Intervista “on the road” (si fa per dire): ci siamo sentite al telefono mentre era in auto diretta a Bolzano, proprio per il suo lavoro di inviata della trasmissione Pomeriggio 5. Laura è moglie, mamma di due bambini, donna dalla fede schietta e limpida. La sua posizione esistenziale dominante è senza dubbio la gratitudine.Laura ed io ci siamo viste di persona una sola volta ma è stato un vero incontro. Al punto che, io almeno, ho iniziato a considerarla amica per quel legame che tra fratelli nella fede spesso scavalca i convenevoli: sulle cose fondamentali siamo già insieme. Seguendola sui social e vedendo il suo modo di parlare di maternità, vita familiare, lavoro, ho pensato che sarebbe stato bello darle voce, su Aleteia, proprio su questo tema: la vita di una donna normale, bella, realizzata, alla luce della fede in Cristo. E allora eccoci qua:
Buongiorno cara Laura e grazie per avere accettato di raccontarti ad Aleteia For Her. Innanzitutto puoi descriverti per i nostri lettori? Chi sei e di cosa ti occupi?
Sono Laura Magli ho 39 anni, sono nata a Brescia, vivo sul Lago di Garda e sono giornalista professionista dal 2012. Ho cominciato facendo questo mestiere partendo nelle tv locali, nel 2005 a Retebrescia (RTB Network) . Eravamo un gruppetto di ragazzi alle prime armi e tra noi c’era anche Nadia Toffa.
Facevamo una trasmissione sportiva che si chiamava Calcio Sprint. Ognuna di noi aveva un monitor, in stile Quelli che il calcio, e seguiva la diretta di una squadra; nel momento in cui succedeva qualcosa su uno dei campi da gioco quella interessata diceva ad esempio “al minuto 33 calcio d’angolo per…” e tutta l’attenzione arrivava su di lei. La trasmissione aveva messo a disposizione un numero di cellulare per inviare SMS.
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Esatto e già allora arrivavano tanti messaggi; alcuni per me, alcuni per le altre ragazze ma il numero più alto di sms era proprio per Nadia. Aveva un tale sorriso ed emanava una tale luce che non poteva passare inosservata. Ogni tanto, mentre si leggevano i messaggi, la regia lanciava un brano musicale e per Nadia era sempre Bella vera degli 883, perché lei era proprio così: bella vera. E’ stata un’esperienza divertente e umanamente molto significativa.
In seguito ho cominciato a condurre le trasmissioni che producevo (nessuno ti regala niente, nel mondo del lavoro); la conduzione mi affascinava più di altri ruoli credo per il fatto che la mia formazione viene dal teatro.
Le producevi?
Sì, trovavo gli sponsor, per finanziare le trasmissioni che avrei condotto. Mi occupavo di tutto, dall’ideazione, allo sviluppo del concept, alla scelta degli ospiti, alla conduzione appunto.
Dal concepimento alla nascita, fino a farle camminare spedite. Una soddisfazione non indifferente, immagino.
Sì, me le inventavo, le pensavo, le mettevo in piedi ed era davvero bellissimo. E’ il vantaggio delle tv locali, poter seguire quasi interamente il processo.
Me ne ricordo due in particolare: Il volto della parola, una striscia quotidiana dedicata ai libri e alla lettura e Essere Benessere Pharm, in diretta alle 23 ogni venerdì sera. Per quest’ultima invitavamo in studio ogni volta un esperto di un argomento specifico: dalla medicina olistica, allo yoga, alla dieta zona. Sul tema proposto e trattato con l’ospite il pubblico poteva porre domande chiamando in trasmissione. Piccolo dettaglio buffo: la sede della rete era in un centro commerciale che a quell’ora era chiuso e per questo dovevamo fare salire al piano degli studi l’ospite di turno con un montacarichi.
Mentre racconta, Laura, è un torrente di entusiasmo e passione. Vorrei trasferire questa intervista in un podcast. Vi assicuro che avrebbe anche un effetto terapeutico.
E la tappa successiva nel tuo percorso professionale quando arriva?
Nel 2008. Mi occupavo della raccolta pubblicitaria ma venivo pagata solo a provvigione allora ho deciso di fondare una società di comunicazione e ho cominciato a produrre in modo indipendente due trasmissioni. Una con l’assessorato all’istruzione della Provincia di Brescia, si intitolava Entrata di sicurezza (il tema era l’ingresso nel mondo del lavoro) e l’altra con l’Assessorato alle Politiche giovanili del Comune, che ho girato all’interno del locale Area Docks di Brescia, con lanci e inquadrature un po’ alla Target di Gaia De Laurentiis.
