A questo punto conviene fare il contrario: ci venga fornito un elenco (che immagino sempre più esiguo) con le parole che possiamo dire. Perché questo modo di procedere, con continue nuove espressioni - ma anche pensieri- che finiscono all'indice, in noi ingenuotti uomini e donne della strada (anche telematica) genera una certa ansia.
E' notizia recente che il politically correct, con la sua implacabile censura, si è abbattuto anche sui capelli.
O meglio, sullo shampoo per capelli (sono già entrata nella parte ma da dentro questa parentesi sento che matura in me un moto di ribellione per questa definizione tanto stereotipata e antropocentrica: i capelli di chi? perché diamo per scontato di essere gli unici ad avere cuoio capelluto e relativa chioma? perché non specifichiamo almeno con un magnanimo e inclusivo asterisco che intendiamo il manto pilifero della testa di animali umani e per questo già un po' più antipatici? Appena ho chiuso parentesi e pezzo lancio una petizione su Change.org Seguitemi numerosi e inclusivi).
Non si deve più dire che quel particolare detergente è per capelli normali. Perché tutti gli altri tipi di capelli cosa sarebbero, poverini, "i figli della schifosa"? - si dice in Romagna ma anche altrove per indicare chi è poco considerato, escluso o perseguitato dalla sorte.
Tutti i tipi di capelli sono normali a modo loro e, allargando un po' lo sguardo e il cuore, potremmo ricordare con calorosa ovvietà che Ogni scarraffone è bello a genitore 1 (o 2) soj.
Unilever ha lanciato una campagna pubblicitaria con un messaggio omninclusivo e innovativo (sic): Positive beauty: perché stiamo dicendo no al normale.
In realtà un bel minestrone di concetti condivisibili alcuni, altri per nulla, alcuni terribili, ma montati così bene in un video con la musica, i testi evocativi, i sorrisi, le facce del sempre più stereotipato mix etnico, da sembrarci per forza convincente.
L'intento del colosso olandese-britannico, leader con 400 marchi sia nel food che nel non food, non è tutto da rigettare e non si riduce all'esclusione dell'uso di certe parole. Però ci passa attraverso e la cosa è assai pericolosa, ingiusta e tragicamente identica ai pericoli che dichiara di voler evitare. Ghettizzazione, stigmatizzazione, esclusione, riduzione di libertà fondamentali.
Benissimo non costringere più le donne a pensare alla propria bellezza come ad uno stato da raggiungere forzando il proprio fisico entro limiti ferrei e di fatto malsani; giusto apprezzare la variegata diversità di tratti, caratteristiche cromatiche, conformazioni di quanti componiamo la meravigliosa famiglia umana.
Bellissimo insegnare a vedere la bellezza anche in persone mutilate o disabili (per molti di noi è già piuttosto evidente, senza il continuo martellamento di spot che cercano di farci digerire omoerotismo e transessualismo, inserendo in rapida sequenza, dopo un paio di coppie LGBT, anche un disarmante sorriso di un ragazzo con sindrome di Down); chi non desidera ritrovarsi con un ambiente naturale meno sciupato, con acque pulite da bere e da spargere a beneficio di animali, piante, popoli interi? Chi non vuole una convivenza più armoniosa tra tutti noi e tra noi e l'ambiente che abitiamo?
Ma che c'entra tutto questo con il togliere dai flaconi dello shampoo e di creme di bellezza la parola "normale"?
La norma, invece, esiste. Ed è un bene che sia così; la norma non esclude la diversità, definisce, riconosce una forma, permette un discernimento; vale in orizzontale, tra noi creature umane, e in verticale: Cristo è la Norma a cui tutti tendiamo.
E' un gioco assai sporco equiparare l'uso della normalità per parlare di tipi di pelle o cuoio capelluto e la pratica dei test crudeli sugli animali; così come è vigliacco tacere, proprio in questa sede, in questo spot-ombrello che tutto vuole coprire e abbracciare, la normalizzazione di pratiche devastanti per il genere umano, come l'aborto (denunciato da diversi attivisti come pratica utile alle industrie di cosmesi).
Tutti vogliamo sentirci belli, ma ancora di più amati e riconosciuti, accettati per come siamo. Tutti istintivamente cerchiamo il benessere e rifuggiamo ciò che ci fa soffrire. Ma, appunto, solo istintivamente.
Lavorare per migliorarsi, per normalizzare per esempio il proprio peso, non è una tortura. Allenarsi per aumentare una prestazione atletica non è un male. Farne un assoluto sì! eccome. Si chiama idolatria.
Perché dunque, anziché infilarsi in questo pedante rimbrotto globale (normale non si dice, nero non si dice, questo non si pensa, la famiglia naturale non esiste, etc) non hanno seguito le orme di un'imprenditrice bresciana come l'Estetista Cinica che ha cominciato a parlare di bellezza e cura del corpo in chiave comica ma onesta, con autenticità, realismo e una sincera simpatia per l'umana imperfezione? Hai le smagliature? Ti tocca tenertele. Questa crema è buona, sì, ma non fa miracoli.
Ti piacerebbero le cosce lunghe e affusolate? scordatele, sei brevilinea. Però non sei affatto male e anche se il tuo sovrappeso non è dovuto a quella tipica piaga anni '90 detta "delle ossa grosse" mi piaci tanto anche così!
Certo anche lei cede al diktat del gender fluid, mi pare; forse non sa ancora che non è una mossa furba ma una caduta di stile.