Come non sentire riaffiorare, dai fondali delle memorie di un Occidente moribondo, la voce di Wiston Churchill*? Lui parlava della controversa Conferenza di Monaco, noi della chiacchierata pagliacciata di Istanbul. Triste spettacolo in cui due uomini – il presidente turco e il presidente del Consiglio europeo – gigioneggiano davanti ai fotografi di tutto il mondo dimenticando vistosamente il posto d’onore che spetta a una donna, presidente della Commissione Europea, di cui si può pensare ciò che si vuole ma che resta comunque la rappresentante più ufficiale degli Europei.
Dando così chiara mostra di sottomissione alle usanze del presidente turco, l’ex ministro belga non ha dato mera prova della sua mancanza di educazione, ma ha ratificato il principio della preminenza protocollare dell’uomo sulla donna. Preminenza oltretutto rinforzata dal divano su cui la Presidente è stata fatta accomodare (oltretutto tenendo la mascherina che i due signori in barba e baffi si sono disinvoltamente sfilata).
Rispetto alla vasta storia del mondo, la questione può sembrare pura aneddotica: si sbaglierebbe però a non vedere in ciò se non una meschina querelle protocollare, cioè quel che da sempre è principalmente il calmiere delle vanità, perché c’è in gioco ben più di una battaglia sulle presenze.
Sì, tutto ciò sarebbe puramente aneddotico se l’evento non venisse ad aggiungersi a fatti sempre più numerosi, conseguenza di una forma di ricatto che la Turchia fa pesare sulle nostre coscienze ormai da più di cinque anni. Stiamo davanti al Grande Sultano come dei bambini: abbiamo la coscienza sporchissima ma ce la vogliamo tenere così. La questione chiave consta di più di tre milioni di rifugiati che restano a volte in accampamenti e a volte in quartieri. Siriani, Iracheni è sicuramente anche altri mantenuti in un limbo politico-civile da un ricattatore che si fa pagare cara la nostra tranquillità.
La Turchia può permettersi oggi pressappoco tutto: tagli sistematici al popolo turco, azioni militari contro i civili, minacce alla Marina Francese, espansionismo diplomatico in Libia, sconfinamenti in Grecia… può tra l’altro decretare il ritorno dell’antica basilica di Santa Sofia al culto islamico… tutto le viene perdonato, a patto che (beninteso) non apra i catenacci dei suoi campi. E dire che c’è mancato poco che qualche genio non proponesse ai libici o ai ciadiani di avviare anch’essi questo tipo di confinamento!
Che fare delle situazioni che ci disturbano? Ammettiamolo umilmente: è difficile che non cerchiamo di gestirle come si fa quando si nasconde la polvere sotto il tappeto. L’adolescente che si vede intimare l’ordine di rassettare la stanza avrà indubbiamente la tentazione di camuffare sotto il letto o nell’armadio la roba che non gli andrà di piegare o sistemare. Alla rinfusa e via, chiudiamo le porte, e i genitori saranno contenti e gabbati. Gli adulti agiranno più elegantemente: fingendo di accordarsi o di non vedere che quel che nella propria esistenza non è in ordine né pulito. Come se non parlarne o fare come se la cosa non esistesse significasse far scomparire la causa del male. È la logica del “cosa volete? Sono tempi difficili…”, a cui si aggiunge il più cinico adagio del “non si può fare una frittata senza rompere qualche uovo”.
Solo che… solo che non funziona così, perlomeno secondo l’Evangelo. Non si scende a patti con il male, e la Ragion di Stato non può in alcun caso giustificare ciò che il senso comune non può ammettere.
Del resto lo sappiamo bene, o se non altro ne abbiamo una certa avvertenza: quel che è nascosto finisce sempre per essere rivelato. Non solo in Cielo, ma già qui su questa terra, e non semplicemente per la curiosità di alcuni, ma perché la menzogna non trionfa mai definitivamente sulla verità, né la morte sulla vita. E prima o poi i piccoli compromessi con la propria coscienza – degli individui come dei popoli – finiscono per provocare catastrofi peggiori di quelle che si diceva di voler evitare.