Dopo di che sono passata a Telecolor, una rete con un bacino più ampio, nella quale mi hanno proposto di condurre il programma “I paesi delle meraviglie”: reportage culturali sulle bellezze dei nostri territori. Fu un successo strepitoso. Il complimento più bello che ricevevo? “quando ne parli tu sembra che abitiamo in luoghi davvero speciali!”
E a Mediaset come sei arrivata?
Il grande salto è avvenuto tramite un carissimo amico conosciuto attraverso il lavoro a Telecolor (quando si è sposato gli ho fatto da testimone di nozze). Grazie a lui ho incontrato Claudio Brachino (all’epoca direttore di Videonews, la testata giornalistica che si occupa dei programmi di infotainment e approfondimento giornalistico di Mediaset, Ndr). Cogliere l’occasione per parlarci fu un’impresa: era sempre al telefono ma, in un breve momento in cui era libero, l’amico riuscì a presentarmi. Poche parole, due domande: ”Sei una giornalista?” “Sì” . “Sai montare un pezzo?” In quel momento non lo sapevo fare ma – ripromettendomi che in caso avrei imparato alla svelta – risposi “Sì!”. “Mandami il cv”.
E così ho fatto, sono passati mesi; cercavo di fissare un appuntamento con la segretaria e non so quante volte mi ha chiamato per dirmi che si dispiaceva di non potermi ricevere a causa di un impegno improvviso, però non ho mai desistito.
Mi propose di occuparmi di alcuni servizi per una rubrica che sarebbe dovuta partire all’interno di Mattino 5. “Per me va bene tutto”, gli dissi. “Non mollare il tuo lavoro però”. La cosa bella è che alla stipula del contratto il produttore generale mi disse: “Oltre che in Mattino 5 ti inserisco anche su Pomeriggio 5”. E’ stata la mia fortuna: la rubrica mattutina alla fine non partì. Il mio primo servizio a Pomeriggio 5 risale al 14 febbraio 2011. Da allora sono sempre stata lì: Domenica live, Mattino 5, Matrix, Quinta colonna e altro ma sono una fedelissima di Pomeriggio 5.
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La tua idea di “successo”: cosa significa per te? Come cerchi di spendere i tuoi talenti in una logica diversa da mors tua vita mea?
Per anni ho anche io avuto la convinzione che successo fosse uguale ad affermazione e riconoscimento. Ho iniziato sul serio a comprendere la professione secondo i valori cristiani grazie al cammino di fede intrapreso quando ho conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito.
Perché non lo abbiamo ancora detto: sei sposata da 7 anni anni con Luca e insieme avete due figli, Ginevra e Ludovico
Proprio così.
E come vi siete conosciuti? galeotta fu?
Una cena tra amici. Ci siamo piaciuti immediatamente. Io non ero pronta ad impegnarmi in una relazione nuova ma lui non ha desistito. Uscivo, come capita, da una storia che mi aveva lasciata ferita ma percepivo distintamente che non dovevo lasciarlo andare. Ho capito che era l’uomo che desideravo avere al mio fianco.
Un’intuizione che poi è diventata vocazione. In che modo era “per te”? Sappiamo quanto la compatibilità di coppia sia una pericolosa illusione.
Era l’uomo per me perché mi ha sempre amata per come sono, non ha mai avuto paura di me, e io attraverso il rapporto con lui sono cresciuta e mi sono migliorata. Anzi il nostro rapporto ha migliorato entrambi. Il senso dell’amore è anche questo, credo: “approfittare” dell’altro per migliorare noi stessi. Soffermarci sulle asperità non ha senso. E’ un punto di vista se vuoi bonariamente egoistico ma anche incredibilmente umile.
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L’unico modo giusto di trattare la persona è l’amore. Si fruisce del bene che l’altro è senza che diventi mai un mezzo perché la persona è un fine
Quest’estate ho avuto un’intuizione: voglio diventare la versione migliore di me, perché è giusto, anche per i miei figli.
E questa dimensione di bellezza riguarda tutto?
