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Monastero Wi-Fi: l’anniversario di una realtà presente e viva!

MONASTERO WI-FI
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Sono passati due anni dal primo capitolo generale del cosiddetto (e amato) Monastero Wi-Fi; il virus e le misure di contenimento hanno sacrificato l’aspetto dell’incontro in presenza, ma non la presenza vera, nè la compagnia che possiamo farci, né l’azione dello Spirito Santo: si moltiplicano i gesti di aiuto concreto, economico e umano, tra i tanti fratelli che si rivolgono al nostro monastero.Di Costanza Miriano

L’anniversario di qualcosa di presente

Sono passati due anni dal primo capitolo generale del Monastero wi-fi, il 19 gennaio ’19, e oltre ad avere una nostalgia tremenda di quegli abbracci tra amici, di quei baci dati a cuor leggero, di quella gioia e di quella grazia palpabile che tutti abbiamo ricevuto, di quello spirito da fratelli che davvero si tagliava col coltello, si può dire, ho la certezza che quella avventura non si è interrotta. Anzi, è stata un segno profetico, pensato dallo Spirito proprio per questo tempo speciale. E di cui adesso dobbiamo avere cura di non sprecare i semi, anzi, di farli germogliare nella terra nuova che ci è stata data in questo strano tempo.

Monaci wi-fi

Una terra difficile, in cui siamo più soli, in cui mancano tante occasioni di incontro, di catechesi, di scambio, di farci un po’ compagnia (quanto mi manca!). Però, mentre stavo abbandonandomi ai ricordi e alla nostalgia, al dispiacere di non poterci rivedere (rivoglio le mie amiche milanesi, veronesi, bresciane, e poi le romagnole e le casertane e poi tutte, le padovane e le chioggiotte, e le abruzzesi e le toscane e le marchigiane, insomma smetto di citare ma si è capito, oggi la giornata è partita così, nostalgica), mentre ripensavo a facce e storie, mi sono resa conto che lo “stacce” che è un piano di vita per tutti noi comporta sempre questo: partire dalla realtà, guardarla, accoglierla, e cercare di capire cosa mi chiede Dio, oggi, in questa circostanza.

E mentre pensavo questo – tra la nostalgia e lo stacce – mi sono resa conto che stavo uscendo di casa prima dell’alba per andare ad accompagnare all’ospedale col suo bambino una consorella wifi venuta da fuori Roma, e mi sono detta: certo, non è un raduno di duemila amici, ma anche questo è un frutto di quel capitolo generale. Senza quel giorno nemmeno la conoscerei, anzi, la sto andando a prendere ma non la conosco. Eppure siamo una famiglia.

Una compagnia che si allarga

E poi di sera, mentre cercavo chi potesse portare la cena all’amica ricoverata, ho mandato un messaggio alla “cellula romana” del monastero, e in un batter d’occhio una si è offerta, un’altra ha suggerito una soluzione, un’altra e poi un’altra ancora erano pronte ad andare, così, su due piedi!

Smessaggio dalla cucina, mentre cerco di recuperare il ritardo accumulato per la cena – i carciofi cuociono lenti, me lo devo ricordare – e, aprendo le chat per smistare i turni di “amicizia” per la consorella ricoverata, mi arriva un audio di una persona che sta all’estero: vi prego, aiutatemi, dice la voce in un italiano zoppicante. Solo tu e le tue amiche finora lo avete fatto (due lettrici mi hanno inviato dei soldi per lui, io ho fatto solo da postina). E mi viene in mente che in una città persino la Caritas ha invitato delle persone a rivolgersi a noi, che vuol dire non a me ma a tutto il monastero wifi, e alla monumentale opera di coordinamento di domanda e offerta che sta facendo Monica. Così mi appare chiaro che il monastero wifi è tutt’altro che fermo, o morto, o sospeso. Sta diventando lievito, proprio come è chiesto di fare a noi cristiani. Non importa essere visibili, contarsi o avere un nome. Quello che conta è vedere che c’è gente disposta ad alzarsi in piedi e andare, o aprire il portafogli, solo perché qualcuno ha bisogno.



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Da cosa è nato il Monastero Wi-Fi?

