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«Float», il corto che ci insegna ad accettare le nostre differenze e quelle altrui

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Catholic Link - pubblicato il 27/03/21
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di María Belén Andrada

Se vi siete mai sentiti a disagio nel condividere qualcosa con una persona diversa da voi, o se vi siete vergognati per quello che vi rende singolari, questo articolo fa per voi!

Tutto quello che scrivo oggi è basato sul corto animato della Pixar intitolato «Float». Vi raccomando di vederlo prima di leggere questo post, per poterlo comprendere meglio e poter riflettere per conto vostro.

Se avete visto il corto, forse la prima cosa a cui avete pensato è che il padre si vergognava di suo figlio o del suo talento. Io non ho pensato questo, ma che voleva solo “proteggerlo”.

Tutti lo guardavano, si allontanavano o allontanavano i propri figli da lui. Probabilmente, il padre pensava: “Lui ora non lo capisce, ma quando crescerà gli farà male che lo guardino così. Se si rendono conto ora di quello che fa, questo fatto lo marcherà a vita, e sarà sempre quello strano”.

Forse mi direte “No, nessuno penserebbe questo, quel bambino riesce a fluttuare, è incredibile!” E allora, nessuno si prende gioco del ragazzino che prende i voti massimi dicendo che è un “nerd”?

Nessuno sorride ironicamente quando un adolescente decide di non andare a una festa di sabato perché la domenica ha una gara di matematica la mattina presto? O quando una ragazza non vede nessuna serie perché deve esercitarsi al pianoforte?

Forse ci comportiamo inconsapevolmente così con le persone di cui ci importa: “È molto bello che suoni uno strumento, ma non emozionarti troppo”.

“Sì, bisogna studiare e prendere bei voti, ma non si deve notare tanto”. “Sii cool”, “Non spiccare troppo”, “Sarai oggetto di bullismo se...”

Credo che il pensiero del padre sia cambiato quando si è reso conto che il figlio non “faceva” qualcosa, ma “era” in un certo modo. Non gli stava chiedendo di smettere di fare qualcosa, ma di rinunciare a quello che lo rendeva speciale.

Vedendo i suoi tentativi di proteggerlo, si è reso conto che era lui che lo stava danneggiando, non lo scenario ipotetico di quello che sarebbe successo a scuola, con la prima fidanzata o alla ricerca del primo lavoro.


Nel corto non vediamo solo un papà e un figlio, ma anche molte altre persone, altre famiglie. Tutti sono sorpresi per quello che accade a quel bambino, lo guardano in modo strano, mormorano tra loro e si allontanano.

È un buon esercizio metterci a pensare se c'è qualcuno che mettiamo da parte, o che guardiamo male perché non capiamo il suo modo di essere.

Se la risposta è affermativa e state pensando a qualcuno in concreto, un buon esame consisterebbe innanzitutto nel pensare perché lo fate, e un buon proposito – per quanto possa sembrare un cliché – chiedersi: “Come tratterebbe questa persona Gesù?”

Il buon proposito successivo sarebbe cercare di trattarlo nello stesso modo. Lavoriamo per essere più empatici con chi ci circonda!

A volte ci esaspera che gli altri siano diversi, ma molto spesso ci esaspera anche quando non siamo come vorremmo essere.

Nel nostro caso, però, siamo un po' più pessimisti: non siamo belli come vorremmo, né intelligenti o talentuosi come ci piacerebbe... E così mettiamo pietre nel nostro zaino, come nel corto.

Dobbiamo avere un po' più di compassione e misericordia con noi stessi. Va bene – ed è raccomandabile – cercare di migliorare laddove vediamo di avere dei margini di miglioramento.

Studiare di più, cercare un lavoro migliore, prenderci cura del nostro corpo, esigere un po' di preghiera (o un po' di più)... È anche positivo – e necessario – saperci però scusare quando non soddisfiamo le nostre aspettative e non ci sappiamo amare.

Non potremmo “accettare” il peccato o quello che è un'offesa a Dio. Se vediamo in noi una mancanza, dobbiamo “accettarci”, sapendo che siamo umani e possiamo cadere, ma non stiamo tollerando la mancanza o il difetto, visto che l'intenzione è quella di cercare di correggerci.

Se vediamo che un nostro fratello sbaglia, possiamo mettere in atto una correzione fraterna. Attenzione, però, perché la chiave della correzione fraterna è la carità.

E le persone? Bisogna accettarle tutte? Ovviamente sì, gli altri e noi stessi! Tutte le persone – indipendentemente da condizione, religione, apparenza, orientamento sessuale o ideologie politiche – entrano nell'abbraccio di Dio, e per questo non ha senso che noi non apriamo loro le braccia.

Se lo facciamo, possiamo avere la certezza che alla porta del cielo Dio ci attenderà a braccia aperte. Dopo tutto, lo ha già fatto prima, sulla croce, redimendo con le braccia tese, perché potessimo entrarci tutti.

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