Sì, per esempio io amo vestirmi bene, le cose belle e prendermi cura di me anche nell’aspetto fisico: lo faccio per rendere grazie al Signore del corpo e della femminilità che mi ha donato. Questa attenzione, che nasce dalla gratitudine, non può essere liquidata come frivolezza e, se è autentica, si riflette anche nella relazione con gli altri. Se amo me stessa, se mi considero un dono, allora non vivo gli altri con invidia o senso di inferiorità. Ogni volta che posso mi piace motivare il prossimo, aiutarlo ad accorgersi del lato positivo di ogni situazione. L’amore si manifesta nei piccoli gesti, negli accorgimenti.
Sei una donna credente, dunque: come incide la fede nella tua vita di tutti i giorni?
Sì sono una donna credente e il bello della fede è che si tratta di un cammino che procede giorno dopo giorno, cado ma mi rialzo. A volte, ingannandoci, diamo ascolto a questa vocina che dice “non potrò mai essere santo”. Invece sì!
Vai dritta al cuore della nostra comune vocazione di battezzati: siamo chiamati a diventare santi
Anziché scoraggiarci, ritenendo l’impresa troppo ardua, chiediamoci piuttosto come possiamo diventarlo. Ricordo che per l’ingresso nella Chiesa di nostra figlia, il nostro parroco ci disse che col Battesimo siamo chiamati a essere sacerdoti, re e profeti. Il rinnovarsi di quella chiamata che veniva fatta in quel momento alla nostra bambina è diventato per me un obiettivo quotidiano: ogni gesto che compio nei confronti di qualcuno cerco di farlo con la coscienza del valore che l’altro ha; non bisogna seguire solo quello che sentiamo ma quello che è giusto e quello che è giusto non lo decidiamo noi.
Dici una cosa vera e assai poco di moda: veniamo da decenni di “fai ciò che vuoi, segui il tuo istinto, non dipendere da nessuno”; poi, osservava un amico pochi giorni fa, scarichiamo le App che ci dicono a che ora andare a letto, cosa mangiare, quanti passi fare al giorno
Nel mio essere mamma lo constato ogni giorno. Non vorrei rimproverare mio figlio e fare cose che gli dispiacciono ma le devo fare perché è giusto per lui. Proprio nell’esercizio normale della mia maternità intuisco la natura dell’amore di Dio per noi: è totale e senza riserve. Quando soffriamo non capiamo perché e quasi arriviamo a sospettare di Dio: temiamo che in fondo non ci ami, che voglia lasciarci nel dolore ma non è così. A volte osservo i miei figli quando si lamentano perché ad esempio non concedo loro il dolcetto prima di cena o per il fatto che devono riordinare la camera. E penso: chissà anch’io quante volte mi sono lamentata in modo inconsapevolmente egoistico agli occhi del Signore, senza capire che dovevo semplicemente accettare e affrontare gli ostacoli inevitabili che la vita ci pone.
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Dici che ci dimentichiamo di avere un Padre e che è buono?
Non appena ci sono delle contrarietà rischiamo di perdere fiducia in Dio. Scopro invece che nelle sofferenze, anche quelle piccole, è racchiuso il segreto della purificazione.
E la morte, che è lo sbocco inevitabile della nostra vita?
Ho un rapporto con la morte al momento bello. Innanzitutto so che è inesorabile, ci attende tutti. Quando ci rifletto mi dico: chissà quale viaggio sarà la mia morte. Adesso oso: ci penso addirittura con emozione; sarà un viaggio verso il Padre, verso quello da cui proveniamo, perché è così, questo ci insegna la nostra fede: non dovrebbe farci paura. Per questo guardare con carità e amorevolezza la sofferenza e il dolore nostro e altrui credo sia un’emozione naturale.
Se dovessi descrivermi direi, tra le altre cose, che sono una persona che non ha paura. Perché mi sento talmente amata dal Signore, talmente sua figlia che non ho paura.
Lo dici in un modo così intenso che ha tutto un altro effetto di quando questa esperienza viene ridotta a frase fatta. Sei anche un po’ spericolata come indole?
A volte mio marito me lo dice, “stai attenta! Non avvicinarti troppo al fiume” (ora sta seguendo un caso di cronaca e la ricerca dei cadaveri nell’Adige, Ndr). Non ho paura perché ho fede, ma non mi reputo una sconsiderata.
