Mila Maxanets è una grande influencer in Ucraina, e ha solo 8 anni. Il suo profilo Instagram ha più di mezzo milione di followers e non è male (cioé: ragionando in puri termini di affari è un profilo che rende bene). Ma di questi tempi, non basta. Per essere davvero qualcuno servono milioni di followers. E c'è da scommettere che l'ultima clamorosa "scelta" di Mila moltiplicherà la sua fama virtuale: la bimba ha pubblicamente detto che si è trasferita a Kiev per andare a convivere con il suo fidanzato, l'influencer Pavel Pai, poco più grande di lei (13 anni).
La baby coppia di influencer ha inondato i suoi fans di foto che documentano la loro nuova vita da conviventi. (Ma qui non metteremo nessun link ai loro account social). Mila è bellissima, impeccabile nello stile da Lolita ... eppure c'è qualcosa che fa venire i brividi in una delle sue tante istantanee condivise con il mondo intero: i due "fidanzatini" sono nel loro letto, come un marito e una moglie qualsiasi, e si preparano per andare a dormire. E lei sorride, e si vede bene che le è appena caduto un dente da latte.
Cosa è successo se nel 2021 siamo arrivati a trattare questa storia tra le vicende della cronaca e non come la trama di un nuovo romanzo distopico?
L'opinione pubblica in Ucraina è insorta e ha protestato venendo a conoscenza della relazione tra Mila e Pavel. L'esibizione mediatica di un "matrimonio" tra bambini a scopo di celebrità e lucro sta interrogando la politica e la società. Ma loro si vogliono bene davvero, hanno commentato i genitori dei piccoli protagonisti. Sì, c'è da non crederci. I genitori della baby-coppia sono assolutamente sfacciati nel dichiarare di aver dato la loro benedizione ai figli, perché mossi da un sentimento autentico.
Non si trovano parole adatte per commentare questa aberrazione (si potrebbero tirar fuori tutte le rime aspre dell'inferno dantesco). Torna però in mente la voce del professor Humbert...
Purtroppo, però, nessuna ingenuità c'è dietro il fenomeno dei baby-influencer. Anzi è una macchina da guerra in cui intere famiglie sono cinicamente e devotamente al servizio della propia avidità, costi quel che costi.
Instagram, Tik Tok e Youtube non assomigliano alla miniera in cui lavorava come bestia da soma Rosso Malpelo. Non sembrano neppure lontanamente terribili come le armi imbracciate da un bambino soldato. A prima vista non verrebbe da avvicinare la storia di Mila, così sorridente così glamour, a quelle delle spose bambine del Pakistan. Ma sono solo maschere diverse del medesimo dramma.
'Sfruttamento minorile' e 'istigazione alla pedofilia' possono assumere sembianze innocue come la mela rossa che fu messa davanti a Biancaneve. Mangiala, è buona. Il veleno è nella polpa, ma la buccia è così succulenta.
In fondo che male c'è se - al sicuro tra le pareti di casa mia - offro ai miei figli l'occasione di mostrare i loro talenti, di esprimere le loro capacità davanti allo schermo? E che male c'è se poi alcune aziende sono disposte a finanziare questi tentativi artistici? Cosa c'è di così violento e terribile se mia figlia - pettinata e truccata a dovere - fa un Tik tok in cui si lava i denti prima di dormire dicendo che il colluttorio XYZ le fa i denti bianchissimi?
Quando Fedez disse a favore di telecamera perché aveva deciso di pubblicare le foto di suo figlio Leone fin da piccolissimo sui suoi canali social, quasi quasi gli avevo dato fiducia. Parafrasando, sostenne che se non avesse diffuso lui quelle immagini ci sarrebbero state decine di paparazzi sotto casa ogni giorno a perseguitarli. Diceva di aver liberato il figlio da quella schiavitù. Eppure i conti non tornano. Perché vedere Leone costantemente ripreso, col maglioncino giusto e l'etichetta in vista, ha comunque il sapore agrodolce di qualcuno che libero non lo è del tutto ... se c'è un mondo di brand che scalpita per mettergli le grinfie addosso con il beneplacito di mamma e papà.
