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Anna Bonetti: che diritto è abortire un bambino perché sordo come me?

ANNA BONETTI,
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Silvia Lucchetti - pubblicato il 10/03/21
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La nostra intervista alla giovane attivista pro-life che si scaglia contro un clima culturale che millanta per diritto della donna quello di sopprimere la vita nel grembo materno anche "grazie" alla diagnosi prenatale.

Ho conosciuto Anna Bonetti tramite i social, ma l'ho apprezzata moltissimo grazie a un video di qualche mese fa nel quale afferma con forza e caparbietà i motivi per cui oggi è un'orgogliosa pro-life, nonostante provenga da una famiglia pro-choice e non credente. Dopo aver visto quel filmato ho deciso di scriverle per farmi raccontare il senso della sua battaglia contro l'aborto e in difesa dei bambini e delle donne.

Anna è biondissima, sorridente, appassionata, coraggiosa. Non si può di certo accusarla di essere fuori dal mondo, triste o bigotta, come spesso amano fare i detrattori. È una ragazza giovane che ha scoperto sulla sua pelle ciò di cui oggi si è resa testimone.

In quest'intervista ce lo racconta parlando della sua sordità e dei valori per cui si è messa in gioco, per questo la ringrazio di cuore. Prima di lasciarvi alla sua testimonianza una sorpresa piccola ma preziosa: un contributo esclusivo di Anna Bonetti per Aleteia nel quale incoraggia le donne in attesa che stanno eseguendo esami per la diagnosi prenatale ad accettare i loro bambini così come sono, perché...

Ciao a tutti. Mi chiamo Anna Bonetti, ho 23 anni, sono sorda profonda dalla nascita e porto l’impianto cocleare dall’età di 5 anni. Ho ricevuto un’educazione prevalentemente di stampo oralista. Infatti, ogni giorno dopo la scuola mi recavo a logopedia per imparare a parlare. In seguito all’età di 20 anni ho incontrato altre persone sorde e da allora è nata in me una forte passione per la lingua dei segni, poiché per le persone non udenti è una lingua naturale a tutti gli effetti, attraverso la quale io riesco a manifestare ciò che sono veramente.

Questa grande passione oggi mi ha portata a lavorare come assistente per bambini sordi alla scuola Audiofonetica di Brescia, dove ci sono 60 bambini sordi dall’asilo fino alla terza media. Nonostante in passato avessi sempre affermato che non avrei mai voluto lavorare a scuola - poiché non ne ho un buon ricordo in quanto nella mia esperienza non è stato un ambiente inclusivo - questo lavoro adesso mi sta piacendo moltissimo.

Infatti, in ogni piccolo che seguo proietto la bambina che sono stata io un tempo, però alla loro età non avevo accanto altre persone “come me” che mi aiutassero ad accettare la mia sordità. Credo che per tutte le persone “speciali” sia fondamentale lo sviluppo nel gruppo dei pari al fine di accettare se stessi. Inoltre, mi interesso molto anche al mondo dei social e al giornalismo. Sono appassionata di scrittura e amo disegnare. Penso che non mi basterebbe una vita per avere il tempo necessario da dedicare a tutte le cose che mi piace fare. 

Nel 2018 sono entrata nel mondo pro-life, e da un anno a questa parte ho iniziato a trattare questo tema sui social media, soprattutto su Instagram grazie al prezioso supporto degli Universitari per la Vita di Genova, la mia città natale. I valori che mi stanno più a cuore sono l’inclusione sociale per le persone sorde come me e la difesa della vita umana innocente. Quest’ultima ha rappresentato una vera e propria svolta nella mia esistenza, nonostante sia cresciuta in una famiglia non cattolica e ben lontana dalla consapevolezza di ciò che realmente è l’orrore dell’aborto. 

La sordità è stata una grande sfida per me. I miei genitori scoprirono che ero sorda quando avevo circa 16 mesi. La scoperta della mia sordità fu devastante per la mia famiglia, che dovette anche fare i conti con la solitudine con cui spesso vengono lasciati la maggior parte dei genitori udenti di bambini sordi o con altre disabilità in generale. Spesso le persone che avevo intorno hanno visto la mia “diversità” come una condanna all’infelicità. Per questo sono cresciuta con l’idea di essere un errore, ma poi quando ho conosciuto altre persone sorde, e ho iniziato a studiare la lingua dei segni, mi sono sentita davvero libera per la prima volta e mi sono resa conto che il problema in realtà non ero io, ma il modo in cui la società mi vedeva. 

