L’attrice e scrittrice pugliese Angela Liso è al suo secondo romanzo. Dopo “Primo amore”, ispirato alla lunga e intensa relazione con il conterraneo Riccardo Scamarcio, scopre l’amore di Dio, la bellezza del silenzio e della preghiera da cui ricava una forza che gli altri le riconoscono immediatamente. Nella seconda opera la protagonista è in cammino, nella vita e sulle strade di un vero cammino francescano.
In questi giorni ho avuto il piacere di intervistare Angela Liso e di poterle dire quanto il suo nuovo libro, Ad un passo da me, sia stato una piacevole sorpresa. Angela, nata ad Andria, è un’insegnante, un’attrice, nonché una scrittrice di talento, capace di meditazioni profonde in un mercato omologato verso il basso.
“A volte servono delle scosse molto forti per riuscire a recuperare il senso della propria vita e di se stessi”, afferma Nicole, la protagonista del tuo ultimo romanzo. Quali sono per te, Angela, le scosse della vita?
Angela Liso: Beh, le scosse della vita sono quelle in cui ti rendi conto che ti manca la terra sotto i piedi. In senso figurativo per molti potrebbe essere, una malattia, un lutto, la fine di una relazione, per una come me è una sensazione costante. Anche una battuta del fruttivendolo può darmi una scossa e farmi mettere tutto sotto esame. No, scherzo, sto esagerando! Sono costantemente attratta dall’interiorità dell’animo umano. La cosa buffa è che nascondo tutto questo con un atteggiamento apparentemente distratto e superficiale. Nel frattempo ascolto e metabolizzo. Sono vittima della sospensione e faccio fatica a chiudere i cerchi. Allo stesso modo sono bravissima a mescolare le carte nei momenti di emergenza e a ripartire. Forse, semplicemente perché sono allenata.
Nel tuo primo romanzo ho letto che si fa riferimento alla tua relazione decennale con l’attore Riccardo Scamarcio, immagino quindi sia autobiografico. Quanto c’è di personale nel tuo libro d’esordio “Primo amore” e nel tuo secondo “Ad un passo da me”?
L’esperienza narrativa è sempre l’elaborato di materiale autobiografico che si realizza in un mare di finzione. È sempre il nostro inconscio a governare i fili della narrazione. Anche il modo in cui scriviamo o dove poniamo l’accento, racconta di noi. Ma il punto sta nell’esigenza che ti spinge a scrivere e nel fine di quell’esigenza. “Primo amore” credo di averlo scritto perché avevo un grande bisogno di rivivere quell’amore per metabolizzarne la fine. In un certo senso riconoscere quell’amore anche in un rapporto estinto. Quando l’ho scritto il mio intento era quello di trasmettere, specialmente agli adolescenti, che si può amare, fare luce in quest’epoca dell’ “Usa e getta”, del “Mordi e Fuggi”, del “Tutto e Subito”. E se finisce, perché ci si ritrova ad avere una diversa concezione della relazione, non si muore. Si va avanti perché ciò che conta è l’amore. E sia pure dopo una delusione ciò che conta è “essere” noi stessi, che viene sempre prima dell'”apparire” e del “possedere egoistico”. In “Ad un passo da me” l’espediente narrativo nasce dal cammino che io stessa ho fatto; mi ha completamente ammaliato. È stata un’esperienza straordinaria, intensa. Anzi, vorrei presto ritornare a farlo. Mi è venuto naturale scriverci una storia; ma allo stesso tempo non ha nulla a che vedere con la mia scoperta di “Dio” che è avvenuta in tutt’altro modo. Nicole ha una grossa ferita di abbandono. È alla disperata ricerca di uno sguardo paterno. In questo cammino scopre di avere questa ferita e incrocia questo sguardo. Quando ho cominciato a scrivere “Ad un passo me” è stato mio padre stesso a suggerirmi di scrivere della relazione padre-figlia.
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Secondo te il cammino francescano che Nicole percorre nel libro può considerarsi una metafora della vita?
