E’ la storia di una bimba nata in Scozia: il termine previsto era per il 1° di febbraio ma lei è venuta alla luce, piangendo forte, il 2 ottobre, con quattro mesi abbondanti di anticipo. Ha lottato per superare diverse crisi respiratorie, problemi cardiaci, retinopatia e infezioni. Ma ora è a casa e per i suoi genitori il suo è il sorriso più bello!
Un’attesa benedettamente lunga
Quando si è in attesa di un figlio e la notizia è di pubblico dominio la domanda più ricorrente nella quale ci si può imbattere è: “quando deve nascere?”, alternata a “quanto manca?”. Domande legittime e sacrosante.
A volte, se si è un po’ stanche della fatica che ogni gravidanza comporta, ci si trova ad augurarsi, tra sé e sé, che questo termine arrivi in fretta, ma intendendo soltanto che questo viaggio diventi leggero, che ci sembri veloce non mai che venga bruscamente abbreviato: perché lo sappiamo che ogni singolo giorno della vita intrauterina e ogni fase della gestazione hanno un’importanza capitale per la vita del bimbo.
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Il parto prematuro
Una delle prove più impegnative che dei neogenitori possano attraversare, infatti, è sicuramente quella di accompagnare alla vita, temendo per la sua morte, un bambino nato molto prematuro.
Come dev’essere trovarsi tra le mani, quasi dita!, un bimbo così piccolo e indifeso, sapendo che tutto quello che gli sarebbe servito ora non è più a sua disposizione? “Da fuori” la medicina tenta in tutti i modi di supplire alla natura e i genitori di restare in equilibrio sulla sottile eppure solida speranza di vederlo crescere sano. Una prova di resistenza, tenacia, amore vero quello che sa misurarsi con la sola cosa che possa sfidarlo, la morte.
La bimba più giovane di Scozia
E’ successo a tanti, ma una storia recente di questo tenore mi ha colpito in particolare. Innanzitutto per il fatto che viene dal Regno Unito. Sofia è una bimba che è nata quasi a metà gestazione, ovvero a 22 settimane e quattro giorni.
Non fa un’enorme impressione sapere che, per legge, in UK ogni bambino può essere soppresso senza ulteriore motivo che quello di non essere voluto fino alla 24ma settimana compiuta?
Quella del Regno Unito è la legislazione europea sull’aborto ad oggi più permissiva e ci sono forze che tuttora spingono per renderla ancora più larga. L’aborto falsamente chiamato terapeutico è possibile anche oltre le 24 settimane. Sono certa che a molte donne (io sono una di quelle) sia stato proposto di attraversare la Manica se per caso si fossero accorte troppo tardi per la legge italiana che il bimbo che aspettavano era malato e che per questo avrebbero voluto abortirlo.
Fa un’enorme impressione perché questa bimba, per la quale da qualche giorno si festeggia, è coetanea anzi sorellina minore di molti suoi coscritti sterminati per mezzo dell’aborto volontario. Si compromette l’integrità della ragione se si tentenna intorno a questa verità: se la vita della piccola Sofia ci ha fatto trepidare la stessa reazione meritano le migliaia di bambini soppressi intenzionalmente ogni santo giorno (che proprio per questo è un po’ meno santo)
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Sofia Viktoria è finalmente a casa
Sarà più bello quando storie come questa saranno raccontate solo a partire da questo punto: Sofia Viktoria Birina ce l’ha fatta.
Ritenuta uno dei bimbi prematuri più precoci sopravvissuti in Scozia alla sua nascita aveva ricevuto l’impietoso ma realistico pronostico che dava la sua sopravvivenza al 10 per cento.
Ma ora, leggiamo sul sito della BBC, è abbastanza robusta da poter lasciare l’unità di terapia intensiva neonatale e andare finalmente a casa.
Doveva nascere il primo febbraio e invece è venuta alla luce il 2 ottobre; è rimasta ricoverata e assistita presso l’ospedale universitario di Wishaw per quattro mesi.