È iniziato tutto quando mi sono avvicinata alla comunità dei sordi, circa tre anni fa. Infatti poco tempo dopo ho abbracciato la causa pro-life. La spinta che mi ha portata a fare questa scelta è avvenuta proprio quando ho scoperto che molti portatori di connessina 26, il gene che, come nel mio caso, causa la sordità, si sottopongono all’amniocentesi nel primo trimestre di gravidanza. Di conseguenza, nonostante gli strumenti che nella nostra epoca sono a disposizione per affrontare al meglio la sordità, (come gli impianti cocleari e la lingua dei segni) buona parte di quelli “come me” vengono eliminati dopo la diagnosi prenatale.

Per approfondire questa mia ultima affermazione basterà guardare il filmato dove presento le ricerche che ho potuto approfondire in questo campo. Inoltre sono venuta a conoscenza della scioccante realtà di una coppia che per evitare un secondo figlio sordo è ricorsa all’inseminazione artificiale, nonostante tutti i problemi che il bombardamento ormonale che questa pratica comporta può causare per la salute della madre e quella del nascituro, oltre che essere secondo me profondamente immorale.

È davvero paradossale come in una società che si dichiara sempre più mentalmente aperta alle nuove diversità di genere, la priorità sia quella di dare alla luce un “prodotto perfetto”, distruggendo così i principi non negoziabili alla radice della vita umana. Quando ho raggiunto questa consapevolezza ho capito che non potevo più accettare tale ipocrisia, non riuscivo più a tollerare che in una società che ogni giorno si fa paladina della diversità e dell’inclusione, in realtà quello che è diverso viene sterminato prima della nascita.

Basti pensare al ddl Zan contro l’omotransfobia che propone di estendere i propri effetti anche contro la discriminazione delle persone con disabilità, quando in realtà questa tutela già esiste. Eppure, perché in una società in cui i nostri diritti appaiono ipertutelati, è un “diritto della donna” ucciderci o discriminarci nel ventre materno proprio a causa della nostra disabilità? Ritengo che questo disegno di legge sia perfettamente inutile. Quello di cui abbiamo bisogno è di essere tutelati dentro e fuori il grembo. Ognuno di noi è speciale e unico nel sua individualità, ed ha con sé tutte le risorse per contribuire alla ricchezza della nostra società.

Ed è stato proprio quando ho raggiunto tale consapevolezza che ho capito che non potevo più fingere, ma che era arrivato il momento di schierarmi dalla parte della verità. Inoltre in questi ultimi anni ho sempre sostenuto la battaglia che la comunità dei sordi porta avanti da decenni ormai, ovvero il riconoscimento della lingua dei segni che permetterebbe loro di avere una piena accessibilità alla vita pubblica. Allo stesso modo ho compreso che era fondamentale anche lottare per il riconoscimento dei non nati come esseri umani. Non a caso ogni giorno migliaia di campagne contro il bullismo e la discriminazione si battono per l’inclusione delle persone “speciali” come me.

Allora perché è permesso ammazzarci nel grembo materno per mezzo della diagnosi prenatale? Credo che non possiamo parlare di “diritti umani” o di tutelare le fasce più deboli se non siamo in grado di assicurare il più fondamentale dei diritti umani: il diritto alla vita, ovvero il fondamento su cui si basano tutti gli altri diritti. Non a caso George Orwell diceva che nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Se abbiamo il diritto di essere inclusi nella società, nessuno può negarcelo prima della nascita. 

Innanzitutto è cambiato il mio modo di vedere le cose, ma è cambiato molto anche il modo in cui le persone hanno imparato a vedere me. Infatti ho avuto un pò di difficoltà nel mio secondo lavoro come babysitter e aiuto compiti. Mi è capitato qualche volta che un genitore non mi abbia più chiamato dopo essere venuto a conoscenza dei valori che difendo. Nonostante tutto, credo che questo percorso mi abbia resa più forte e determinata, mi ha aiutata a maturare il mio lato spirituale e soprattutto le relazioni umane. Per esempio nel gruppo degli Universitari per la Vita ho instaurato legami di profonda amicizia che sono divenuti un pilastro portante della mia attività, e se in qualche modo sono riuscita a diffondere la cultura della vita per mezzo dei social, lo devo soprattutto a loro.

