"Se devo ridiscendere da questo lato, sarà meglio che mi procuri un bastone", pensavo. Mi ero infilata in un sentierino appena battuto, che si inerpicava nel bosco. Poco oltre, però, il sentiero conduceva ad un microscopico borgo, seminascosto dalle piante, e parzialmente abbandonato.
I più vivaci erano i cani, che disegnavano una scia di latrati dietro i miei passi. L'orizzonte si apriva, generoso: agli occhi, con distese di ulivi; agli orecchi, con suoni lontani, lontanissimi, eppure tanto distinti. Il belare di una pecora, quello di una capra; un campanaccio chissà dove. I soliti cani, un po' dappertutto.
Un concerto di uccellini, ognuno con il suo canto; dal fondovalle, qualche bambino che gioca. Un gallo, sperdutissimo, e molto fuori tempo, peraltro...
Mentre scendo - questa volta dalla carrareccia - mi volto un attimo. Una donna, non tanto anziana ma piuttosto male in arnese, mi sta seguendo. Capelli tinti di rosso Tiziano. Pochi denti in bocca ma un sorriso aperto. Ci si saluta, si inizia a chiacchierare.
Lei parla il suo bel dialetto, ma non faccio fatica a capirla. Mi racconta delle immancabili disavventure di salute (il diabete, il ginocchio, l'ematoma...), del nipotino neonato, delle vicende del borgo ("Se mi chiedeva, le aprivo la chiesetta lassù dove sto io...").
Poi sorride, e dice: "Non c'è più affetto, sa... ognuno si chiude per conto suo, anche tra fratelli...". Trafitto da un raggio di sole, forse.
Si cammina insieme, come vecchie amiche. Riprendo lo stradone per tornare alla base. E so, che, in qualche modo, ho incontrato il Risorto nella signora con i capelli rosso Tiziano.