E inseguendo il mito dei figli dei vip, tante famiglie normali rincorrono l'illusione di agguantare il successo sfruttando il potere mediatico dell'infanzia. Quando si parla di baby influencer non c'è mai davvero solo l'iniziativa di un bambino dietro la facciata di quelle immagini spontanee (o fatte così bene da sembrare spontanee).
I figli come prodotto, la vita quotidiana come packaging. Questa fotografia impietosa su un fenomeno sociale che anche in Italia non è più ignoto (avete seguito il caso della baby influencer Benny G?) non ci porta all'ennesimo commento amareggiato e sdegnato sul mondo dei social networks. Per quanto impietosa è proprio un "ritratto di famiglia". Non nascondiamoci dietro a un dito, qui sul banco degli imputati non ci sono i "figli sfruttati", ma proprio il tragico naufragio delle madri e dei padri.
Come si può configurare un rapporto educativo se l’onnipotenza si sposta dalla parte del bambino? - Laura Pigozzi (autrice del libro "Troppa famiglia fa male")
Dietro il primo piano di un baby-influencer c'è un ritratto di famiglia sfuocatissimo. E ci riguarda tutti. Idolatrare i figli è confessare che come genitori ci siamo ammutinati. E l'idolatria dei figli comincia da lontano, già da quando si dice: "Non è ancora tempo di avere figli, ora devo pensare al lavoro". Che le relazioni si riducano a una pianificazione vestita da 'scelta consapevole e per il bene di tutti', è l'antipasto di una vita familiare in cui le presenze non sono più presenze, ma partners di un'azienda che deve funzionare.
Eh già, partners si usa spesso oggi, perché 'matrimonio' è una brutta parola e anche 'compagni' suona molto irrevocabile. Pensandoci bene, genitore 1 e genitore 2 assomigliano molto a due membri di una qualunque società d'affari. Madre e padre erano la vetusta ipotesi che la famiglia fosse un benedetto fallimento: un fallimento dei tornaconti personali, in nome dell'avventura di essere un imprevisto dono reciproco.
A ben vedere, non c'è niente di nuovo sotto il sole. L'uomo, sotto il sole, continua ad avere un problema aperto con il significato della parola valore (Io sono un valore o mi deve essere dato un prezzo per averlo?). E sono spesso i nostri figli a portare il peso riflesso di questa domanda.
A me viene in mente il film Bellissima di Luchino Visconti, e siamo nel 1951. Forse ci sarebbero esempi altrettanto calzanti da tirar fuori dai miti classici.
Anna Magnani prestò volto e voce a Maddalena Cecconi, madre della Roma popolana che si entusiasma quando la radio annuncia che a Cinecittà si cerca una bambina come attrice per un film. C'è tutta la tigna del riscatto dietro il suo affanno per far sì che quella bambina destinata al successo, alla fama, alle luci della ribalta sia sua figlia Maria.
E la parola sottesa in tutta la pellicola è sacrificio: nella scena finale la Magnani tiene in braccio la bambina addormentata come la dovesse immolare su un altare, o come fosse la Madonna ai piedi della Croce col corpo disfatto del Figlio. Di chi sono i nostri figli? Qual è il loro destino? Le nostre mani a che scopo li sorreggono?
Il monologo finale del film è famosissimo, e meraviglioso. Ce la teniamo - dice sfinita Maddalena Cecconi in faccia ai produttori pronti a sborsare milioni per quella bambina prodigio. Il prodigio è un altro. Gli occhi della mamma si sono aperti: la figlia se la tiene, proprio perché non è una 'cosa sua'. Ce la teniamo significa 'non ve la diamo in pasto'. Maria dorme serena fra le braccia della madre, questa è la pace di chi si sente custodito.
Ci fa ancora tremare la lettura del sacrificio di Isacco. La madre interpretata da Anna Magnani fa un viaggio uguale e opposto a quello di Abramo: scopre che ci sono altari terribili su cui siamo disposti a immolare i nostri figli e non c'è lieto fine. E capita ogni giorno, anche se non siamo quelli che trasformano i bambini in celebrità del web. Il sentiero di Abramo è quello che conduce alla scoperta che un figlio è così sacro che solo Dio può toccarlo. Le strade che portano ad altri altari, e hanno sembianze assai invitanti, nascondono il veleno di sussurrarci che tutto è sacrificabile.