Lo ammetto, non è stata una scelta facile, poiché mi ha richiesto molto coraggio e sacrificio, anche perché essendo cresciuta in una famiglia pro-choice fino a qualche anno fa ero sempre stata lontana dai valori pro-life. Certamente sarebbe stato molto più semplice limitarmi a fare selfie dalla mattina alla sera, eppure la soddisfazione che ricavo quando le persone mi ringraziano per averle aiutate a riflettere sull’orrore dell’aborto è impagabile. D’altronde non sono nata per piacere a chiunque, ma per stare dalla parte della verità. 

Avendo ricevuto un’educazione molto laica, le motivazioni che mi hanno portata ad abbracciare la realtà pro-life sono state dettate prevalentemente dalla mia esperienza personale. Infatti ho avuto modo di vedere le ferite che l'impronta dell’aborto ha lasciato nelle persone a me care. Inoltre durante il mio attivismo pro-life mi hanno scritto sui social persone da tutto il mondo, delle più svariate religioni o addirittura atee, confessandomi di condividere le mie idee in favore della vita.

Per esempio “non uccidere” è uno dei dieci comandamenti che anche un ateo è tenuto a seguire per tutelare la propria libertà e quella degli altri. Perché dovrebbe essere giusto approfittarsi della debolezza dei non nati? Se la mia libertà finisce dove inizia quella di un altro, allora perché la libertà della madre non finisce dove inizia la vita del figlio? In che modo l’uccisione di quelli “come me” nel grembo materno sarebbe un problema esclusivamente di fede? L’aborto è il fallimento della società, i suoi sostenitori sono il fallimento dell’umanità. Per me essere pro-life è naturale. Essere sorda ed essere a favore dell’aborto sarebbe come essere ebrea ed essere a favore del nazismo. 

Da quando mi sono affacciata alla realtà pro-life sono sempre stata affascinata da Lila Rose che fondò Live Action a soli 15 anni, e nel giro di poco più di un decennio ha dato vita a un vero e proprio impero per i diritti umani con un seguito online di oltre 4 milioni di followers dedicato alla fine dell’aborto e alla costruzione di una cultura della vita.

Inoltre la stessa Lila finanziò degli investigatori privati, i quali scoperchiarono gli scandali di Planned Parenthood che commerciava illegalmente gli organi dei bambini abortiti, scuotendo così l’America sulla cruda realtà che si cela dietro questo orribile massacro. Così Lila è diventata un grande esempio per me, e penso che anche l’Italia abbia bisogno di donne forti e tenaci come lei.

La mia esperienza vera e propria come ambasciatrice Live Action è iniziata quando dopo aver visto alcuni miei post pro-life, la pagina ufficiale dell'organizzazione ha iniziato a seguirmi su Instagram, e via mail mi hanno inviato il modulo per candidarmi come ambasciatrice e infine hanno accettato la mia proposta. In seguito mi hanno inserito nel Forum dei loro ambasciatori. Siamo circa un migliaio di attivisti pro-life da tutto il mondo e ci scambiamo informazioni riguardanti le notizie sull’aborto a livello planetario.

Spesso io posto quello che accade nel nostro paese, come il caso Speranza per esempio, ed è grazie a questo forum che sono riuscita a raccogliere i dati sulla diagnosi prenatale che viene effettuata per abortire i bambini sordi. Poi ogni tanto mi inviano qualche gadget pro-life, e io li utilizzo per creare post su Istagram al fine di diffondere la cultura della vita anche nel nostro paese. Mi avevano anche contattata per un’offerta di lavoro nella loro squadra, ma per farlo è obbligatorio vivere negli Stati Uniti. Per ora preferisco dedicarmi al mio lavoro in Italia. Però un domani, possibilmente quando la situazione Covid sarà migliorata, mi piacerebbe molto volare negli USA per approfondire le mie conoscenze sulla sordità alla Gallaudet University, l’unica università per le persone sorde al mondo che si trova a Washington, e nel frattempo anche fare esperienza nella cultura pro-life americana e magari lavorare per Live Action per poi crearne una “succursale” anche qui in Italia.

Il mio obiettivo è quello di sensibilizzare Live Action sull’accessibilità per le persone sorde aggiungendo almeno i sottotitoli ai loro video. Infatti questo aspetto è molto importante siccome nella comunità sorda vi è una scarsità di informazioni sul mondo pro-life. Inoltre le grandi associazioni abortiste americane come Naral (associazione pro-choice americana) e Planned Parenthood offrono molta accessibilità alle persone sorde su aborto e contraccezione.

