Sull’aridità di tante vite che trascorrono senza oasi discende il balsamo della tenerezza.Anche oggi (lo scritto è del 2013 NdR) la liturgia attinge a piene mani a quell’incantevole poema che è il libro del profeta Isaia.
Il frammento conclusivo del brano proposto è stupendo, anche solo dal punto di vista poetico:
Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi;
nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti;
perché vedano e sappiano,
considerino e comprendano a un tempo
che questo ha fatto la mano del Signore,
lo ha creato il Santo d’Israele.
Sulle ferite del creato e dell’umanità si sparge l’olio della compassione di Dio; sull’aridità di tante vite che trascorrono senza oasi discende il balsamo della tenerezza.
Ciò che era sterile viene fecondato; ciò che sarebbe finito con se stesso acquisisce un futuro; ciò che sopravvive nella solitudine inizia a vivere nella relazione.
Compassione di Dio
È lo stesso Isaia, in un altro passo che la liturgia delle ore propone oggi, a donarci un’altra immagine folgorante:
Si sveglieranno ed esulteranno / quelli che giacciono nella polvere; / perché la tua rugiada è rugiada luminosa; / la terra darà alla luce le ombre.
Anche qui, il valore letterario è immenso, ma ancor più grande è il messaggio di speranza e consolazione che ci porta.
La polvere, effimera, inutile e improduttiva, viene avvolta dalla “rugiada luminosa” dell’amore di Dio; e diventa terra, madre, fecondità che partorisce e ridona “le ombre” a quella medesima luce che fa splendere la rugiada.
E proprio queste meravigliose metafore “botaniche” si riallacciano ad un libro che ho terminato ieri sera.
È stata una bella sorpresa: a volte i miei amici mi regalano libri su cui non avrei mai gettato lo sguardo, e, un po’ per curiosità, un po’ perché mi fido del loro gusto, inizio a leggerli.
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Il linguaggio segreto dei fiori
In questo caso, si tratta di un romanzo molto “al femminile”: Il linguaggio segreto dei fiori, di Vanessa Diffenbaugh.
Parla di temi molto forti: la maternità, l’abbandono, il senso dell’amore e della vita, il perdono; e narra dello sbocciare della protagonista, vittima di un’infanzia difficilissima, grazie alla bellezza dei fiori, tramite i quali entra in dialogo con le persone.
Da lì, avrà la forza di ricomporre relazioni spezzate, instaurarne di nuove senza temere il ferimento che ogni relazione può potenzialmente portare con sé, e soprattutto scoprirà che “il musco non ha radici”: cioè (nel “linguaggio segreto dei fiori”) che la maternità può nascere anche in chi non ha vissuto realmente la figliolanza.
Che il nostro passato non determina del tutto il nostro futuro; che possiamo donare anche ciò che non abbiamo ricevuto.
E, a sua volta, l’aver accolto una maternità imprevista e di cui non si sente degna le permetterà di iniziare realmente ad amare se stessa e di entrare in una logica di perdono offerto e ricevuto che la renderà veramente donna.
Il perdono come “rugiada luminosa”, il deserto che – come dice Isaia – diventa una foresta ombreggiata e verdeggiante sotto le mani di Dio: simboli di qualcosa che è più grande di noi, e che può compiere il miracolo di seminare bellezza e amore nell’aridità della nostra vita.
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