Così diceva Benedetto XVI il 25 agosto 2010, con l’approssimarsi della memoria liturgica del Vescovo di Ippona. Effettivamente, l’itinerario di questo padre della Chiesa (354-430) svela un’autentica ricerca della sapienza. Brillante studente a Cartagine, fu sconvolto in profondità dalla lettura dell’Hortensius di Cicerone. Più tardi avrebbe confessato: «Quel libro cambiò i miei sentimenti, orientò verso di Te, Signore, i miei pensieri, rendendo completamente altri i miei voti, i miei desideri». Ma solo dieci anni più tardi avrebbe raggiunto la vera sapienza, la quale «nient’altro è se non Dio stesso».
In sant’Agostino, quest’attitudine è sottomessa all’ingiunzione dell’amore. L’amore è al centro del suo pensiero. Egli designa allora ciò che mette in moto l’anima, ciò che le dona forza e vita, conducendola verso il suo “luogo naturale”: «La mia gravità è il mio amore» (Confessioni XIII,9).
Sant’Agostino fa culminare l’una e l’altro nella carità che si esprime nel comandamento di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34). Per lui, il motore della vita cristiana sta lì: ognuno accoglie Dio accogliendo l’altro. Quest’ospitalità di Dio stesso è la riconciliazione, il segno di una vera unità. La gioia di essere uniti è il frutto di una carità, di un amore reciproco, che sono dati da Dio. È quanto egli espone nel Sermone 211:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]