Non lo fanno per maleducazione, ma per la certezza granitica di sentirsi amati. Se pensiamo di doverci meritare l’amore di Dio, non potremmo mai essere grati.“Grazie maestra”
Non sono molti i bimbi che conoscono, o meglio utilizzano, questa parola. Alcuni adulti la ribattezzano: “parolina magica”, forse per renderla più attraente (sia mai, cosí, tornasse alla mente più spesso).
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Tornare come bambini?
Quando passo a dare l’acqua per i tavoli a mensa, ogni tanto per sbaglio, ad uno dei bimbi scappa di bocca, e allora poi a ripetizione tutti lo imitano
Grazie
Grazie
Grazie
nel desiderio di ricevere anche loro, lo stesso sguardo compiaciuto, concesso dall’insegnante al primo compagnetto.
Il giorno dopo, quel grazie, torna nell’oblio delle parole mai pronunciate.
È così. È raro sentirglielo dire, soprattutto a questa età . E quando lo fanno, è certo che dietro c’è il lavorio indefesso di genitori o nonni che per mesi, martellanti fino al “gomito” (traduzione dei bimbi della sez A: “vomito”), gli hanno fatto ‘na capa tanta’, come direbbe mia mamma.
E se da una parte verrebbe da dire ‘che maleducati!’, dall’altra mi vengono in mente quelle piccole sfaccettature da prendere in considerazione secondo l’esortazione “se non ritornerte come bambini…non entrerete nel regno dei cieli”. Dico piccole, perché i bambini non sono certo da imitare come prototipi di santità solo per il fatto in sé di essere bambini, anzi.
Già da così piccoli alcuni di loro hanno una sottile (anche marcata a volte) vena di cattiveria, una tendenza alla malizia. Spesso sono accentratori, bugiardi, ladruncoli. Per non parlare dell’egocentrismo tipico di questa età. Insomma, di santità ce n’è davvero poca da imitare in loro.
Sulla roccia della gratuità
Ma allora perché dovremmo tornare come bambini?
Questo “grazie” apparentemente mancante, mi ci ha fatto riflettere.
I bimbi della mia classe danno per scontato che io ci sia, che io sia lì per loro. Anche per servirli.
Non è un atto di maleducazione il non ringraziare (più che altro è una – forse anche giusta – pretesa di buone maniere da parte nostra).
Per loro è semplicemente la manifestazione della certezza granitica che tutto quello che faccio, lo faccio perché li amo. E basta. Non se si comportano bene, non se se lo meritano, se si impegnano, se sono amorevoli, se rispettano le regole, se, se, se…
Li amo e basta.
Gratuitamente.
Loro, comprendono questa gratuità. Sanno cosa significa non doversi meritare l’amore di qualcuno (anche se non per molto ancora).
L’acqua nel bicchiere la maestra me la versa, nonostante me. Nonostante abbia dato un cazzotto a Giuseppe stamattina. Nonostante l’abbia fatta arrabbiare. Perché è la mia maestra, perché è così che funziona, perché…. neanche me lo chiedo il perché.
Ed è così che fa Dio con noi. Il “grazie” che, da adulti nella fede, impariamo a pronunciare è per noi, non per Lui. È per fermare nel nostro cuore i doni che da Lui abbiamo ricevuto. Per potervi attingere forza, nei momenti di sconforto.
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L’amore non si merita
Perché la gratitudine è ciò che ci fa rialzare, sempre.
Ma non si può passare alla gratitudine, senza prima aver capito la gratuità.
La gratuitá dell’amore.
Se pensiamo di doverci meritare l’amore di Dio, non potremmo mai essere grati. Al massimo alzaremo lo sguardo in alto sperando di trovare, in chi ci sta versando dell’acqua, occhi di compiacimento per ciò che abbiamo fatto. E diremo ‘grazie’ (quello per cui ci hanno fatto ‘na capa tanta fino al gomito), ma niente di più.
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