Si chiama Beatrice Nordio ed è un medico specializzato in pneumologia: appena guarita da un tumore al seno è tornata al lavoro e aiuta i pazienti Covid convalescenti a recuperare del tutto. E’ più felice e piena di fiducia e cerca di trasmettere tutto questo ai propri malati.Non esiste solo il Covid. E i malati oncologici? e tutte le altre non meno terribili patologie? E la necessità di diagnosi precoci, di cure tempestive o lunga riabilitazione, l’importanza di interventi elettivi?
Tutto questo esiste ed esige risposta anche in epoca pandemica. Lo sa bene Beatrice Nordio, originaria di Mestre, pneumologa in forze all’Usll 6 Euganea, che a poco più di 40 anni ha scoperto di avere un tumore al seno. Leggiamo su Repubblica del 2 febbraio che due anni fa, in un giorno d’aprile, si accorge di avere un nodulo al seno.
era un giorno di aprile del 2019, compleanno del marito – sente un nodulo al seno. “Mi sono rivolta allo screening mammografico, attiguo al mio ambulatorio: è così che ho scoperto un carcinoma mammario per il quale a giugno sono stata operata”. (Rep)
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Un compleanno con una brutta sorpresa
Un giorno ingiusto in cui inaugurare una fase tanto amara e impegnativa della propria vita, ma Beatrice non si lascia scoraggiare troppo a lungo. Non è difficile immaginare che tanta forza le sia venuta dagli affetti: a soffrire e sperare con lei ci sono tre figli, oltre al marito. Ma innanzitutto c’è lei, in prima persona, che mette in campo ogni tipo di risorsa necessaria in queste circostanze: la medicina, innanzitutto: con la sua limitata ma considerevole capacità di contrastare le malattie. E la forza di resistere e restare concentrata sul presente, compiendo un passo alla volta ma con lo sguardo al futuro che la attende. E infinte gli altri, l’ambiente, la rete di relazioni che spesso ci sostengono anche se non ce ne rendiamo conto.
Questo debito nei confronti degli altri Beatrice sembrava non vedere l’ora di iniziare a pagarlo. Lo si vedrà una volta attraversata la selva oscura ma non impenetrabile della malattia e delle dure terapie che le costerà.
Un percorso da 10 e lode
Inizia a curarsi e non è come prendere delle goccine omeopatiche tre volte al giorno “che per curare un raffreddore ti servono 15 anni”. (semicit. E’ una battuta di Giovanni, del trio con Aldo e Giacomo). Sedici sedute di chemioterapia e venti di radio. Ma non è l’unica cosa, per quanto impegnativa ed esigente, che la assorbe in quel periodo. Ci si mette anche lo studio!
“All’epoca stavo concludendo un master universitario, iniziato a settembre 2018, un master di secondo livello in pneumologia e allergologia pediatrica presso l’Università di Padova. Quando sono entrata in chemioterapia, mi dissero che se non presentavo la tesi avrei perso il master. Tra le prima e la terza chemio sono stata ricoverata in isolamento per complicazioni ma non ho mai smesso di studiare e di scrivere. Venti giorni dopo la dimissione – era la scorsa primavera – ho discusso la tesi, valutata con il massimo dei voti”.
Nomen omen
Beatrice ha un nome che sembra corrispondere alla sua stessa indole o forse l’ha spronata a forgiarla: è felice e cerca di rendere felici gli altri. Ora che ha passato questa prova ancora di più.
Ma il vero innesco della sua ripresa, della nuova messa in moto della sua vita aperta anche agli altri e al lavoro sta altrove, nella sua “mental coach”, dice lei. Sono passati 16 mesi da quando ha interrotto il lavoro e iniziato a curarsi. C’è stata anche la tesi del master in mezzo però…
“A settembre 2020 mia figlia Viola, la mia “mental coach” mi ha detto: “Mamma, stai bene, cosa fai a casa? Non hai più scuse!”. Il 16 settembre, il primo giorno di scuola dei miei figli, sono tornata a lavorare ed è stato bellissimo. Seguo i pazienti post-Covid dal punto di vista pneumologico, ho fatto il vaccino, sia la prima che la seconda dose con grande soddisfazione, sto bene, continuo a fare controlli, sono monitorata ma cerco di essere ottimista. A chi mi chiede come sto, rispondo che sono felice: penso che per essere felici si debba fare qualcosa, motivarsi, cercare di vivere con una prospettiva di positività, non è facile farlo tutti i giorni, me ne rendo conto ma è una grande soddisfazione dopo la malattia poter rientrare al lavoro.
Detto, fatto
Ha ragione mia figlia, dice dunque a sé stessa. E così ha ripreso il lavoro e sta a fianco di chi ha patito l’infezione da Sars-CoV-2 e, come ormai è dato sapere, ne porta gli effetti piuttosto a lungo quando la malattia è stata conclamata. Ho presente più di un caro amico e parente che per settimane e addirittura per mesi ha dovuto combattere con l’estrema debolezza e altri lpesanti strascichi sull’apparato respiratorio. Beatrice dunque torna al suo posto ma non come niente fosse: si è presa un master, è vero, ma ha anche acquisito una forza nuova. Proprio per tutto ciò che è stato è più consapevole di cosa significhi essere un paziente e di quanto occorra ricevere cure e non solo farmaci. Nella cura serve anche l’abbraccio alla persona nella sua interezza.
“Se ci fermiamo, ci guardiamo intorno, ci sono tante persone che soffrono e rischiamo di lasciarci sopraffare dal pessimismo. Quando ci fermiamo, non abbiamo più la spinta propulsiva utile a migliorarci e a migliorare ciò che ci circonda. “Non fermarsi” è sempre stato il motto della mia famiglia, di mia mamma, di mia nonna. Io ero frustrata a stare a casa, mi dispiaceva dopo tanto studio, tanto impegno, tanto lavoro: se la malattia ti mette lo stop, una volta tornati in piedi non bisogna fermarsi. Cosa vorrei dire ai pazienti che hanno superato il Covid? Abbiate fiducia nella medicina, la medicina può dare speranza, curare e guarire, però bisogna lasciarsi prendere per mano dai medici, farsi guidare. E non è sempre facile”. (Ibidem)
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La forza di essere insieme
Beatrice non è sola perché c’è Viola, di 12 anni (la mental coach di cui sopra); ci sono Antonio di 9 e Alba di 7; e c’è il marito Luca Schenato,
professore universitario a ingegneria dell’informazione, tanti colleghi e amici. “La dottoressa Nordio mi ha dato un lezione di vita. Rimango estasiato di fronte a tanta meravigliosa forza di volontà, certe esistenze – sottolinea il Commissario dell’Ulss 6 Euganea, Domenico Scibetta. “Quando l’ombra della malattia si è allungata su Beatrice, lei ha tirato fuori gli artigli e si è salvata. Ora quel coraggio, quella bellezza li trasferisce di giorno in giorno agli altri proprio in quegli ambiti di cura, il Coronavirus ce lo ha insegnato, dove il dolore è più forte, come una continua infusione di vita. Grazie, semplicemente e profondamente grazie: storie come la sua restituiscono al nostro esistere il suo respiro più autentico e profondo”. (Ibidem)
Sembra proprio lieta di avere patito perché ha sviluppato una serie di “anticorpi” trasferibili sebbene non servano trasfusioni di sangue o plasma. E’ bello sapere che in corsia, negli ambulatori, nei laboratori di ricerca ci siano tante “Beatrici” all’opera.