Assolutamente, si! La vita è un viaggio meraviglioso paragonabile a quest’esperienza dove, però, i minuti passano come fossero ore perché tutto è vissuto più intensamente. Per questo direi che un cammino ci insegna a vivere. La vita nella sua maestosità, ricca di cadute, delusioni, tradimenti, incidenti, è sorprendente, miracolosa, una continua scoperta a cui assistiamo ogni giorno. Basta pensare al sole che tramonta e sorge ogni giorno. In un cammino t’innamori inevitabilmente del sole che sorge e tramonta, semplicemente perché ti concedi l’opportunità di guardarlo.
Quanto sono importanti per te il silenzio e la preghiera?
La preghiera è la mia fonte di energia; è la mia forza, le mie lenti a contatto spirituali. Senza la preghiera guardo in modo diverso, mangio in modo diverso, ascolto in modo diverso… insomma, sono un’altra. Quando prego meno, la gente che mi circonda lo nota subito. I primi a notarlo sono proprio i miei amici, in modo particolare quelli che non credono nella forza della preghiera. Questo mi fa sorridere. Cercano in me ciò che non viene da me. Il silenzio è essenziale allo stesso modo. Fare silenzio vuol dire fare spazio e mettersi in ascolto. Il silenzio genera vita. Inviterei tutti a fare esperienza di silenzio pieno. Il silenzio ti arricchisce; è parola, musica, ascolto, preghiera. Il silenzio ti porta dritto all’essenziale.
Mi ha colpito molto la scena ambientata al Monte Subasio in cui Nicole, in un momento di difficoltà e stanchezza, fa la conoscenza del pellegrino Michele. C’è attrazione, si piacciono, eppure decide di non cedere ad un mero rapporto occasionale, nonostante si tenda continuamente ad esaltare la sessualità fine a se stessa e a deridere il concetto di castità.
Nicole rinuncia perché ha un obiettivo più grande da raggiungere e quel “piacere” le può essere d’ostacolo. Inoltre rimane fedele alla promessa che ha fatto a se stessa. Ricordo bene che quando ho terminato il cammino ho subito desiderato poter condividere con un mio ipotetico compagno l’esperienza di un cammino, per potersi conoscere più profondamente. Perché durante un cammino i giorni sono scanditi da una tale intensità, sono attimi che hanno il sapore della vera conoscenza, senza distrazione. Ti permette di vivere l’essenziale e quindi di incontrarsi veramente, spogliandosi delle proprie maschere. Profondità di conoscenza che nella vita normale richiederebbe molto più tempo. È proprio così. Anzi, ti ringrazio per avermelo ricordato. La castità è un valore importante che non può che arricchire una relazione. Ma vivere la castità non vuol dire solo non compiere un atto; è un pensiero, un qualcosa di molto, molto più profondo. Anche quando si fa l’amore con l’uomo che ami c’è il rischio di fare solo sesso.
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Fellini, Banksy, Massive attack, Pink Floyd… nei tuoi due libri ci sono molti riferimenti alla cultura pop. Può l’arte contemporanea essere al servizio di un bene maggiore? Veicolare messaggi di speranza e testimonianza di fede come auspicava anche San Giovanni Paolo II?
Si, certo! Anzi spero di essere veicolo di messaggi di speranza. Però non dimentichiamoci che l’arte è arte e il bello è insito in qualsiasi forma d’arte. Penso allo stesso Fellini, che quando ha girato La dolce vita è stato ostacolato e ha diviso il mondo cattolico e non solo. Io guardando il film ho subito visto una morale che accusava gli uomini di rifugiarsi, illudendosi, in finti piaceri per placare quell’istintivo vuoto che ogni essere umano ha, anziché aprirsi alla grazia dei valori più genuini. La grazia è straordinariamente rappresentata dalla fanciulla che al mare invita Marcello a seguirla, proprio come accade a tutti noi costantemente nella vita. Sta a noi saper fare discernimento.