Torno spesso alla maternità perché è stata anche quella una sorta di conversione. Il mio primo parto ho voluto viverlo in modo del tutto naturale: come altre donne di sicuro, mi sono “goduta” 36 ore filate di contrazioni, perché volevo provare cosa significa partorire e come si partorisce davvero. Quando ero in travaglio anche le ostetriche mi dicevano che ero “la pazza”.
Un’altra caratteristica che mi definisce è la gratitudine, sono sempre grata. Ho capito un’altra cosa bella della vita vissuta alla luce della Parola: il vangelo dice “cercate prima le cose di lassù e il resto vi verrà dato in sovrappiù”. Quando ho cominciato a fare così, tutto, letteralmente, mi è arrivato in più.
Ci dicevi dell’incontro con tuo marito e del nuovo impulso alla tua vita di fede; che cammino avete intrapreso insieme?
Ci siamo avvicinati in provincia di Cuneo a un centro vocazionale permanente. Perché anche il matrimonio è una vocazione! Gli incontri con Suor Maria e Fratello Emanuele ci hanno fatto addentrare in maniera quotidiana nel Vangelo. Abbiamo avuto la grazia di toccare la verità della Parola perché altrimenti non avremmo avuto il coraggio di sposarci…Avremmo fatto forse come tanti: “Prima vediamo se andiamo d’accordo, troviamo la stabilità economica e poi vediamo”. Invece è esattamente il contrario. Nel momento in cui vivi la Parola e segui la Sua volontà tutto ti arriva: non bisogna avere paura. Ciò che ci è chiesto è “solo” il coraggio di dire sì alla sua chiamata, di rispondere a un invito di bellezza.
Cosa c’è di più bello di una famiglia? Ho toccato con mano la bellezza della vita cristiana e non sono una bigotta. Ho compreso con l’esperienza l’importanza di porre il proprio fondamento nella preghiera.
Pregate insieme tu e tuo marito?
Sì, preghiamo; a volte recitiamo le novene insieme, a volte il rosario. E tutte le mattine, cascasse il mondo, ci facciamo il segno della croce sulla fronte, benedicendoci a vicenda; e benediciamo i nostri figli. Sapere che come sposi siamo ministri e possiamo benedire è una cosa per la quale essere riconoscenti. C’è purtroppo una scarsa conoscenza dei carismi della nostra fede ed è una vera povertà spirituale che ricade sulla società. Certo, viviamo un periodo difficile, però se sapessimo che siamo sacerdoti, re e profeti, caspita! Perdonami, ma l’ entusiasmo ha il sopravvento.
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Ritorna il mio desiderio della versione audio: sei come un ripetitore di gioia e gratitudine. Non si tratta solo di temperamento, si intuisce una fonte di energia “altra” dietro le tue parole.
Mi pare di avere ricevuto un mandato: devo dare gioia e aiutare gli altri. Se penso al mio lavoro di tutti i giorni, ho la consapevolezza che devo fare tutto quanto è nelle mie possibilità per lavorare in armonia con i colleghi, gli operatori, con chiunque mi capiti di avere a che fare.
Nel tuo ambiente professionale riconoscono la tua appartenenza cristiana? E da cosa lo vedono?
Per me è naturale manifestarla senza indugi perché mi rendo conto che è la mia verità ed è una cosa che fa la differenza. Spesso mi dicono “è bello lavorare con te”. E a volte la cosa sorprendente è che sono gli altri a manifestarmi la loro fede senza che io chieda nulla.
Testimoniare senza parole, quasi in incognito?
Ecco, riguardo alla testimonianza della fede nel mondo del lavoro, nella società, mi piacerebbe fosse più visibile. Credo a volte che le persone temano il giudizio della mentalità in cui siamo immersi dove non è di moda essere credenti.
Lavori nell’Infotainment e hai a che fare con casi di cronaca forti che rischiano di essere spettacolarizzati a scapito del rispetto che si deve alle vittime e alle persone coinvolte: come si tratta un “caso umano” in modo veramente “umano”, senza strumentalizzarlo? (ora sei impegnata proprio nella cronaca di quel terribile delitto della coppia di Bolzano)
Parto sempre con un approccio: mi comporto come se non fosse Laura giornalista ad agire ma Laura come persona, tutta intera.
