Due sacerdoti in missione in Siberia durante il lockdown: il ghiaccio non congela il desiderio di comunicare l’amore al destino di ciascuno. Di Emma Neri
Preti cattolici in Siberia durante il lockdown. Roba da far tremare le vene e i polsi. E invece: uno di loro, Francesco, che ha passato più di tre mesi, da marzo a luglio, da solo nel villaggio di Palavinnoje, quando racconta di questo periodo pronuncia una strana parola, “grazia”: “È stata una grazia insperata”.
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Chilometri di grazia
Dice proprio così, e lo ripete più volte, quasi scusandosi per l’associazione stridente. E l’altro, Alfredo? “Ho fatto una bella esperienza da eremita” racconta da Novosibirsk. “Davvero, lo dico senza autocelebrazioni, un periodo fecondo”. E si fa una bella risata. Sì, perché lui si chiama così: Fec, al secolo Alfredo Fecondo. Nomen omen. Per entrambi i preti della missione siberiana, il lockdown non è stato un vuoto a perdere ma un periodo ricco di presenze, sebbene inconsuete.
Don Francesco Bertolina è in Siberia da 29 anni. Dal lunedì al giovedì vive a Novosibirsk, nella casa della missione dove al momento sono in due. Il giovedì parte per i villaggi della provincia di Krasnozersk: vuol dire che, con il sole o la neve, lui si macina centinaia di chilometri per andare a dire messa e a amministrare i sacramenti – o anche solo per fare compagnia – a qualche famiglia e molti anziani.
“Il 24 marzo ho saputo che alle 20 di quel giorno il governatore avrebbe chiuso i confini, vietando l’accesso a Novosibirsk. Ero già in macchina per tornare ma sono rimasto qua. Il lunedì di Pasqua ho celebrato la messa da solo”.
Una strana coppia
C’è tanto da fare per uno che, come Francesco, con le mani in mano proprio non sa stare.
Aiuta le persone che hanno Internet a collegarsi con le celebrazioni pasquali che il suo amico mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, tiene in cattedrale; sistema la cucina dell’appartamento e il tetto del garage; partecipa come può a qualche funerale. “Portavo la comunione a questa coppia di anziani a Krasnozersk. Lei, Mina, ha 94 anni. È completamente cieca ma con un ottimo udito. Lui, Ivan, era sordo ma ci vedeva bene. Non potevano aiutarsi a vicenda. Qui da noi, negli ospedali non tengono le persone anziane e malate.
Così, una figlia ha lasciato il lavoro di commessa per assisterli di giorno. Di notte, si alternavano gli altri fratelli. Mi ha sempre colpito l’affetto di questi figli per i genitori, e anche l’accoglienza nei miei confronti: ogni volta mi facevano festa. Ho partecipato al funerale di Ivan ma dopo non mi sono fermato. Con la neve gelata, per muoversi qua ci vuole una 4 x 4”.
Amici dal cielo
Intanto, in città, la vita di Fecondo è anche più solitaria. Esce una volta alla settimana ma solo per fare la spesa. Nelle due parrocchie che segue – Sant’Agostino, un appartamento nella città universitaria, e San Giuseppe, una piccola chiesa costruita dai missionari, qualche decina di chilometri più in là – ha ricominciato a dire messa in presenza solo da qualche settimana.
Quando inizia il lockdown, Fecondo ha da poco terminato la tesi di dottorato. Accoglie la quarantena come la possibilità di riposarsi e preparare un corso da tenere in autunno nel seminario di Roma. “Oltre a cucinare, la mia passione, passavo le giornate in una stanza dove leggevo dietro a una finestra. La prima riscoperta che ho fatto è stata il cielo: non lo guardavo più da tempo. Era bello, azzurro”. Poi, a fargli compagnia arrivano ospiti inattesi: “Passeri e piccioni. Ho cominciato a dare loro da mangiare, poi mi sono accorto che là intorno volavano i rondoni. Quando ero piccolo, li vedevo in paese. Ho scoperto che ci sono anche in Russia!”.
Fecondo mangia e Bertolina si mette a dieta, ma per entrambi è tempo di domande. “In questa circostanza abbastanza dura” confessa don Alfredo “in me si è fatta molto forte la domanda: chi mi aiuta a vivere? L’invito che ci faceva Carrón a «vivere intensamente il reale» era affascinante. Ho scoperto che per me significava vivere le cose di tutti i giorni con semplicità ma con un gusto nuovo: la mattina, mangiare il pane con l’olio e il pomodoro, un bel peperoncino fresco, era un avvenimento; guardare il papà passero che nutre il passerotto, un’esperienza di rara bellezza”. Un aiuto viene dalla scuola di comunità:
“Mi sono accorto di guardare la realtà scoprendo che c’è lo sguardo di un altro”. E poi c’è Grossman, Vita e destino. “Quasi 1000 pagine per accorgermi di voler bene a tutti quei nomi, di amare il loro destino. Ho detto anche qualche messa”.
Orsi siberiani
Riposato e rimesso a nuovo dalla dieta e dal digiuno, anche Francesco approfitta del lockdown per riflettere su un problema che lo tormenta da tempo. Essendo parroco di Palavinnoje, si dice che forse dovrebbe vivere qui in forma più stabile: “Tessere rapporti, coltivare amicizie, insomma… vivere. Sono vent’anni che lo penso ma sbagliavo”. Lo spiega bene, Francesco, con quella semplicità che commuove chi lo incontra.
“Ho capito che devo accettare che sia un altro a dettare i tempi e i modi di una presenza: rimanere con Cristo dove lui vuole, stare dove lui permette, dove lui chiede o si offre, è l’inizio di una pace indicibile, senza confronto e senza confine”.
L’ultima domanda pare scontata ma non lo è. Cosa tiene insieme due orsi siberiani come Alfredo e Francesco?
“Non so se esistano due persone più differenti di noi” conferma Bertolina. “Ma sono grato al Signore del rapporto con Fec, perché è una persona trasparente mentre io, nato in montagna, faccio fatica ad aprirmi. Il rapporto tra noi si fonda sul riconoscimento di essere stati mandati qua a vivere il nostro rapporto con Cristo dove ci hanno chiamato e, in modo privilegiato, nella nostra casa. Con i suoi richiami, Alfredo mi aiuta a vivere una tensione con Cristo. È sempre un cammino, mai adagiarsi”.
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Tutto è grazia
Orsi, e pure eremiti, aggiunge Fecondo. Poi si fa serio.
“Dentro la riscoperta del mio io, ho ritrovato anche la grazia della compagnia di Francesco. Quando è tornato, a luglio, abbiamo ristrutturato casa. Non mi aspettavo che dopo tanti anni potesse rifiorire un rapporto abitudinario come il nostro. Mi commuove la carità che abbiamo l’uno per l’altro e il desiderio che è rinato in noi di poter essere – e qui bisogna proprio usare le parole eterne del caro don Gius – compagnia al destino, l’uno per l’altro, dentro la compagnia più grande”.
Strani bilanci, si fanno da queste parti dopo il lockdown.
“Tutto è grazia” dice Francesco. E Alfredo conclude: “Ho compiuto 60 anni, ho festeggiato il mio venticinquesimo come sacerdote: proprio quando uno dovrebbe tirare le somme, qui sta cominciando tutto. Insomma, il bello deve ancora venire”.
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