“Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa”. Papa Francesco ha iniziato il secondo giorno del viaggio in Iraq dall'antica città di Ur dei Caldei, nel sud dell'Iraq. La patria di Abramo è stata la sede dell’Incontro Interreligioso durante il quale il Papa ha utilizzato parole durissime contro il terrorismo e la violenza e ha teso la mano alle religioni di tutto il mondo.
«Il terrorismo - ha proseguito il Papa - quando ha invaso il nord di questo caro Paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese».
Il pontefice ha invitato le fedi presenti alla fratellanza, invocando la pace per queste terre troppo spesso martoriate dal sangue. «La pace - ha detto - non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria».
Al termine dell’omelia del Papa, c’è stata la recita della “Preghiera dei figli di Abramo”, che unisce le fedi religiosi presenti all’incontro di Ur. La preghiera comincia così:
La visita del Papa in Iraq come è vista dalle altre fedi religiose? Lo ha spiegato la signora Rafah Husein Baher, di religione Sabean Mandaean (Mandeismo), intervenuta all’incontro di Ur:
Dopo Ur, un'altra storica tappa di questo secondo giorno del Papa in Iraq. Il Santo Padre ha incontrato alla moschea di Najaf il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani. L’incontro, durato circa 45 minuti, dice il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni «è stata l’occasione per il Papa di ringraziare il Grande Ayatollah Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno».
Nel congedarsi dal Grande Ayatollah, il Santo Padre ha ribadito la sua preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità per l’amata terra irachena, per il Medio Oriente e per il mondo intero.
Nella Cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad, Papa Francesco ha compiuto un altro fatto senza precedenti: ha presieduto una santa messa di rito caldeo. Nel corso della quale ha tenuto un’omelia, che dà coraggio alla "resilienza" dei cristiani perseguitati, rimasti in terra irachena nonostante le umiliazioni subite dagli estremisti islamici.
Di fronte alle difficoltà non si scappa, né ci si arrabbia, ha ricordato il Papa. «È quello che accadde ai discepoli nel Getsemani: davanti allo sconcerto, molti si diedero alla fuga e Pietro prese la spada. Ma né la fuga né la spada risolsero qualcosa. Gesù, invece, cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse».
«Le promesse di Dio - ha continuato Bergoglio - assicurano una gioia senza eguali e non deludono. Ma come si compiono? Attraverso le nostre debolezze. Dio fa beati coloro che percorrono fino in fondo la via della loro povertà interiore. La strada è questa, non ce n’è un’altra. Guardiamo al patriarca Abramo. Dio gli promette una grande discendenza, ma lui e Sara sono anziani e senza figli. Proprio nella loro anzianità paziente e fiduciosa Dio opera meraviglie e dona loro un figlio».
Parole di ringraziamento sono infine giunte da Sua Beatitudine Cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, presente alla messa.
«La nostra presenza come cristiani in Iraq e in Oriente - ha concluso Sako - non è un caso o per emigrare, ma è secondo un piano divino. Noi abbiamo una vocazione e una missione alla quale non possiamo rinunciare nonostante le difficoltà».