Faccio un passo indietro per chi non ci dovesse conoscere, una memoria per gli altri: dopo che avevo scritto un libro sul desiderio di costruire una relazione viva e quotidiana con Dio, con un cuore unitario che cerca di pregare senza interruzione dentro una vita normale, laica e piena di impegni, alcune amiche mi avevano convinta a incontrarci insieme, noi che, come tanti altri nella Chiesa, in tutto il mondo, siamo cercatori di Dio con vite da normalmen (i supereroi della fila alle poste, per capirci); un incontro del quale ovviamente il mio libro era solo una scusa. La sostanza era trovarci, abbracciarci, e – da parte mia – mettere a disposizione di tutti, anche di quelli che vivono in realtà non molto ricche di nutrimento spirituale, alcune delle voci belle e salde della Chiesa, sacerdoti (e una suora) che potessero darci un po’ di nutrimento da far fruttare, ruminandolo, tra un incontro e l’altro.

Così, organizzando un incontro tra amici, senza neanche rendercene conto ci siamo trovati in oltre 2000 a San Giovanni in Laterano il 19 gennaio ’19, e poi di nuovo il 19 ottobre ’19, pure qualcuno in più della prima volta, a San Paolo fuori le mura. Tema del primo capitolo: costruire un monastero interiore, e abitarlo. Tema del secondo incontro, la Parola di Dio: come matura, cresce, muore e porta frutto. Ogni meditazione affidata a una voce diversa della sterminata ricchezza ecclesiale: sacerdoti diocesani o appartenenti a ordini religiosi, a movimenti o “modello base”.


MONASTERO WIFI
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Siamo lievito

Poi, mentre organizzavamo il terzo, arriva il virus e tutto quello che sappiamo. Ma, tanto che aspettiamo di rivederci – non oso pensare cosa riuscirà a organizzare quella matta dell’amica bionda, Monica, dopo tutta questa attesa – i gruppi di preghiera locali continuano, e soprattutto è nata una rete di solidarietà tra fratelli, che è il frutto più tangibile di questa esperienza. Solidarietà fatta di compagnia e gesti concreti: abbiamo dato gli Iban di famiglie bisognose a famiglie generose, e a occhio e croce dalle une alle altre sono passati 120mila euro in meno di un anno, grazie alla generosità del lavoratore che dà 20 euro a settimana, e a quella del benefattore che ne dà migliaia in una volta sola.

Muoversi e dare del proprio per i bisogni dei fratelli

Quando si è capaci di dare concretamente – non necessariamente soldi – significa che l’incontro con il Signore ha toccato qualcosa di vero. Credo che sia questa la via che questa dolorosa, faticosa realtà ci stia indicando oggi. Essere lievito dove siamo, lasciarci fregare dagli altri, essere quelli che si scomodano. Per esempio, in questa emergenza tragica degli adolescenti lasciati soli nelle loro camere, davanti agli schermi, da un anno intero, possiamo provare a essere famiglie capaci di fare spazio anche ai figli degli altri, accogliere. Aiutarli a sentirsi importanti e preziosi come sono davvero.


ALESSANDRO D'AVENIA;
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In questa stagione di chiese svuotate, essere più ardenti nella preghiera, costanti nella lettura della Parola, essere segno di chiesa domestica – già avere sperimentato che si può stare insieme 24 ore su 24 senza che volino i piatti è una specie di miracolo, tipo nozze di Cana – rafforzare la nostra adesione a Cristo. E poi amare la Chiesa, immaculata ex maculatis, anche in tutte le sue debolezze, perché nostra madre, ed essere fecondi, dove siamo, in questo punto esatto della terra, in questo segmento esatto del tempo, perché questo è quello che ci è chiesto di vivere. Uniti saldamente come in un monastero che sorge in una terra spazzata dalle invasioni dei barbari, uniti anche solo via wifi, cioè con una chat, un social, ma soprattutto via Spirito Santo, ardentemente attaccati alla propria semplice missione, ma pronti a partire se si vede una necessità, certi che questo tempo non è sbagliato, anzi è l’unico in cui possiamo portare frutto.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG DI COSTANZA MIRIANO

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