamo entrati in un’era iper-ottica. C’è ancora il suono, ma il suono è sottomesso a dei formati molto compressi, mentre l’immagine brilla per l’alta definizione. Quanto al «tattile», schiacciare la punta delle nostre dita contro dei pannelli di vetro non fa onore alla finezza del tocco. Anche pigiare su un bottone forniva una esperienza più ricca, opponendo più resistenza, del freddo strusciamento dei nostri swipes. Insomma, i robot non hanno odore – come il denaro che viene investito nella tecnologia. I nostri nasi oggi nascono già morti. Si risvegliano un poco giusto nelle cucine».

Da mesi, del resto, le nostre protuberanze nasali trascorrono gran parte della giornata sotto la copertura di una mascherina. Una misura necessaria, imposta dalla pandemia che però, come suggerisce qualche ricerca, contribuisce a ridurre ulteriormente la sensibilità agli odori. Tanto che l’odorato sembra essere una delle vittime sacrificali del Covid…

Hadjadj è del parere che il virus abbia solo accelerato una tendenza preesistente. Le restrizioni anti Covid sembrano averci trasformati in esseri a una dimensione, smarriti in un mondo monocromo e inodore: «Émile Durkeheim paventava la «società anomica», ed ecco che stiamo costruendo una società anosmica. La pandemia ha rinforzato delle tendenze che erano già all’opera. Di per sé, il coronavirus priva alcune persone dell’odorato; col lockdown accelera la digitalizzazione dei rapporti umani e dunque le connessioni a distanza, senza esalazioni. Ho detto che l’odorato era povero di informazioni ma ricco di mondo. Andiamo verso una società povera di mondo, ma ricca di informazioni. Come l’odore ci afferra più di quanto noi lo afferriamo, ora andiamo verso una società in cui afferriamo più di quanto ci lasciamo afferrare. Il proprio della tecnologia consiste nel ricondurre le cose a dei parametri allo scopo di controllarle. L’odorato non rientra del programma».

Si racconta che la Marchesa de Sablé a settant’anni si sia lamentata con Agnès Arnauld, la madre badessa di Port Royal, per aver perso l’odorato. Pare che la badessa le abbia risposto, con giansenistico rigore, di intendere la privazione di quel senso come penitenza per i piacevoli odori di cui aveva potuto godere in gioventù. Insomma, siamo alle solite: per i giansenisti di ieri – e per quelli di oggi – il piacere è peccato. L’odorato sarebbe così un accessorio del quale, al limite, potremmo fare anche a meno.

L’autore della Mistica della carne però è di tutt’altro avviso: «È un senso essenziale. In noi è rudimentale a confronto di quello del cane. Ma questa imperfezione fa tutto il suo valore. La vista e l’udito ci forniscono molte informazioni oggettive. L’odorato è impreciso, nebuloso, e s’impossessa di noi attraverso la respirazione. Aristotele nota che non è mai completamente neutro. L’olfatto ha sempre una spinta affettiva: gli odori sono buoni oppure cattivi. Ammaliano o appestano. Ci fanno leccare i baffi oppure ci danno voglia di vomitare. D’altra parte ci risulta molto più difficile rammentare un profumo di gelsomino che il volto del fioraio o il timbro della sua voce. È per questo che quando un profumo ritorna a noi dopo degli anni resuscita tutto un mondo sepolto. La madeleine di Proust è un aroma che fa ritornare in lui l’infanzia a Combray: non questo o quel ricordo oggettivo, ma il clima, l’atmosfera concreta di quel tempo perduto e subito ritrovato in una ispirazione. Notate che il verbo sentire ha per soggetto tanto colui che sente quanto la cosa sentita. Sento un fiore, ma il fiore si sente (la rosa), diciamo, come se fosse lui a reinventare questo senso in me nell’istante in cui annuso il suo odore. L’odorato invita dunque a un rapporto col mondo che è atmosferico e non tecnico o informativo – un rapporto in cui siamo afferrati più di quanto noi non afferriamo. In un’epoca in cui siamo bombardati di informazioni (informatica, lo ricordo, è la contrazione di informazione automatica), sentire l’odore è una maniera di resistere. La nuvola di profumo, con la sua memoria lunga, col suo avvolgimento profondo, si oppone al cloud, con la sua gestione ultrarapida e utilitaristica dei dati».

Il naso quindi come luogo di resistenza all’infodemia. Ma anche come antidoto alla disincarnazione promossa dal digitale. Nel sonetto Corrispondenze Baudelaire evoca la maniera in cui «i profumi e i colori e i suoni si rispondono come echi» in quel tempio che è la natura. Ma è l’odorato che, assieme al gusto, unifica le varie impressioni sensoriali. Per il naso passa il senso unificante che ci apre al mondo nelle sue molteplici dimensioni. Un mondo che marginalizza l’odore allora è un posto più povero e disarticolato.

