Ci sono delle volte in cui i figli ci sorprendono. Anzi, di più. Ci ammaestrano.
Perché noi, gli adulti, possiamo essere grandi lavoratori, bravi genitori, perfetti organizzatori, risparmiatori. Possiamo non fargli mancare nulla, vacanze, una casa impeccabile; ma se non siamo capaci di carità, di chiedere perdono, tutto crolla. Tutto è inutile, tutto perde di senso.
Perché capita anche a noi, i "grandi", i genitori, di dover chiedere scusa.
Per un urlo di troppo, per una frase umiliante, per uno scatto d'ira, per il nervosismo che prende il posto di un giusto rimprovero.
E capita che, invece proprio noi, restiamo immobili, fregati dal nostro orgoglio.
Allora facciamo l'unica cosa che siamo in grado di fare in quel momento (la peggiore): i vaghi.
Come se niente fosse accaduto.
Entriamo nella loro stanza e gli chiediamo qualcosa, per cercare di mettere una toppa, come se le urla e le lacrime del giorno prima non fossero mai state.
E il figlio, che tu consideravi un testardo, un ribelle, anche un tantino sfrontato, alza le braccia al Cielo. E le tiene lì. Alte. Che sembra dirti "vieni".
E tu disarmato, resti ancora immobile, a goderti quell'immagine.
Sacra.
E lui fa ancora un passo, e quelle braccia te le butta attorno al collo e ti affonda dentro un abbraccio, senza dire una parola. Muto. Si riconcilia. Immergendosi in te. Come se nulla fosse accaduto. Come se non avesse, lui, nulla da perdonarti.
Come Cristo fa con noi.
Con i nostri peccati.
Dimenticati.
E tu ti senti piccolo, piccolo, infinitamente piccolo e piangi.
E prendi e porti a casa. Perché anche oggi hai capito che è solo sentendoti così, incapace di amare, che impari altra Vita. Anche se a consegnartela è uno di quei figli dal quale, forse, non ti aspettavi più niente.