La beatificazione dei sei martiri dell’abbazia cistercense di Casamari (Lazio), che il cardinale Marcello Semeraro – in qualità di Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi – officerà sabato 17 aprile 2021, non può lasciarci indifferenti.
A metà dell’aprile del 1799, il generale francese François Macdonald, comandante di stanza a Napoli, organizzò la ritirata delle truppe francesi – le quali sulla via del rientro si diedero a saccheggi, violenze e grassazioni innumerevoli. Il 10 maggio l’abbazia di Montecassino, fondata da san Benedetto poco a sud di Roma, fu saccheggiata. L’indomani i soldati si resero responsabili di un vero massacro nella borgata di Isola del Liri: seicento morti. Una ventina di loro fecero allora irruzione, la sera del 13 maggio, nell’antico monastero cistercense di Casamari, che si trova nei dintorni. Poiché l’abate era fuggito all’arrivo delle truppe francesi, la comunità era diretta dal priore, dom Simeone Maria Cardon.
Ci si immagina il seguito. I monaci offrirono da mangiare ai soldati rivoluzionari e questi cominciarono a saccheggiare il monastero. Qualche monaco fuggì, altri si nascosero, i più coraggiosi tornarono indietro. I saccheggiatori cercavano denaro e non ne trovavano. Il priore fu preso a sprangate – ne sarebbe morto l’indomani, perdonando i suoi carnefici.
Alcuni, ubriachi, entrarono in chiesa, distrussero il tabernacolo e profanarono le ostie consacrate gettandole a terra. Il maestro dei novizi, padre Domenico Maria Zavřel, di cui torneremo a parlare, le raccolse per nasconderle in sagrestia: fu la scintilla del dramma. Frate Eustachio, frate Albertino, frate Dosideo fecero quanto poterono: furono botte come se piovesse. Dom Domenico rese l’anima a Dio. Frate Modeste Maria Burgen, monaco dell’abbazia francese di Sept-Fons, donde era stato scacciato dalla Rivoluzione, frate Maturino e frate Zosimo, furono anch’essi vittime della furia dei soldati. Sei morti.
Il 16 maggio, dopo la partenza della soldatesca, i pochi monaci che erano scampati scappando tornarono al monastero per seppellire i loro frati.
Padre Dominik era nato nel 1725 a Chodov, oggi nella periferia di Praga. Dapprima domenicano, era entrato nell’abbazia di Casamari all’età di cinquantun anni passando da Venezia dove aveva predicato la Parola di Dio. Visse ventitré anni nell’abbazia cistercense prima di morire martire all’età di settantatré anni. Piccolo di taglia, umilissimo, buon teologo, era un uomo di profonda preghiera (cf. Pierdomenico M. Volpi, ocist, « Les martyrs de Casamari », Collectanea cisterciensa, 2020, 4, p. 393-409).
Gli incontri che la vita ci porta a fare hanno quasi sempre qualcosa da dirci per guidare il nostro cammino verso Dio: non sono soltanto le nostre decisioni personali, con quella parte di caso che le influenza, a disegnare la traiettoria delle nostre esistenze, così come la vedremo nell’ultimo giorno. Dio rimette le mani in pasta attraverso quelli che egli fa incontrare.
Quarant’anni fa, in rivolta contro la fede della mia infanzia, erravo per le strade di Venezia durante il Carnevale, per saziare i miei occhi di immagini forti e le mie orecchie di musica suonata agli angoli delle strade. Non pensavo, all’epoca, che il mio girovagare mi avrebbe portato a incontrare un uomo nato due secoli prima: padre Dominik Zavřel era passato anch’egli per quelle strade. Aveva attraversato i medesimi ponti di pietra sui canali per i quali gli innamorati girano in gondola, aveva percorso le medesime strette calli di cui – stese le braccia – si possono toccare entrambe le pareti. Primo incontro – ignorato. Uno dei martiri di Casamari, dunque, è nato nel paese in cui io faccio vita monastica. Un altro, frate Modeste, era stato monaco dell’abbazia di Sept-Fons, dove io ho ricevuto la mia formazione. Secondo incontro – riconosciuto tardivamente. Padre Simeone Cardon, padre Dominik Zavřel e i loro compagni facevano vita cistercense in un monastero detto “di stretta osservanza”, sotto la Regola di san Benedetto, nel secolo che ha preceduto la fondazione dei cistercensi-trappisti. Sono i nostri padri e i nostri predecessori. Terzo incontro – essenziale.
Questi monaci non avevano nulla di più caro di Cristo (Regola di san Benedetto, cap. 5) e hanno saputo provarlo quando l’odio, la stupidità e la grossolanità di alcuni soldati napoleonici li hanno costretti ad andare fino in fondo al loro impegno, dando la vita per difendere la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
Questi uomini ordinari non sono nati martiri: sono stati gli eventi ad aver dispiegato la grazia che essi avevano ricevuto nel battesimo, fino a versare il loro sangue per proteggere il sacramento nel quale Dio-fatto-uomo si fa prossimo a noi e si dà a noi perché noi ci diamo a lui. La beatificazione di questi uomini è un dono che Dio ci fa attraverso di loro, e che noi siamo invitati a gustare.
La nostra fede cristiana, infatti, acquisisce la sua ampiezza quando conduce a un incontro personale con Cristo, con il Padre, nello Spirito Santo. Gli ultimi giorni dei martiri di Casamari hanno condotto questi onesti monaci, indubbiamente non sempre esemplari, al culmine di questo incontro – che forse non avrebbero mai raggiunto senza gli eventi drammatici ai quali hanno saputo acconsentire e nei quali hanno saputo reagire da cristiani.
La Chiesa è un corpo, quello di Cristo. La Comunione dei santi è una realtà. I santi sono suscettibili di sostenerci nella nostra fedeltà. Quelli di ieri e quelli che, oggi, vivono senza averlo scelto in situazioni estreme: i cristiani d’Oriente, quelli che in Asia o in Africa affrontano autentiche persecuzioni. Per la loro testimonianza essi ci tendono la mano infondendo vigore, lealtà e verità nella pratica della nostra fede, così che anche noi possiamo affrontare da cristiani altri eventi – quelli che ci riguardano.
Quando accompagniamo quelli che soffrono, quelli che la malattia indebolisce, quelli che si avvicinano al giorno tremendo e dell’ultimo incontro, sappiamo metterli in relazione con Cristo-Eucaristia, fonte dei doni di Dio e del dono di sé? Quando valutiamo – in tempo di pandemia – i rischi di contagio in un autobus e in una chiesa, in un supermercato e in una basilica, abbiamo la fede indistruttibile nell’Eucaristia che ebbero questi e altri martiri?
Quando svolgiamo il nostro compito di cittadini cristiani – situazione complessa – abbiamo la fierezza dei martiri? Quando siamo per causa di forza maggiore allontanati dalla celebrazione dell’Eucaristia, quando le chiese sono quasi vuote e il prete se ne sta di fronte a uno schermo, il nostro cuore sa sanguinare del medesimo sangue dei martiri? Il nostro cuore sanguina o siamo rassegnati? Il nostro cuore sanguina o dormiamo?
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]