I giovani chiedono e implorano fino alle lacrime uno sguardo che li veda come perle preziose e solo Cristo è capace di farlo con ciascuno di noi. Di Giulia Parete
Da un anno a questa parte, il sabato è il giorno dedicato alla caritativa e trascorro il pomeriggio con alcuni ragazzi delle medie nella Parrocchia di Sant’Eusebio, a Roma. Di questo tempo porto negli occhi due incontri.
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Giocare insieme
Pietro, 12 anni: campione di palla prigioniera e asso in tutti gli sport. Durante una partita viene eliminato al primo giro e accade il dramma: si arrabbia, sbuffa e si alza. Si allontana bofonchiando che preferisce giocare da solo. Dopo poco decido di andare a recuperarlo e lo trovo a piangere, accovacciato su un sasso. Mi vede, si accorge di me; mi confida che, in realtà, voleva continuare a giocare ed era dispiaciuto che gli fosse stata tolta quella possibilità.
La sua apertura mi sorprende: mai visto Pietro piangere in un anno intero! In quel momento, ho colto in lui il nostro grande desiderio di essere guardati che, se ignorato, erompe ancor più prepotentemente in un grido o in un pianto. Così, gli ho confidato qual era per me la bellezza di quei giorni: passare del tempo con loro e conoscerli. Siamo tornati a giocare insieme. Subito lui si è rimesso in campo: sorridente e carismatico come l’ho conosciuto, desideroso di coinvolgersi e coinvolgere i suoi amici.
Amati, guardati, accompagnati
Paolo, 16 anni: calciatore e aspirante medico. Durante il centro estivo che abbiamo potuto organizzare, viene ad aiutare me e suor Valeska con i ragazzi più piccoli, ma dopo appena una settimana ci lascia per andare al mare con gli amici. Ci salutiamo e ci auguriamo una buona estate.
Ma un mattino di qualche giorno dopo, lo vedo salire le scale della parrocchia e spuntare sorridendo. “Per me è bello stare qui con voi, quindi sono tornato”, ci dice. Il cristianesimo è un fatto, che genera uomini che non hanno paura di rischiare e di scegliere. Passando del tempo con questi ragazzi, che sono come delle perle preziose, non solo mi sono sentita privilegiata, ma sono nate in me anche tante domande: come far loro compagnia? Come amarli? Cosa comunicare? Certamente, per stare con loro, ci vogliono una cura infinita e una passione per l’uomo che possono venire solo da Cristo e che, anzitutto, io stessa devo vivere.
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Per generare, devo essere per prima generata: posso imparare ad amare, guardare ed accompagnare solo riscoprendo ogni giorno che io stessa sono amata, guardata, accompagnata. Questo accade unicamente con Cristo, che mi chiama a un rapporto quotidiano con lui attraverso la comunità. Ripensando ai giorni trascorsi con questi ragazzi, so che avrei potuto fare tante cose in modo diverso, supplire a tante mie mancanze e tentativi sbagliati. Eppure alla fine, quel che resta in me è il santo desiderio di imparare ad amare.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA MISSIONARIE DI SAN CARLO