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Amputato dalla vita in giù a 19 anni: “Ringrazio di poter vivere ogni giorno”

LOREN SCHAUERS
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Annalisa Teggi - pubblicato il 11/03/21
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A causa di un terribile incidente sul lavoro un carro elevatore è caduto addosso a Loren Schauers, rimasto vivo per miracolo. Oggi racconta sui social la sua quotidianità per ispirare gli altri a uno sguardo positivo su "ciò che c'è".

Neanche lo sceneggiatore di un film avrebbe osato tanto pur di rendere scioccante una storia di fantasia. L'incidente che ha segnato la vita di Loren Schauers nel settembre del 2019 fu improvviso e terribile. Stiamo parlando di un giovane ragazzo del Montana che all'eta di 19 anni lavorava come operaio stradale.

La dinamica dei fatti è impressionante. La mattina della tragica fatalità Loren era a bordo di un carrello elevantore, stava lavorando su un ponte in ristrutturazione. La carreggiata era ristretta a causa dei lavori, ma questo non ha impedito a un'auto di avvicinarsi a velocità sostenuta e così Loren ha pensato di avvicinare il suo mezzo al bordo del ponte per evitare la collisione col veicolo. Ma il mantello stradale - che era oggetto di manutenzione - ha ceduto:

Non è morto dopo un volo di 15 metri, non è morto dopo che il mezzo pesante gli ha schiacciato gran parte del corpo. La sua fidanzata Sabia ha raccontato che, a posteriori, si sono accorti di un dettaglio che è stato decisivo per la sopravvivenza di Loren:

Si fa fatica a distinguere qualcosa di "morbido" in questa storia. Non stento a immaginare che qualcuno possa dire che, forse, era meglio che la caduta si fosse rivelata mortale. Tanti giornali americani parlarono di "miracolo" all'indomani del fatto. Ma la benedizione della sopravvivenza, come sostantivo astratto, è lontana mille miglia da cosa significhi davvero sopravvivere dopo un colpo così duro del destino.

Loren fu dato per spacciato dalla prima equipe medica che lo visitò e fu deciso di trasferirlo in un hospice per accompagnare nel modo più adeguato i momenti finali della sua vita. Trasportato in elicottero a Seattle, un nuovo team di dottori propose un tentativo disperato per salvarlo: praticare una emicorporectomia, vale a dire un'amputazione dalla vita in giù. A cui si aggiunse anche l'amputazione dell'avambraccio destro.

Loren ricorda il momento di quella scelta con queste parole.

Non è stata una decisione difficile - afferma Loren. In che senso? Per noi - in condizione di relativa normalità, o tollerabile sofferenza - parlare di prendere una decisione implica sempre una serie di valutazioni, confronti, anche ritrattazioni. Ci prendiamo il tempo di decidere, perché l'istinto può essere un cattivo consigliere.

Loren non ha deciso in fretta e senza esitare solo perché non aveva più tempo, ma perché si è trovato a tu per tu con quell'urgenza che ci rende perfettamente cristalliano il dato della vita come dono incommensurabile rispetto alla morte (... e dovendo descrivere quel momento supremo io ne sto ora svilendo la portata). Sono certa che c'è chi sarebbe pronto a dire che Loren ha deciso d'istinto e quell'istinto lo ha anche condannato a una vita misera. Ma quest'ultima valutazione dipende, ancora una volta, da pensieri che un uomo comodamente formula mentre è sul divano.

C'è stato invece un momento di assoluta lucidità in cui Loren ha sentito nella parola amputazione tutto l'eco della vita che voleva ancora vivere. E fa pensare a certi bambini che un genitore - dopo ore e ore di paziente attesa - porta via da una giostra, ma loro pur di rimanerci un istante di più ci restano attaccati con una mano o aspettano fino all'ultimo nel togliere il piede. Se anche solo la metà di me può godere della giostra della vita, sia.

Detto ciò, l'adesione radicale alla vita nel momento supremo in cui non ci sono sfumature intermedie tra luce e nulla è una cosa. Fare i conti con una vita gravemente menomata è un'altra. E posso solo vagamente immaginare che per il resto dei suoi giorni Loren farà i conti anche con la tentazione di chiedersi: "Perché non mi sono lasciato andare alla morte?".

E dunque Loren ha smentito i pronostici cupi per ben tre volte. Dopo la caduta mortale, dopo lo schiacciamento, è sopravvissuto anche a un intervento chirurgico estremo.

Il periodo della sua riabilitazione si è sovrapposto all'esplodere della pandemia, e trovarsi in un ospedale per un corpo così fragile poteva essere pericoloso. Era stato previsto un anno e mezzo di terapia ospedaliera per lui, ma dopo tre mesi e mezzo Loren è potuto tornare a casa. La sua fidanzata Sabia gli è sempre stata accanto e la sua presenza è parte rilevante della forza dimostrata dal ragazzo in tutta questa terribile vicenda.

Non nascondiamoci dietro una facile retorica sulla beneamata resilienza. Che razza di vita può mai essere quella di chi è privato di metà del proprio corpo ed è di fatto dipendente dagli altri per tutto, ed è collegato a tubi per espletare le sue funzioni fisiologiche?

A un anno e mezzo dall'incidente Loren affronta la sfida di ogni giornata senza mentire sul fatto che è dura. Ha deciso di raccontarlo sui social, mostrando le conquiste e le fatiche della sua condizione. Grazie ad arti artificiali e altri supporti creati apposta per la sua condizione potrà recuperare la capacità di compiere certi gesti, in un video si mostra soddisfatto mentre riesce a spalare la neve in giardino, a bordo di una speciale sedia a rotelle.

Ma è una vita fatta anche di attacchi di panico, spasmi muscolari incontrollati, frequenti infezioni e ricoveri. Quella scelta tra la vita e la morte che giudicò "non difficile" nel momento cruciale, è stata molto ostica da sostenere dalla riabilitazione in poi.

La decisione di mostrare al pubblico, grazie ai canali social, il lato luminoso e oscuro dei suoi giorni può essere un mezzo per non mollare la presa, per non lasciarsi andare alle grinfie della disperazione. L'incidente drammatico è capitato mentre si trovava a riparare un ponte. E ora Loren quel ponte vuole finire di costruirlo: parlare a un pubblico, mostrare il lato positivo della sua condizione gravemente disabile è un modo per non non privarsi di supporti vitali indispensabili, le relazioni.

"Ci sono" è una certezza che non si sostiene da sola. Ha bisogno di essere guardata nel riflesso di altri occhi, per non ridursi a essere solo un disperato urlo solitario.

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