Dopo un processo assurdo e illegale che lo ha condannato a morte, Gesù si spegne in croce: cosa fa a quel punto il procuratore Ponzio Pilato, già tormentato per aver emesso quella sentenza di morte tra molti dubbi e scarso rispetto del diritto romano dell’epoca?
Prova a ricostruirlo, sulla base delle fonti storiche a disposizione, Massimo Centini nel libro “Pilato. Indagine sull’uomo che uccise Gesù” (edizioni Terra Santa).
All’ora sesta, il condannato inchiodato alla croce gridò: «Eloì, Eloì, lema sabactàni», e morì. Subito «si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona (...) il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto al basso» (Mc 15,33- 38). Un avvenimento straordinario che spaventò molti di quanti in quel giorno si trovavano a Gerusalemme.
Mentre il tormentato procuratore probabilmente cercava di riordinare i suoi pensieri per la condanna a morte di Gesù, fu sorpreso da una visita inaspettata. Venne al pretorio Giuseppe d’Arimatea, «distinto membro del consiglio» e «chiese il corpo di Gesù» (Mc 15,43).
Pilato si stupì non tanto per la richiesta – se alla sepoltura non avesse pensato un parente o un amico, per il condannato ci sarebbe stata la fossa comune nel campo impuro –, ma per la brevità della sopravvivenza di Cristo sulla croce. Non poteva credere che fosse già morto e pensò di informarsi presso un centurione.
Dall’ufficiale seppe della fine fisica di Cristo, spirato prima del crurifragium (frattura delle ossa delle gambe) praticato invece agli altri due condannati, «perché i corpi non rimanessero sulla croce di sabato» (Gv 19,31).
Saputo ciò, Pilato concesse il cadavere a Giuseppe d’Arimatea, perché lo deponesse in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia secondo l’abitudine locale.
Pilato acconsentì alla richiesta senza sollevare obiezioni concedendo il cadavere e andando in parte contro la normativa romana, che invece prevedeva una lunga agonia per i crocifissi e un’esposizione dei corpi alle fiere e agli elementi.
In pratica Pilato volle fare una concessione, dimostrandosi, ancora una volta con un velo di ambiguità, in qualche modo favorevole a Cristo e ai suoi fedeli. Oppure, più praticamente, sapeva della legge giudaica e volle accelerare le procedure andando incontro alle istanze religiose locali.
In Matteo (27,62-66) e nell’apocrifo Vangelo di Pietro, Pilato, dopo la crocifissione, fu ancora interpellato dai sacerdoti, i quali chiesero al procuratore di organizzare un gruppo di guardia da collocare davanti al sepolcro. In questo modo si voleva evitare che i discepoli trafugassero il corpo di Cristo.
Da quel momento, Pilato pare uscire dalla storia: ci mancano elementi sufficienti per tentare una ricostruzione del suo ultimo periodo in Palestina e del probabile ritorno in patria.
Diversi studiosi concordano che il procuratore abbia inviato un rapporto sulla questione specifica di Gesù a Roma. Non è da escludere che in seguito abbia portato a conoscenza dell’imperatore Tiberio anche gli effetti e la diffusione della nuova fede dei seguaci di Cristo.
Infatti ogni nuova religione presente nei territori di provincia era fatta esaminare dal Senato romano. Pilato, rispondendo agli obblighi della sua carica, quasi certamente avrebbe dovuto adempiere anche a quest’ufficio: non sapremo mai se lo fece. In realtà sappiamo solo che, in seguito, il Senato considerò il cristianesimo superstitio illicita.