Siamo chiamati ad affermare l’essere, cioè, ad amare. Perché dietro le maschere della sessualità, della tecnologia e della scienza c’è ancora l’uomo creato a immagine di Dio. Di Antonio López
Tre eventi accaduti nel 2020, ma preparati da lungo tempo, segnano un nuovo passaggio nel disvelarsi della cultura in cui siamo chiamati a vivere la nostra vocazione qui negli Stati Uniti.
Disordine dentro e fuori
Il primo è la sentenza della Corte Suprema nel caso Bostock vs Clayton County, con la quale si ritiene che l’“orientamento” sessuale e l’“identità” di genere siano inclusi nella definizione di sesso. E quindi si definisce come “discriminazione sessuale” qualunque decisione basata sull’“identità di genere”. Il secondo è la sconfinata fiducia posta nella scienza per ristabilire e la salute pubblica, in una visione di essa spesso idolatrica. Infine, il radicale stravolgimento dell’ordine politico durante i mesi tumultuosi delle elezioni presidenziali.
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Il primo evento stabilisce una relazione completamente arbitraria tra il nostro essere maschio o femmina e la nostra identità personale. In tal modo, dal punto di vista legale, sociale e culturale, l’unità tra il corpo e l’anima non esiste più. Da adesso in poi, nessuno potrà evitare di definire esplicitamente e volta per volta la relazione che il suo corpo intrattiene con l’anima. La corrispondenza tra l’“identità” di un soggetto e il suo sesso, infatti, è oramai considerata soltanto casuale. Questa ridefinizione della persona riduce inevitabilmente le relazioni fondamentali (filiazione, nuzialità, paternità e maternità) a ruoli il cui contenuto è determinato dallo Stato e dalle sue leggi.
Surrogati di salvezza
Il secondo evento stabilisce che le domande sul “cosa” e sul “perché” trovino una soluzione adeguata solo in ciò che risponde al “come” le cose sono fatte. Ciò che conta è il metodo e l’azione, non l’essere e il pensare. La presunta capacità della scienza di risolvere i mali portati dalla pandemia, elude così la possibilità di comprendere con che cosa abbiamo veramente a che fare e perché. Quello che importa, alla fine, è muovere la “natura” nella direzione di un “bene” che la società sceglie con l’aiuto di “esperti”. Tuttavia, non è un caso che questo precipitoso focalizzarsi sulla ricerca di “soluzioni” apra la porta al perseguimento di una salute frammentata e a-personale, e ad un’eugenetica senza precedenti.
L’ultimo evento segnala il definitivo e rapido allontanamento dalla democrazia verso un’esistenza pseudo-politica irreale e digitale. Cancellando i gruppi politici classici, il “dis-ordine” post-democratico si sviluppa globalmente, istintivamente, senza i tempi e i luoghi necessari per una deliberazione legislativa adeguata. Questo “dis-ordine” è tecnologicamente governato da tutti e da nessuno. La forza di questo nuovo ordine è “creare” e assegnare a ciascuno un’esistenza digitale. Solo quelli che hanno una presenza digitale esistono, solo ciò di cui i media digitali parlano è reale.
Una semplicità ultima
Oltre ad essere frutto di una mentalità tecnologica, questi eventi hanno in comune anche una radicale opposizione alla visione cristiana della persona. Il valore della vita, infatti, non sta in una “realizzazione” di sé attraverso le possibilità che il potere assegna equamente a ciascuno. Esso piuttosto consiste nell’essere creati ad immagine di Dio come uomo e donna. Chiamati alla comunione con Lui attraverso uno stato di vita in cui le persone fanno esperienza dell’amore di Cristo.
Siamo stati inviati come missionari negli Stati Uniti. Viviamo in questo contesto certi che la natura umana continua ad essere ciò che è, indipendentemente da ciò che proviamo a farne. Lo stesso vale per i tentativi di bandire il cristianesimo che, sebbene si dimostrino spesso in grado di minimizzarne la rilevanza culturale, non possono annullare l’unico reale evento di salvezza, sostituendolo con i surrogati che l’uomo di oggi pretende di darsi da sé.
Quante volte abbiamo visto che le persone possiedono una semplicità ultima, che permette di riconoscere la verità quando viene loro offerta. Il compito che abbiamo è umile ma radicale. Lasciare che il cristianesimo rinasca attraverso la sofferenza che i nostri tempi procurano, nella gioiosa accettazione della vocazione a cui siamo chiamati.
Comunione e contemplazione
Da quando siamo presenti negli Stati Uniti, abbiamo imparato che la paternità sacerdotale è un segno sacramentale dell’affermazione divina che essere – ed essere finiti – è un bene. Il padre ama ciò che gli è affidato e lavora per proteggerlo. Mentre lo lascia essere liberamente, lo guida verso il destino per il quale è fatto. Se vuole rimanere autentica, questa affermazione dell’essere e di tutto ciò che appartiene alla natura deve essere ridonata quotidianamente e permanere nel tempo. Siamo chiamati ad affermare l’essere, cioè, ad amare.
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Inoltre, vivendo la nostra missione, continuiamo ad imparare che la comunione dataci da Dio è parte di quel miracolo di unità che tutti cercano. E in cui possono essere liberi. Cinque case in quattro differenti città, una ventina di preti e qualche suora, chiamati insieme a vivere il cammino della conversione e a servire le persone che ci sono state affidate. La comunione è una casa dove scoprire che il perdono non solo è possibile ma anche fonte di creatività, di una società libera e di una cultura della vita e della luce.
L’ultima scoperta fondamentale è il recupero della dimensione contemplativa. Tempo dato gratuitamente a Dio, senza la fretta di finire per passare ad altre cose più urgenti. Tempo dato gratuitamente a Dio per riconoscere il suo amore che ci precede e per capire che in Lui ogni cosa acquista la sua forma autentica. Solo questa contemplazione, nel tempo, potrà generare un pensiero genuino, capace di affermare l’essere e trasformare la vita. L’amore infatti è una luce che brama illuminare. Questo è l’impopolare ma infinitamente fruttuoso cammino sul quale siamo stati posti per vivere l’amore e comunicarlo gratuitamente.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA FRATERNITÀ SAN CARLO