Per questo nel mio piccolo cerco sempre di offrire accessibilità totale ai sordi anche grazie al prezioso aiuto della squadra degli Universitari per la Vita. Ho creato un forum di sordi pro-life dove ogni giorno si aggiungono persone sorde da tutto il mondo con l’obiettivo di condividere notizie accessibili. Inoltre quando lavoro in squadra con gli Universitari per la Vita di Genova, aggiungiamo sempre sottotitoli sia in italiano che in inglese ai nostri video e, quando possibile, anche l’interprete LIS in modo da far arrivare la cultura della vita il più lontano possibile.

Penso che nel nostro paese manchi la consapevolezza su ciò che realmente è l’aborto. Per mia fortuna lavoro come assistente per i bambini sordi in una scuola cattolica dove gli insegnanti sono ancora liberi di dire che la vita inizia al momento del concepimento, e mi rendo conto che per cambiare la mentalità bisogna partire proprio dalla scuola e insegnare ai bambini la verità. Eppure ricordo che quando frequentavo le medie le professoresse avevano iniziato a bombardarci su contraccezione e aborto allora definito con il termine “IVG”, probabilmente per sdrammatizzarlo, spacciandolo come un “sacrosanto diritto della donna”.

Finché non ho approfondito autonomamente gli orrori di ciò che realmente è l’aborto non ne ho mai avuto la piena consapevolezza. Durante il mio attivismo pro-life ho compreso che il modo migliore per sensibilizzare i giovani è di diffondere le testimonianze di coloro che sono sopravvissuti all’aborto, perché sanno toccare il cuore diversamente dalle considerazioni logiche. Vi consiglio vivamente di guardare la nostra intervista a Rebecca Kiessling, una donna meravigliosa concepita da uno stupro e sopravvissuta grazie alla fortuna di essere nata in un luogo e in un tempo in cui questo omicidio non era stato ancora legalizzato. Oggi Rebecca è una delle più importanti militanti pro-life in America. Credo che se fosse possibile raccontare nelle scuole queste storie profonde e ricche di umanità invece che spacciare per “diritto” l’omicidio dei nostri figli non ancora nati, certamente un domani ci attenderebbe un mondo migliore. 

La mia esperienza con gli Universitari per la Vita iniziò nel 2018 mentre frequentavo l’università LUMSA a Roma. Il gruppo era appena nato. In primo luogo conobbi Chiara Chiessi, la fondatrice ed ex presidente. Restai affascinata dalla sua tenacia e dalla passione con cui ogni giorno lottava e lotta tuttora per difendere tutti i bambini innocenti che ogni giorno vengono barbaramente smembrati dal ventre delle loro madri. In seguito ho partecipato a qualche aperitivo al parco organizzato dagli UPV di Roma e da allora mi sono sentita come a casa. Finalmente avevo scoperto di non essere l’unica pro-life al mondo.

In quasi tre anni ho avuto modo di vedere crescere esponenzialmente questa realtà. È stato davvero rincuorante per me assistere nell’arco di breve tempo allo spettacolo di sempre più giovani in età universitaria che si sono uniti a noi per stare dalla parte della verità e difendere i non nati. In seguito, quando tornai a Genova nella mia città natale, partecipai alla fondazione del gruppo degli Universitari per la vita di Genova. Sono diventati per me come una famiglia, nonostante la pandemia ci impedisca di incontrarci fisicamente, non ha di certo fermato la nostra vocazione. Abbiamo continuato a fare lezioni di formazione online e a operare sulla nostra pagina social (@uniperlavita_ge). Dopo essere partiti in 4 nell’arco di meno di un anno siamo arrivati ad essere oltre una ventina. In seguito mi sono trasferita a Brescia per il mio attuale lavoro. Anche qui sto fondando un gruppo UPV e spero di continuare a diffondere la cultura della vita il più lontano possibile. 

Per me essere felice significa stare dalla parte della verità, diffondere con gioia la cultura della vita. Essere circondata da persone positive che mi permettano di sentirmi libera di essere quella che sono, e non ciò che un clima di ideologie anti-umane mi dice che devo essere. Credo che la felicità stia anche nel mio lavoro che amo, e aiutare gli altri bambini sordi come me a diventare persone più forti un domani e ad accettare se stessi. Felicità è anche viaggiare ed essere sempre più curiosi di conoscere cose nuove, ma per me lo è anche il sogno di costruire una famiglia che sappia accogliere la vita e amarla in ogni sua forma.

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