Al primo posto va il rispetto per la vittima, quello per i familiari e infine per le persone che ci guardano, perché con i miei servizi entro nelle case della gente. Come faccio? Prima di iniziare prego, mi rivolgo al Signore e gli chiedo di illuminarmi. Gli domando di darmi la sapienza, affido la cosa a Lui perché so che mi guida e la sua luce mi illumina. Lo sento nel cuore perché si accende e sorprendentemente riesco nell’impresa. A volte questo lavoro viene vissuto con ansia da prestazione: ci sono tempi strettissimi, servono argomenti, contenuti…io ho imparato con gli anni, grazie alla preghiera, ad affrontare il lavoro con grande serenità, con una calma interiore che si propaga a collaboratori e colleghi.
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Inevitabilmente in certi professioni, quando hai a che fare con le persone e con situazioni estreme, occorre esercitare un certo distacco altrimenti non si riesce ad agire con professionalità e a fare il bene delle persone.
A volte riscontro difficoltà legate all’ambito nel quale sono impegnata: l’infotainment, per sua natura, passa dal gossip al commento ad un fatto di cronaca e qualcuno storce il naso. La trasmissione per cui lavoro viene spesso liquidata come frivola. Ci sono persone che rifiutano l’intervista perché è il programma di Barbara D’Urso; altre al contrario la vogliono per il fatto che c’è lei.
Di Barbara D’Urso posso dire che è una grandissima professionista, una stakanovista. Incarna al meglio delle sue capacità il ruolo che le viene di volta in volta affidato. Nei suoi confronti provo stima e affetto, per la persona e per la conduttrice. Poi, per carità, non si può piacere a tutti. Ma ricordiamo che la TV è un elettrodomestico. Se un presentatore non mi piace, posso sempre cambiare canale. O spegnere. No? Non devo per forza insultarlo o ritenerlo responsabile del degrado culturale attuale (ho trovato anche questo tra i commenti dei tantissimi haters. Della serie, la colpa è sempre degli altri!).
Sei una moglie e una madre: il grande e spesso mal posto tema della conciliazione famiglia-lavoro (ma soprattutto maternità e professione): tu come ti destreggi tra il tuo ruolo di moglie e mamma e l’impegno professionale? Tu e tuo marito siete “alleati”?
Il nostro purtroppo non è un paese per mamme. E, oserei dire, non è un paese per famiglie. Anche ora si fa tanto parlare di come investire i fondi del Recovery Plan e nessuno parla di incentivare la natalità. Va bene tutto, ok i diritti, la parità, l’ambiente. Ma le famiglie?
Vogliamo parlarne? I figli, i bambini? Le mamme sono lasciate sole. E in questi lunghi mesi di emergenza non potevamo nemmeno affidarci ai nonni (semmai aiutarli a nostra volta). Con la pandemia siamo state lasciate ancora più sole. Io non posso che dire grazie a mio marito. Se riesco a svolgere il mio lavoro è perché Luca, con il suo lavoro e la sua immensa disponibilità, mi permette di farlo. È lui che va a prendere i bambini all’asilo quando sono fuori e prepara la cena. Certo, non è facile. Ma cerchiamo di gestire al meglio il nostro tempo avendo a cuore i nostri figli e senza risparmiarci nel lavoro.
Cosa ti sta insegnando la maternità?
Di sicuro esistono delle difficoltà legate alla maternità e all’allattamento e non c’è in Italia il sostegno di cui noi mamme avremmo bisogno. Però per me è stata ed è l’avventura più inebriante della vita. Se penso all’allattamento al seno, contemplo con stupore l’amore che filtra da questo gesto. Pensavo spesso a Maria, mentre allattavo i miei bambini, e alla frase del Vangelo “custodiva tutte queste cose nel suo cuore”.
Non c’è niente che spieghi più facilmente cosa significhi l’amore di Dio per noi, Suoi figli, come l’essere una madre e un padre. E’ la via più naturale per entrare in quel mistero. Ti fai dono per tuo figlio, tu vieni dopo e ti beatifichi nell’amore. Non viene mai detto quanto è bello avere dei figli. Anche l’idea della famiglia del Mulino Bianco è stata “messa in croce” e ridicolizzata. Invece è vera, ma richiede sacrificio, fatica, lavoro, volontà.
Richiede una vera crocifissione
Sì e soprattutto bisogna essere in due. Non si vola con un’ala sola, sia come spirito (fede e ragione) sia come coppia (uomo e donna). Avere mio marito è una grande grazia, desideriamo l’uno la compagnia dell’altra. Quello che fa la differenza è sapere che siamo in Tre, che non dobbiamo basarci solo sulle nostre forze. Tra le preghiere con cui mi rivolgo al Signore c’è spesso l”invocazione di Don Dolindo Ruotolo, il suo atto di abbandono a Gesù: Gesù, pensaci tu.
