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Bergoglio in Argentina confessava e convertiva criminali e malati di Aids

Bergoglio ai tempi di Buenos Aires.

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 13/04/21
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Lo rivela la volontaria Halina Rozanska de Pochylak, che ha conosciuto il futuro Papa nel penitenziario di Buenos Aires, durante le sue visite ai carcerati. "Avevano mani e piedi legati. Bergoglio esigeva che fossero messi nelle condizioni di poter parlare"

Jorge Mario Bergoglio in Argentina trascorreva ore ed ore a confessare in carcere, e otteneva numerose conversioni. Anche da criminali con lunghe condanne alle spalle e malati di Aids. 

Lo racconta Halina Rozanska de Pochylak, 78 anni, originaria di Leopoli (Ucraina), approdata in Argentina con i suoi genitori dopo la Seconda Guerra Mondiale. All’età di 8 anni, la svolta della sua vita: la notizia della morte della nonna, detenuta in Siberia e vittima del regime comunista. 

Da allora Halina decide di dedicare la sua vita all’assistenza ai carcerati ed oggi, nonostante l’età, tre figli e 9 nipoti, continua il suo servizio dietro le sbarre a Buenos Aires.

«Ho conosciuto Papa Francesco quando era Provinciale dei Gesuiti e lo considero uno dei più grandi Pontefici. Anche perché continua a manifestare la sua vicinanza agli uomini e alle donne del nostro tempo, che stanno vivendo una crisi globale senza precedenti dovuta alla pandemia».

Tra le esperienze edificanti della sua missione, c'è l’incontro con Bergoglio nel carcere di Buenos Aires. «Ricordo che, sia da vescovo che da cardinale, era solito andare in carcere a visitare detenuti ammanettati alle mani e ai piedi, malati di Aids, con condanne lunghissime. Esigeva che venissero messi in condizioni di interloquire e di solito ci riusciva». 

Così, prosegue Halina, Bergoglio in carcere «si sedeva accanto a loro e li confessava come nessun altro sacerdote aveva fatto prima. Dopo il suo passaggio si registravano numerose conversioni», racconta la volontaria, che può contare anche sul costante supporto dei suoi tre figli.

La donna oggi prosegue ancora il suo impegno in carcere, nonostante età e lutti che l’hanno segnata profondamente. 

«Ho perso mio marito due anni fa, ma lo sento sempre vicino. I miei ragazzi mi danno una grossa mano sia economicamente, che materialmente. Recentemente ho avuto bisogno del loro aiuto perché la cappella del carcere doveva essere imbiancata. Mia figlia utilizza il computer al mio posto e legge le carte processuali, dato che è avvocato» conclude Halina.

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