Saint-Exupéry avrebbe detto che l’essenziale è invisibile agli occhi. Ma col naso, sembra volerci dire Hadjadj, si può andare ben oltre gli occhi: «Una cosa può essere impalpabile, invisibile, inaudibile, ed essere ancora percepita dall’odorato. Questo senso ci trascina in qualche maniera al di là delle apparenze. È per questo che Nietzsche diceva: «Tutto il mio genio è nelle mie narici». Sapeva seguire la pista di un’idea come un bracco segue quella della selvaggina. Sapeva subodorare, vale a dire indovinare ciò che c’era dietro le dottrine, fiutare l’aria viziata del filosofo al di là dei suoi concetti asettici. È anche per questo che nel Tempo di Gerusalemme c’era un altare dal quale gli aromi salivano senza tregua verso il cielo sotto forma di fumo. Il comandamento viene dato a Mosè nell’Esodo: «Brucerete costantemente del profumo davanti all’Eterno per le vostre generazioni». Nella Genesi Dio crea l’uomo modellandolo dalla terra e insufflandogli la vita nelle narici. Dopo il diluvio, respira il gradevole odore delle offerte fatte da Noè e gli promette di non distruggere più la terra – come se la solidità del mondo fosse legata ai suoi profumi. Un salmo canta: «Come incenso salga a te la mia preghiera». E si parla di «odore di santità», essendo il Messia colui che ha ricevuto l’unzione di olio aromatico.

Perché una tale presenza del naso nella vita mistica? Il fatto è che l’odorato gioca alla volta sia sulla distanza che sulla profondità. L’odorino di un buon piatto viene da lontano, ma s’insinua in me e mi riempie la bocca di saliva. L’altrove sorge al mio interno. L’invisibile si congiunge all’intimo.

Così, per l’uomo, il profumo corrisponde specialmente all’apparizione della donna. Penso a un bellissimo film di Dino Risi, Profumo di donna, dove Vittorio Gassman interpreta un cieco che scopre la presenza delle donne a partire dal loro sentore con più intensità del giovane soldato che lo accompagna e le vede coi suoi occhioni spalancati. «Odor di femmina», dice anche Don Giovanni. Questo può significare per lui il rapporto del predatore con la preda, il lupo che fiuta il gregge. Ma rivela anche il mistero della donna: ciò che mi sorprende, mi attira, mi circonda e rimane inafferrabile. La fragranza è la flagranza di ciò che si dona e allo stesso tempo si sottrae».

A questo punto si tratta di capire se l’atrofia dell’odorato nella nostra società sarà duratura. E anche di immaginare quali conseguenze si produrranno con l’emarginazione di un senso tanto prezioso per l’esistenza umana. Per Hadjadj «si vede già il cambiamento che si è operato nella relazione uomo-donna. Questo cambiamento ha certamente un fondamento ideologico. Ma ha anche delle correlazioni sensibili. La liberazione sessuale ha generato il movimento #balancetonporc* (il porco non ha un buon odore). Questo rovesciamento del libertario in securitario sembra controintuitivo, ma si spiega molto bene. Quando «tutto è permesso» in materia di sesso, immediatamente, come nello stato di natura di Hobbes, la violenza può scatenarsi ad ogni latitudine. Perciò bisogna che le relazioni sessuali siano canalizzate da un patto e divengano contrattuali. Non si tratta più di un uomo e di una donna che si sentono e si patiscono. Si tratta di due individui liberi che, in termini chiari, si accordano su quel che potrebbero farsi e su quel che non si faranno. Questa contrattualità delle relazioni abolisce l’oscurità dell’attrazione e del desiderio. Esige la trasparenza.

Ora, con l’odorato non c’è trasparenza, siamo incantanti da vapori, sbaviamo nostro malgrado.

Si può anche pensare alla soperchieria di un lavoro cool, in cui ci si sforza di non sentire più il trasudamento per non far sentire più lo sfruttamento. Il sudore deve sparire dalle fronti e dalle ascelle. Avete la possibilità di passare le vostre giornate a riempire tabelle Excel e a fare riunioni su Zoom. Ma un vivente odora. E un morto puzza. Una società senza odore non è una società di morti viventi, ma di né vivi né morti. Questi sono gli avatar del virtuale».


* «Denuncia il tuo porco». È l’equivalente francese del movimento di opinione americano #Me Too, ndr.

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