Per farti capire cosa significa per me vivere l’amore e “mettermi da parte”: quando arrivo a casa e sono stanca morta e non sogno altro che buttarmi sul divano, ecco proprio allora mi impongo di esserci. Perché alla mia famiglia non voglio dare gli scarti, voglio invece riservare il meglio. Decido che i miei figli hanno tutto il diritto di vedere una mamma felice e serena, che gioca con loro, che li veste, li lava, legge loro una storia, prega con loro. E più faccio così, più trovo le risorse per poterlo fare e mi ritrovo meno stanca.
Donne, lavoro, società. La Chiesa da sempre e particolarmente con San Giovanni Paolo II e i successivi pontefici ci chiede di esprimere a pieno il nostro genio femminile, per il bene dell’umanità. Come si fa secondo te?
E’ una chiamata che vivo come diretta a me, perché sento che io sono speciale, in quanto figlia di Dio. Ognuno ha dei talenti ed è giusto metterli a frutto. Siamo chiamate a dare il meglio di noi, anche se non ne farei una questione di genere, in modo assoluto.
Mi capita di vedere altre donne e di soffermarmi sui loro sguardi: alle volte mi rattristo e mi chiedo come vivano la loro vita.
Hanno trovato un uomo al loro fianco che le valorizzi? Si sentono comprese? Hanno avuto dei veri educatori? Alla fine mi ricordo però che la vera svolta è sempre l’incontro con Cristo: da qualunque condizione parti, l’incontro col Signore ti cambia in meglio. Faccio fatica a trasmetterlo ad alcune mie amiche e scalpito dal desiderio che anche loro, tutte, possano scoprirlo.
Personalmente ho una grande devozione per San Giovanni Paolo II (la voce trema, cerca di trattenere il pianto ma l’emozione trabocca, Ndr). Lo sento vicino, perché anch’io come lui vengo dalla passione per l’uso della voce, per il teatro. Ho letto da poco “Dono e mistero”, dedicato ai 50 anni del suo sacerdozio nel quale descrive come si è avvicinato alla Parola di Dio. Iscritto a filologia polacca ha studiato anche teatro e infine ha capito che quello che cercava non era solo quello ma la vera Parola: la Parola di Dio! Io sono giornalista, cerco la verità; perché ho questa urgenza? Perché amo la verità.
“Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo!” la sua più celebre esclamazione: anche il solo gesto di aprire le braccia ti fa già stare meglio. E se qualcuno ti risponde male, tu mandagli una preghiera.
So che sei stata in pellegrinaggio a Medjugorje: cosa significa per te quel luogo?
Ci siamo andati da fidanzati, è stata una bellissima esperienza di fede, fin dalla recita del rosario con gli altri pellegrini in pullman. In particolare mi ricordo l’incontro con una signora anziana che mi ha regalato il libro di Santa Giovanna Beretta Molla, accompagnandolo con un biglietto: “ti auguro di diventare moglie, madre e santa!”. È stato uno degli auguri più belli che mi siano mai stati fatti. Amo i santuari, ne comprendo il valore però a volte temo ci si crei troppa aspettativa perché il viaggio vero devi farlo dentro di te.
Certo metterti fisicamente in cammino ti rende propenso a ricevere, però credo che Dio sia sempre con noi. Ci sta solo aspettando, la sua chiamata è continua, fino alla fine. In questi giorni contemplavo l’immagine del Sacro Cuore di Gesù che arde: che significato ha? Lo sento: uno che ama veramente arde, è sempre acceso. Questo fuoco va alimentato con la preghiera, con la Parola, leggendo, con i sacramenti. La nostra non è una conversione una volta per tutte.
Un’altra figura che ti sta particolarmente a cuore e a cui sei devota è un’altra mamma e moglie, vero?
Sì, la serva di Dio Maria Cristina Cella Mocellin. E pensa che ho avuto la grazia di intervistare il marito. E’ una mistica dei nostri giorni, una figura meravigliosa. Una luce potentissima.
Grazie Laura per esserti raccontata in modo così autentico. Sapere che in ogni ambiente Gesù e Maria mettono qualcuno dei loro è un conforto e un invito a non tirarsi indietro, in qualsiasi ambito siamo chiamati a operare.
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