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È giusto se mi sento felice pur vedendo intorno a me tanta sofferenza?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 29/01/21
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La risposta è “no”. Ma deve essere una felicità non posseduta, ma di colpo condivisa. Una felicità segnata dalla “bontà”. Ecco come praticarla

Facciamo bene a essere felici se siamo circondati da tanta sofferenza? Mai domanda è più calzante nel tempo della pandemia, che sta procurando difficoltà e lutti a milioni di persone nel mondo. Proprio in questo periodo, la parola felicità è tutt’altro che un sentimento scontato.

Eppure chi vive momenti di gioia non può essere “condannato”. La Comunità di Taizè ci aiuta a rispondere, con l’ausilio di testi biblici, alla domanda iniziale.

CYTATY ŚWIĘTYCH O RADOŚCI

Bóg dając człowiekowi radość odrywa go od tego, co przykre. Św. Hieronim

Gioire e piangere secondo San Paolo

Il soffio di Dio in noi è gioia profonda. Quando siamo felici, siamo in accordo con Dio. Ma quando altri soffrono, la nostra felicità è in disaccordo con la loro sofferenza. Per questo l’apostolo Paolo scrive: sì, «rallegratevi con quelli che sono nella gioia», ma anche «piangete con quelli che sono nel pianto» (Romani 12,15). La gioia è certo ciò per cui noi siamo fatti. Ma di fronte alla sofferenza degli altri, è piangendo che siamo nella verità.


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Le felicità che ci offendono

La felicità può essere offensiva per coloro che ne sono esclusi. La soddisfazione di chi è riuscito in qualcosa può far male a quelli che hanno fallito. Il giubilo di chi si ama provoca pena a coloro che sono lasciati. Quando coloro che sono felici mi fanno sentire un malizioso piacere di avermi soppiantato, la loro felicità diventa francamente insopportabile.

La felicità può essere offensiva non per cattiva intenzione: Gesù dipinge in una parabola la felicità di un ricco «che conduce una vita gioiosa e brillante» senza neanche accorgersi del povero Lazzaro seduto alla sua porta (Luca 16,19-21).

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Tero Vesalainen | Shutterstock

Le tristezze che fanno meno male

Piangere vale di più di una simile felicità. Ma come Paolo può scrivere: «Siate sempre lieti»? (Filippesi 4,4). Se ci sono delle felicità che offendono, ci sono anche delle tristezze che fanno male. Quando sono triste e abbattuto, non attendo da coloro che mi sono vicini che mi opprimano con la loro tristezza aggiungendo la loro malinconia al mio dolore.

Che fare allora quando altri soffrono? Restare gioiosi, con il rischio di offendere con la nostra felicità coloro che ne sono esclusi? O essere tristi, con il rischio di far pesare la nostra tristezza su una disgrazia già pesante da portare?


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La vera gioia irradia bontà

«Siate sempre lieti». Paolo prosegue: «La vostra amabilità sia nota a tutti» (Filippesi 4,5). La gioia di cui parliamo irradia dunque la bontà, una dolcezza. Questa gioia è innanzitutto interiore. Talvolta, è quasi impercettibile e non si nota con nessun segno esteriore. Essa tocca delicatamente. Come nel freddo dell’inverno, si sta bene accanto ad una stufa che emana calore, è bene, nella disgrazia, stare vicino a qualcuno la cui gioia profonda emani la bontà.

Il segreto della felicità che “non offende”

Qual è il segreto di una felicità che non offende, ma è d’aiuto a coloro che soffrono? È di essere una gioia di povero, una felicità non posseduta, ma di colpo condivisa.

Impedirsi d’essere felici quando altri soffrono potrebbe portare a una comune disperazione. Abbiamo di meglio da fare per coloro che sono infelici. Una cosa preziosa che possiamo offrire, è la nostra lotta nascosta per custodire la gioia dello Spirito santo, la gioia che diffonde bontà e comunica forza e coraggio (Taizè.fr).


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