L’11 marzo di 10 anni fa il Giappone registrava il più potente terremoto della storia. Al largo della costa di Tohoku, nel nord del Paese, alle ore 14,46 locali si sprigionava dalla profondità di 30 km un sisma di magnitudo 9 della scala Richter, generando uno tsunami con onde alte 10 metri che viaggiavano alla velocità di 750 km/h, e che a Miyako hanno superato i 40. Il maremoto ha investito anche la centrale nucleare di Fukushima che non ha retto all’impatto delle acque, per cui è avvenuta un’esplosione nucleare con la immediata dispersione di ingenti quantità di materiale radioattivo.
Oltre ai morti accertati, l’evento si è caratterizzato per il gran numero di dispersi: il totale delle vittime viene calcolato oggi in oltre 20.000. In Giappone il dolore da lutto viene vissuto in modo molto riservato e assolutamente privato, e ricorrere all’aiuto di uno psichiatra o di uno psicoanalista non è pratica così diffusa come in Europa o negli Stati Uniti. Ecco perché, di fronte a questa immane tragedia, solo nel paese del Sol Levante poteva nascere qualcosa di speciale e di magico.
In cima ad una collina affacciata sull’Oceano Pacifico, fuori dalla città costiera di Otsuchi, nel bel mezzo di un giardino c’è una cabina telefonica dove si entra per cercare un contatto con l’aldilà. Ha le pareti di vetro per poter ammirare il paesaggio intorno, con all’interno un telefono nero collegato al nulla e un quaderno.
È l’ormai famoso “telefono del vento” (Kaze no Denwa in giapponese) impugnato già da migliaia di persone in lutto per “chiamare” i loro cari che lo tsunami in un attimo ha strappato via da loro. La cabina, bianca perché questo è il colore del lutto in Giappone, era stata costruita un anno prima del terremoto da Itaru Sasaki nel suo giardino chiamato Bell Gardia, dopo aver perso per un cancro suo cugino: gli sarebbe servita per mantenere un dialogo con lui. (iodonna.it)
Dopo che il sisma, e subito dopo il maremoto, colpirono la città, uccidendo il 10% dei suoi abitanti, decise che quanti ne sentivano il bisogno avrebbero potuto servirsi del “telefono del vento”. Quel giardino rapidamente è diventato un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, dove ci si reca per alleviare quel terribile dolore che il lutto improvviso causa, con la sensazione di aver lasciato un discorso in sospeso con chi non c’è più.
Il rimpianto ricorrente che attraversa la mente e il cuore dei familari è:
Quando entrano nella cabina compongono il numero del loro caro: si può parlare o solo rimanere in ascolto, del rumore del vento, dei pensieri o dei fluire dei ricordi. Chi parla, i più, parla di sé, con sé o con chi non è più fisicamente presente, spesso un insieme di tutte e tre queste cose, nella speranza che la persona per cui sono lì possa ascoltarli.
Il quaderno è per chi vuole anche scrivere un pensiero, ma ciò che percepiscono tutti quando sono nella cabina è di essere in un contesto “magico” che fa risuonare armonicamente tutti i sensi:
La tv pubblica giapponese ha realizzato un documentario: “Il telefono del vento – sussurri alle famiglie perdute” per raccontare la storia della cabina telefonica bianca, che ha ispirato anche un libro dal titolo: “Il telefono del vento – Quello che ho visto al telefono nei sei anni dal terremoto”, e il film “The phone of the Wind” del regista Nobuiro Suwa uscito in sala nel 2020.
Il senso profondo del Kaze no Denwa è tutto nelle parole di Itaru Sasaki:
Il processo di elaborazione di un lutto traumatico è molto lungo, e possono risultare preziose anche risorse impensabili per superarlo: come un telefono “magico” dentro una cabina bianca che si affaccia sulle onde dell’Oceano Pacifico, quello stesso mare che 10 anni fa in un attimo ha inghiottito migliaia di vite.
Il "telefono del vento" mi ha fatto tornare in mente alcuni versi del brano Cosa sono le nuvole di Domenico Modugno, pieni di una struggente nostalgia: