Un gruppo di giovani guidati da due preti hanno sfidato ogni avversità per portare aiuti ai profughi che bivaccano nelle inospitali foreste di Bihac, in Bosnia Erzegovina, nei pressi del confine con la Croazia.
Sono partiti da Treviso e Vicenza tra il 12 e il 15 febbraio scorso è alla fine, dopo un viaggio di 500 chilometri pieno di ostacoli, gli aiuti sono giunti a destinazione. Insieme ai due sacerdoti, don Edy Savietto, parroco di Olmi e Cavriè in provincia di Treviso e don Emanuele Cuccarollo, parroco a Tavernelle, in provincia di Vicenza, c’era l’associazione vicentina “Energia e sorrisi”.
Il corteo partito dal Veneto era formato da un autoarticolato, due roulotte e due pulmini carichi di alimenti, sacchi a pelo, coperte, abbigliamento invernale, scarpe, prodotti per l’igiene personale, pannolini, e pappe per bambini.
Prima tappa del lungo e difficoltoso viaggio di preti e volontari alla volta dei profughi dei Balcani, le città croate di Glina e Petrinja. Di recente, come molti ricordano, sono state colpite dal terremoto.
Il viaggio è poi continuato verso le montagne della Bosnia-Herzegovina alla volta di Bihac, 25 mila abitanti, avamposto della politica dei respingimenti, scrive Famiglia Cristiana (25 febbraio 2020) dove persino le missioni umanitarie si vedono costrette a dover fare marcia indietro.
«Siamo stati scortati dalla polizia croata fino al confine bosniaco – racconta don Edy Savietto - Anche se tutto era a posto per problemi burocratici il nostro camion è stato fermato al posto di blocco. Per riuscire a portare a destinazione gli aiuti abbiamo dovuto far arrivare un altro autoarticolato dalla Bosnia. Scaricare per ore ed ore tutto il materiale e sistemarlo nel camion giunto apposta fino a lì».
«Una volta sigillato - prosegue il parroco - controllato il mezzo e affidato nelle mani delle associazioni di volontari del posto è potuto ripartire. Arrivato a Sarajevo è stato disigillato e controllato e volontari del posto hanno provveduto a distribuire gli aiuti ai profughi».
Il viaggio dei preti e dei volontari verso l’inferno dei campi profughi di Bihac è giunto a conclusione dopo questo assurdo viaggio di 500 chilometri.
«Vicino al confine bosniaco ci hanno portato in un bosco dove ho visto scene che nemmeno nei gironi dell’inferno di Dante troverebbero posto – continua don Edy - Tanti, troppi ragazzi ammassati. Diverse le loro provenienze: Pakistan, Bangladesh, Iran, Irak. Impossibile dire quanti sono. Perché la situazione è fuori controllo».
Il prete descrive ancora meglio questo scenario apocalittico: i profughi «stanno dentro a tuguri fatti di teli tenuti insieme da corde improbabili. Ripari di fortuna, dove la temperatura si aggira attorno ai meno dieci gradi. Con tutte le finestre e le porte sfondate».
Per riscaldare accendono fuochi di fortuna. «Loro dicevano a noi “Good luck”, buona fortuna eppure non hanno nulla. La maggior parte porta solo i segni delle botte prese dalla polizia per il solo fatto di aver cercato una via d’uscita dall’inferno in cui sono caduti».
Tanti di loro nella fuga si ritrovano d’improvviso di passaggio in proprietà private: «Ognuno di noi ha un giardino. Immaginate di trovarci una mattina dieci, venti ragazzi lì senza nulla, fuori al freddo. Cosa fate?», si chiede don Edy.
Di ritorno in Italia nel giorno della solennità del mercoledì delle Ceneri la scelta forte di don Edy di mischiare alle Sacre ceneri la cenere raccolta dai fuochi dei profughi nei boschi nei dintorni di Bihac: «In quelle ceneri ci sono le vite sepolte e abbandonate di quei ragazzi che aspettano il pieno diritto alla vita».