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Hai un rosario appeso allo zaino? Quasi quasi ti bullizzo

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MIENMIUAIF - MIA MOGLIE ED IO - pubblicato il 29/03/21
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Serena Di, che abbiamo imparato a conoscere come la radical chic pentita, racconta le sue disgrazie passate, perché è una mossa assai vincente di questi tempi e può aiutare nella promozione di un libro appena pubblicato. Benissimo se hai episodi di bullismo da raccontare; peccato però che tu sia così cattolica...

Di Serena Di

Carissimi, come sapete ho scritto un libro (ho solo spammato post per una settimana) e adesso che è stato pubblicato, come tutti gli scrittori bohemien, gli artisti e Lady Gaga, posso raccontarvi le mie sciagure passate (ampiamente trattate nel libro, tra l’altro). 

Si fa per fidelizzare il pubblico, per farlo empatizzare, «poverina anche lei aveva i brufolozzi sul mento durante il pre-ciclo», e soprattutto perché è di gran moda.

Vince su tutti chi parla di bullismo, battute sul peso, sul modo di vestire, di comportarsi, di parlare, la lista è lunga e non risparmia niente e nessuno, eppure a guardare tv, social e giornali sembra che ne siano vittime solo alcune categorie per cui la parola bullismo è sempre valida, mentre per altre sembra normale prassi, come se non fossimo tutti fatti di sangue, cuore, sentimenti e cistifellea. Evidentemente la cistifellea di qualcuno vale più di quella di altri.

Cosa succede infatti quando la vittima di bullismo è un cattolico, nel paese che viene ancora da molti (erroneamente) considerato il più cattolico al mondo?

Succede un bel niente, oggi come vent’anni fa quando la vittima di bullismo sono stata io e non conoscevo la parola bullismo. C’erano i “bulletti”, che secondo la leggenda erano rigorosamente solo maschi e per definizione venivano da famiglie povere e abbrutite che mangiavano il dessert con il cucchiaino da the (datemi i sali). 

Questi “bulletti” te li immaginavi sempre in sella a una Harley-Davidson (anche se avevano cinque anni), il chiodo d’ordinanza, un coltellino svizzero ben in vista e tra i capelli la stessa brillantina che usava John Travolta in Grease (che, ricordiamolo, secondo i canoni odierni è un film sessista e misogino ed è deplorevole anche solo nominarlo). 

I bulletti se ne stavano sugli spalti dello stadio del liceo, loro habitat naturale, cantavano dal tramonto all’alba Summer Nights pronti ad assalire in massa, come corvacci, la loro preda, perché si sa i bulletti agiscono sempre in gruppo. Le mamme lo ripetevano in continuazione «non te la prendere, i bulletti agiscono sempre in branco ma presi singolarmente sono deboli e fragili».

E così con queste raccomandazioni mi apprestavo a iniziare le scuole medie come una povera, ingenua, Sandy Olsson (mia madre mi vestiva pure come lei). La mia scuola non aveva lo stadio, la palestra era inagibile per la maggior parte del tempo e io sembravo al sicuro dai bulletti, eppure un giorno “il bullismo”, questa entità astratta, colpì anche me. 

Non ero stata presa di mira perché mi vestivo come Nonna Papera, né per l’aspetto paffuto e i brufoli, o, almeno, non solo. Ero stata presa di mira perché agganciato a un laccio dello zaino tenevo un rosario. 

Questo evento, con le sue conseguenze, ha segnato profondamente il mio rapporto con la fede durate gli anni a venire. 

Nel mio caso la capo bulla era una donna, un’adulta, la mia professoressa di lettere e il branco di ossequiosi bulletti non era composto da ragazzini provenienti da famiglie svantaggiate, ma da ricchi rampolli di provincia. Quelli che si vestivano come i vj di MTV, che bevevano e fumavano in aula, che davano fuoco al registro di classe per le troppe note accumulate, che si riempivano di piercing e tatuaggi a dodici anni, che perseguitavano e deridevano in massa i compagni più deboli (e meno benestanti) che non sapevano neanche cosa fosse MTV. 

I tipi giusti, insomma. Contro di loro non avevo speranze e soprattutto non le avevo contro la professoressa Lazoppis che non perdeva occasione per ricordarmi che la religione era l’oppio dei popoli e che «la cultura è solo di sinistra» (ma anche io venivo da una famiglia di sinistra). Loro erano quelli a cui si dava sempre ragione, persino se erano crudeli, prepotenti, volgari, ipocriti, bugiardi e culturalmente inadeguati. Negli anni ho imparato a riconoscerli, studiarli e perdonarli, a loro ho dedicato intere pagine di Confessioni di una Radical Chic pentita.

Il tempo è passato ma ben poco è cambiato. Per rivedere i miei ex compagni di classe oggi basta sintonizzarsi su qualche programma a caso, visitare una di quelle pagine satiriche da milioni di follower dove si plaude con disinvoltura alle bestemmie e dove donne e ragazze cattoliche, giornaliste, madri e mogli vengono messe alla gogna tra oscenità e ogni tipo di bruttura augurata pubblicamente a loro, ai loro mariti e ai loro figli. Il tutto nell’indifferenza generale, perché «nel 2021 stiamo ancora a difendere quelle retrograde donnine di Chiesa?».

Appunto, siamo nel 2021, abbiamo trovato un vaccino per il COVID19 ma non quello per la fesseria, e noi dopotutto continuiamo a rimanere il paese più cattolico al mondo (come no).

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