I suoi giovani genitori sono Egija e Inars: quando è nata occupava il palmo di una mano, pesava mezzo chilogrammo e la sua pelle era talmente sottile da essere trasparente.
Egija ha descritto (il periodo del ricovero) come i 132 giorni più lunghi e spaventosi della loro vita. (BBCnews)
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Fino alla ventesima settimana tutto bene
Originaria della Lettonia vive da 12 anni ad Airdrie, nel North Lanarkshire, in Scozia. Racconta che fino all’ecografia della ventesima settimana andava tutto bene; a quell’epoca di solito ci si sente tranquilli, si è in una fase della gravidanza gradevole, con tanta energia e senza più i fastidi delle prima settimane (anche se non tutte sono così fortunate). Immaginiamo lo shock quando, continua Egija,
poco più di una settimana dopo, ho sentito dolore così sono andata in ospedale e mi è stato detto che ero già dilatata e stavo entrando in travaglio. Dopo 10 giorni di riposo a letto, la nostra amata figlia Sofia ha fatto la sua comparsa. È arrivata nel mondo con il più grande urlo e piangeva così tanto. Non ci aspettavamo che sarebbe sopravvissuta, ma è da lì che è iniziato il nostro viaggio. (Ibidem)
https://www.facebook.com/Egi.B.ID/posts/3825486547515023
Tanto piccola e fragile da non poterla toccare
Egija ha detto: “Sofia aveva letteralmente le dimensioni di una mano, così fragile e piccola e la sua pelle era trasparente. Ho dovuto aspettare una settimana per stringerla per la prima volta perché era così fragile. Una volta sono riuscita a tenerla. lei, non sono riusciti a togliermela dalle mani”. (Ibidem)
Un viaggio impervio, pieno di pericoli, quello di Sofia. Ma lei li ha superati tutti: la grande prematurità è un vero e proprio assedio a tutti gli organi vitali. Il cuore, l’encefalo (ha avuto emorragie cerebrali), i polmoni, che si sviluppano completamente nelle ultime settimane di gravidanza. Anche gli occhi sono messi a dura prova: esiste una retinopatia tipica della prematurità e anche Sofia ne ha sofferto.
Diverse infezioni l’hanno attaccata ma, con l’aiuto delle terapie e probabilmente della sua stessa forza vitale, le ha superate. Non è specificato ma probabilmente il fatto che i suoi piccoli reni abbiano retto ha posto un argine al rischio sempre incombente che la situazione precipitasse.
Che conquista il respiro!
Ha subito ben sette trasfusioni di sangue e superato crisi respiratorie con l’aiuto della ventilazione meccanica. Anche adesso che è finalmente a casa è sostenuta con ossigeno terapia.
La mamma racconta la sua guerra a fianco della piccola: “restavo con lei tutto il tempo che potevo, anche 16 ore al giorno”; il marito dopo il lavoro le raggiungeva in ospedale. Durante le frequenti crisi Egija ha temuto spesso di perderla e voleva essere presente a tutti i costi.
Ci sono voluti molti tentativi per portarla a respirare in autonomia, il ventilatore è stato molto volte la sua salvezza.
Non c’è come il respiro a significare la presenza della vita e vedere qualcuno che soffre per la mancanza d’aria fa quasi toccare con gli occhi il significato dell’essere vivi.
Il suo sorriso è il più grande
Ora che sono a casa i genitori che festeggiano i quattro mesi di una figlia che potrebbe stare ancora nell’utero materno si godono con moltiplicato stupore ogni suo progresso. Il suo sorriso è il più grande e bello del mondo. E probabilmente è vero. Sofia sa con la sua propria vita cosa significa conquistarsi la vita; prima di iniziare la vera arrampicata sulla parete dell’esistenza lei si è macinata una marcia di avvicinamento che avrebbe fiaccato i più.
Mamme, non disperate!
Per questo Edija si sente di infondere coraggio alle altre mamme che dovessero trovarsi in una situazione simile, le invita a resistere nella speranza e a dare coraggio ai propri piccoli.
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