È morta a soli 20 anni, Maddalena Urbani, la figlia minore del medico Carlo Urbani ed è morta proprio due giorni prima che ricorresse il 18° anniversario della morte di suo padre. Era il 29 marzo 2003 quando a Bangkok esalava l'ultimo respiro "il medico che ci salvò dalla Sars". Carlo Urbani aveva all'epoca appena 46 anni e tre figli, la più piccola Maddalena di appena 3 anni.
Ed è il 27 marzo 2021 quando Maddalena si inietta una dose letale di droga e si spegne in un appartamento di Roma sulla via Cassia.
Figlia di un medico eroe, finita nella spirale della droga. Così la sintesi brutale e aggressiva delle notizie rischia di essere un cingolo pesante che schiaccia storie e anime. Come dovrebbe vivere all'altezza di un padre simile? Ci svegliamo tutti un po' più moralisti di quello che credevamo quando stritoliamo una vicenda umana dentro le maglie strette di certo perbenismo sottocutaneo.
Maddalena viveva sulla propria pelle la ferita non rimarginata di essere considerata figlia di un eroe eppure di sentirsi soprattutto orfana di suo padre. L'inciampo nella dipendenza ci parla di una fragilità che prende sul serio il dramma di non poter più dipendere - essere legata, farsi abbracciare - da un padre.
Racconta il suo datore di lavoro:
Ora tutti i retroscena sulla sua morte la fanno da padrone sulle colonne di cronaca: un siriano di 62 anni ai domiciliari per spaccio le avrebbe fornito la dose letale. Maddalena viveva a Perugia, faceva la barista e voleva riprendere gli studi. Nel mezzo del suo trambusto di vita è stata colpita a morte dalla coda velenosa della droga: l'illusione di provare un'ebbrezza indicibile, la realtà dell'autodistruzione.
Il suo volto non è il lato oscuro di quello luminoso di papà Carlo, insieme ci gridano l'urgenza della cura: il bisogno che ogni uomo ha di avere qualcuno accanto che lo guardi e prenda sul serio il dolore.
Dalle colonne di Avvenire Lucia Bellaspiga ha tratteggiato un ritratto della famiglia Urbani con grande maestria e affetto. Luca, Tommaso e Maddalena sono tre fratelli molto legati tra loro. Quando il padre Carlo si accorse di aver contratto la Sars (tutta la famiglia era in Vietnam con lui) furono immeditamente imbarcati su un volo per rientrare in Italia, era il marzo 2003.
Ciascuno da allora ha fatto i conti con l'eredità di un papà che ha dato la vita impedendo che il mondo precipitasse nell'incubo che oggi si è fatto realtà, il dilagare di una pandemia. Ciascuno ha preso strade diverse: Luca è a Roma e Tommaso in Africa, Maddalena stava a Perugia con l'idea di ripartire per il Vietnam. Proprio là, dove tutto esplose drammaticamente. Forse sarebbe stato un viaggio per riallacciare un legame col padre e guardarsi dentro fino in fondo, una risalita all'origine del dolore e della speranza.
Proprio il fratello Luca ha raccontato quanto Maddalena fosse legata a papà Carlo:
Presente, ma in disparte. Come non capirla? Il fiato sul collo del mondo intero che parla di un padre eroico e piantata nel cuore la certezza di una mancanza che fa male. Gli altri potranno applaudire, ma una figlia - forse - si sente solo di piangere.
Ci dicono che non dobbiamo togliere i problemi dalla strada dei nostri figli, che fa bene farli scontrare con le contraddizioni. Ma Carlo Urbani ce li piantò dentro, con un azzardo addirittura sfrontato. Il suo desiderio di essere medico infettivologo proprio nei luoghi più a rischio del mondo diventò un affare di famiglia:
Quel viaggio in Estremo Oriente, in Vietnam per la precisione, catapultò tutta la famiglia Urbani dentro la bellezza e la precarietà di seguire un uomo innamorato del suo mestiere, curare. La prontezza di dire sì al bisogno costò la vita a quell'uomo di cui oggi riconosciamo come non mai il valore: quando nel febbraio del 2003 l'OMS chiese l'intervento di un medico per capire cosa stesse succedendo a un malato ricoverato ad Hanoi con una "polmonite atipica", fu Carlo Urbani a rispondere.
Nel mese successivo le sue intuizioni, la sua caparbietà e la sua dedizione impedirono che quella che poi venne chiamata SARS dilagasse come epidemia mondiale. Un mese di cura, studio, allerte e lotte per farsi ascoltare. E poi la morte, intubato e senza contatti coi familiari, infettato dal virus che grazie a lui fu contenuto. Carlo Urbani e la sua famiglia hanno vissuto con 18 anni di anticipo tutto quello che oggi è sotto i nostri occhi.
Vale la pena perdere un padre che ha salvato il mondo? Lo so, ho posto male la domanda. Ma forse un figlio se la pone così. Che cura è quella che mette al sicuro tante vite, ma precipita un figlio nel dolore della mancanza di un papà? Vale la pena ficcarsi dentro i problemi, dando anima e corpo a un'idea di bene così assoluta e incondizionata?
Cosa dobbiamo insegnare ai nostri figli? Di spendersi per il bene, ma solo fino a un certo punto magari rispettando i confini della libertà altrui?
Alla fine si educa con quello che si è. E forse il nostro compito è proprio quello di piantare un rovello nel cuore dei nostri figli, e non di metterli al sicuro dalle domande che fanno tremare. Guardare senza veli le nostre attese più sincere non ci mette in pace, ci consuma. Parlare davvero di felicità è un pugno che fa male, non una carezza. Testimoniare il bisogno di cura che tutti abbiamo ci mette in gola quasi un senso di soffocamento.
Maddalena non ha tradito e sporcato l'immagine di un padre eroe. Ha seguito da presso i suoi passi per una strada che di rado noi imbocchiamo, quella di chi non accetta compromessi di fronte all'assoluto. Ed è una follia. Al modo in cui la Via Crucis fu una follia. E' proprio su quel genere di strada che si cade malamente e si muore anche di overdose.
Noi tante volte restiamo vivi solo perché ci sottriamo a quella sfida.