Di Sofia Amoroso
Giovedì mattina, ore 12.45. Nel tempo che dedichiamo ai mestieri di casa, in cui mi occupo del giardino, vado a potare gli oleandri piantati nei grandi vasi davanti all’ingresso della nostra chiesa alla Magliana.
Un uomo sulla sessantina, in tenuta da lavoro, mi passa davanti ed entra in chiesa. Dopo neanche un paio di minuti, si affaccia dalla porta, sembra uscire. Poi si gira verso di me, si ferma: “Mi scusi, posso chiederle un favore?”. Lo guardo incuriosita: “Certo”. “Potrebbe dirmi le parole dell’Ave Maria? Me l’avevano insegnata mamma e papà, ma le ho dimenticate”. Scoppia a piangere.
Mentre entriamo, mi dice che ha perso da poco il papà. Tornando a casa dal lavoro, passa sempre davanti alla nostra chiesa e da qualche tempo ha iniziato ad entrare, solo un attimo. Vorrebbe ridire quella preghiera tanto cara ai suoi genitori, ma ogni volta che prova a farlo si ferma a un certo punto perché non la ricorda più. Ci inginocchiamo davanti alla statua della Madonna e comincio a pregare. Lui ripete lentamente ogni frase. Prima di salutarlo, gli regalo il testo stampato.
Cosa ci fa una missionaria italiana in Italia? Nella terra dove un tempo il cristianesimo si respirava in ogni casa e si trasmetteva di generazione in generazione, siamo oggi mandate ad essere il luogo dove gli uomini possono ritrovare ciò che hanno dimenticato, spesso rinnegato.
Siamo mandate ad essere lo spazio in cui si può incontrare di nuovo, “in presenza”, quel Dio che già si conosce e che ha lasciato nei cuori le sue tracce e la sua nostalgia.