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Il profumo di San Michele arcangelo? E’ l’incenso. Ecco perchè

san michele e l'incenso
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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 30/03/21
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San Michele si può evocare con una particolare benedizione all’inizio della Liturgia della Eucarestia, quando il sacerdote mette l’incenso nel turibolo e ne chiede la potente intercessione

Il profumo di San Michele arcangelo è l’incenso. E’ un aroma attraverso cui si chiede l’intercessione del Principe degli Angeli. Si legge nel libro “Profumi divini” (Mimep Docete) di Don Marcello Stanzione, che il sacerdote, all’inizio della Liturgia della Eucarestia, mette l’incenso nel turibolo, lo benedice e poi incensa tutto l’altare, in onore del Signore. 

L’incenso viene benedetto, nella Messa in forma extraordinaria o Messa di San Pio V, con la preghiera: “Per intercessione di San Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito”.

Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice San Giovanni nell’Apocalisse (8,4): “E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio”.

Ancor prima, come spiega il liturgista benedettino dom Prosper Guéranger: “siccome il pane e il vino che ha offerti hanno cessato dì appartenere all’ordine delle cose comuni e usuali, [il sacerdote] li profuma con l’incenso, come fa per Cristo stesso, rappresentato dall’altare”. 

Belle le parole che accompagnano l’incensazione prima in forma di triplice croce e poi di triplice cerchio sul pane e del calice: “Ascenda a te, Signore, questo incenso da Te benedetto e discenda su di noi la tua misericordia”.

È tutto il senso della liturgia, che ascende a gloria della presenza divina e discende per la nostra salvezza – in latino, salvare vuol dire conservare – affinché siamo completamente noi stessi e possiamo vivere in eterno con Dio. Il sacerdote si inchina “in spirito di umiltà e con animo contrito” affinché il sacrificio si compia alla presenza di Dio in modo da essere gradito; poi invoca lo Spirito sulle offerte.

Il sacerdote, rendendo il turibolo al diacono, gli rivolge un augurio che fa ugualmente a sé medesimo, dicendo: “Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità”. 

Il diacono, ricevendo il turibolo, bacia la mano del sacerdote e poi la parte superiore delle catene, invertendo l’ordine delle azioni che aveva compiuto presentandoglielo.

Tutti questi usi sono orientali e la liturgia cattolica li conserva perché sono dimostrazioni di rispetto e riverenza. Dunque, la Chiesa non ha escluso gli aromi dai suoi riti, anzi usa il balsamo per preparare il Crisma. 

L’incensazione simboleggia il sacrificio perfetto dei santi doni del pane e del vino, cioè Gesù Cristo, a cui sono unite le nostre persone in sacrificio spirituale, emananti profumo soave che sale al cielo (cf. Gen 8,21; Ef 5,2); così sono le preghiere dei santi (Ap 5,8) e le virtù dei cristiani (2 Cor 2,15).

Sarebbe molto opportuno che nelle nostre liturgie cattoliche si riprendesse non solo l’uso dell’incenso che in tantissime parrocchie è stato completamente abolito. Addirittura, a volte non si usa neppure più alla fine del funerale per incensare la salma. 

Ma anche al termine della Messa riprendere di nuovo la preghiera finale a san Michele Arcangelo che il papa san Giovanni Paolo II aveva nel 1997 invitato a fare pur non essendo purtroppo più obbligatoria come una volta.

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